Decorrenza di un triennio dalla precedente interdittiva e cessazione delle cause sui cui questa era basata. Il giudizio di secondo grado

Ricorso avverso informazione interdittiva antimafia

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Ministero dell'Interno, Prefettura e A.N.A.C. presentano appello chiedendo la riforma della sentenza del Tar con cui è stato accolto un ricorso avverso un'informazione interdittiva antimafia.

Il fatto sottostante la vicenda processuale è il seguente.

Una società che si occupa di manutenzione ascensori viene colpita da informazione interdittiva antimafia emessa dal Prefetto, viste le cause penali ove è rimasto coinvolto il legale rappresentante dell'epoca.

L'interdittiva viene impugnata dalla società con due ricorsi, entrambi respinti dal Tar e, successivamente, dal Consiglio di Stato.

Istanza di aggiornamento

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Quindi, dopo qualche tempo, la società presenta istanza di aggiornamento, osservando che sono trascorsi più di tre anni dalla precedente interdittiva e sono venute meno le cause su cui questa era basata, visto che la compagine sociale nel frattempo è cambiata e il precedente legale rappresentante non ha più alcun incarico.

Ebbene, da una parte il Prefetto conferma l'interdittiva per tutta una serie di motivi, dall'altra il Tar accoglie il ricorso della società dal momento che, in assenza di un'adeguata istruttoria e di una sufficiente motivazione nel provvedimento prefettizio, non vede un valido collegamento di quel legale rappresentante alla criminalità organizzata.

Dice il Collegio: una cosa è dire che la società è tutt'ora sotto controllo del vecchio legale rappresentante, altra cosa è affermare che questo provi l'esistenza di infiltrazioni camorristiche nei confronti della società, considerato che è stata pure esclusa in giudizio l'esistenza di contatti tra il più volte citato legale rappresentante e gli esponenti del clan.

Per il vero, la Prefettura avrebbe avuto la possibilità di supportare l'interdittiva con altri elementi in grado di far emergere il collegamento con i clan camorristici sulla base di solidi riscontri, ma ha scelto di non farlo.

Appello del Ministero respinto

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Ad essere ancora più chiari: è vero che la legislazione antimafia può e deve prevenire anche l'insidia della contiguità compiacente accanto a quella soggiacente e, con essa, le condotte ambigue degli operatori economici che, pur estranei ad associazioni mafiose, si pongono su una pericolosa linea di confine tra legalità ed illegalità nell'esercizio dell'attività imprenditoriale; ma è altrettanto vero che, nel caso qui preso come spunto per il commento (C.d.S. Sezione Terza, sentenza n. 7260/2020, pubblicata in data 23.11.2020) nessuno sforzo è stato fatto dall'amministrazione per superare l'ostacolo posto dalla sottostante sentenza penale, che ha detto no alla sussistenza di contatti tra gli esponenti della camorra e la società.

Alla luce di tutto questo l'appello del Ministero viene respinto.

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