Le conseguenze pratiche della nuova definizione di "consumatore" introdotta nella L. n. 3/2012 dal D.L. n. 137/2020, convertito dalla L. n. 176/2020

Che cos'è il piano del consumatore

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La legge n. 3 del 2012 fornisce due distinti strumenti per la definizione stragiudiziale della esposizione debitoria di soggetti sovraindebitati, in quanto:

1) in via generale, stabilisce che il "debitore" sovraindebitato, che non sia soggetto ad altre procedure concorsuali, possa proporre ai creditori, con l'ausilio degli organismi di composizione della crisi, un accordo di ristrutturazione dei debiti e di soddisfazione dei crediti;

2) in via particolare, sancisce che il "consumatore" in stato di sovraindebitamento, sempre con l'ausilio degli organismi di composizione della crisi, possa proporre ai creditori, oltre all'accordo di cui sopra, anche un piano che preveda scadenze e modalità di pagamento dei creditori.

In altre parole, l'accordo con i creditori può essere richiesto da tutti i soggetti non fallibili, sia per debiti legati all'attività professionale o di impresa sia per debiti ad essa estranei, mentre il piano del consumatore è riservato - come emerge dalla sua stessa definizione - al "consumatore".

La distinzione tra questi due strumenti non è solo formale, ma anche sostanziale, in quanto:

1) l'accordo con i creditori necessita del consenso di un numero di creditori tali da rappresentare almeno il 60% dei crediti complessivi in capo al debitore (art. 11, comma 2).

2) il piano del consumatore, invece, con indubbio vantaggio per il debitore, non è subordinato al consenso dei creditori, spettando al Tribunale competente la decisione se il consumatore sia meritevole di accedere alla procedura, accertando se lo stesso "ha assunto obbligazioni senza la ragionevole consapevolezza di poterle adempiere, oppure se la situazione da sovraindebitamento è stata causata anche dal colposo comportamento del consumatore, anche per mezzo di un ricorso al credito non proporzionato alle proprie capacità patrimoniali" (art. 12-bis).

Come è stata modificata la nozione di consumatore della legge 3/2012

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Nella sua versione originaria previgente, l'art. 6 della L. n. 3 del 2012 definiva il "consumatore" come il "debitore persona fisica che ha assunto obbligazioni esclusivamente per scopi estranei all'attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta".

Il testo attuale della norma, così come modificato dal D.L. n. 137/2020, convertito con modifiche dalla L. n. 176/2020, stabilisce invece che per consumatore deve intendersi "la persona fisica che agisce per scopi estranei all'attività imprenditoriale, commerciale, artigiana o professionale eventualmente svolta, anche se socio di una delle società appartenenti ad uno dei tipi regolati nei capi III, IV e VI del titolo V del libro quinto del codice civile, per i debiti estranei a quelli sociali".

Ebbene, già nella vigenza della nozione originaria di consumatore, la giurisprudenza aveva chiarito la qualifica di consumatore non fosse inficiata dal fatto che i debiti fossero in parte riconducibili ad una attività imprenditoriale o professionale (cfr. ad es. Cass. Civ. n. 1869 dell'01.02.2016).

Tale conclusione è ora definitivamente confermata dalla nuova nozione di consumatore introdotta dal D.L. n. 137/2020, convertito con modifiche dalla L. n. 176/2020, visto che il legislatore ha eliminato come condizione per potersi parlare di consumatore, il fatto che il debitore non abbia "assunto obbligazioni" per scopi connessi all'attività di impresa e professionale.

Quali sono i debiti ristrutturabili tramite piano del consumatore?

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Appurato ormai che il piano del consumatore può essere richiesto anche in presenza di debiti da attività di impresa o professionale, la giurisprudenza e la dottrina si sono quindi chieste se, alla luce del nuovo testo normativo, il consumatore possa includere nel piano anche tali debiti, e cioè se sono ristrutturabili oltre ai crediti consumeristici anche quelli professionali o imprenditoriali.

Ebbene, sul punto si sono formati tre orientamenti.

1) Un primo orientamento ritiene ammissibile il piano proposto dal consumatore-imprenditore a condizione che non vengano inclusi i debiti d'impresa o professionali; V. Zanichelli, ad esempio (cfr. Il Fallimento n. 4/2021 p. 444) ha chiarito che è possibile "impegnare il proprio patrimonio per il soddisfacimento, tramite la procedura del piano del consumatore, solo di una particolare tipologia di debiti, e cioè quelli consumeristici", in ragione del fatto che la nuova nozione di consumatore si riferisce esclusivamente a colui che "agisce" per scopi estranei all'attività di impresa.

2) Un secondo filone ammette, invece, il piano del consumatore anche per la definizione di debiti di impresa o professionali, purché l'esposizione debitoria consumeristica risulti prevalente rispetto ai debiti imprenditoriali o professionali (cfr. ad es. Tribunale di Grosseto, 22.06.2021).

3) Infine, una terza interpretazione, emersa occasionalmente in giurisprudenza, legittima la definizione all'interno del piano del consumatore anche di debiti d'impresa o professionali, a condizione che si tratti di debiti pregressi e che l'attività imprenditoriale o professionale sia ormai definitivamente cessata (cfr. ad es. Tribunale di Napoli Nord, 16.03.2021).

Tale pluralità di posizioni sarebbe stata evitata se il testo normativo fosse stato più chiaro sul punto, ma così non è stato: l'ennesima occasione persa per rendere la normativa nazionale finalmente conforme alla Direttiva UE 2019/1039 del 20 giugno 2019, che raccomanda di mettere il consumatore in condizione di avvalersi di un solo strumento di risoluzione della propria situazione di insolvenza, attraverso la definizione di tutti i debiti a lui riconducibili.

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