L'azione di nullità del contratto di cessione d'azienda non è azionabile contro l'ex socio, il quale risponde solo di debiti eventualmente già accertati

Contratto di cessione ramo d'azienda ed estinzione società ceduta

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Ci si chiede se, una volta concluso il contratto di cessione di ramo d'azienda ed estinta la società ceduta, il cessionario possa agire in giudizio per l'annullamento del contratto di cessione, chiamando in causa il cedente quale "erede" della società estinta.

Quest'ultima, infatti, non potrebbe essere convenuta direttamente proprio a causa dell'intervenuta estinzione, come chiarito dalla Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite che, con la nota sentenza n. 6070/2013, ha così statuito: "la cancellazione delle società (di persone o di capitali) dal registro delle imprese determina l'immediata estinzione della società stessa, indipendentemente dall'esaurimento dei rapporti giuridici ad essa facenti capo, nel caso in cui tale adempimento abbia avuto luogo in data successiva all'entrata in vigore del D. Lgs. n. 6 del 2003, art. 4, che, modificando l'art. 2495 c.c., ha attribuito efficacia costitutiva alla cancellazione".

Appare opportuno allora soffermarsi sul sé, in luogo della società estinta, possa essere considerato legittimato passivo il socio, proprio ai sensi dell'art. 2495 c.c. che, al secondo comma, così dispone: "Ferma restando l'estinzione della società, dopo la cancellazione i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi".

La decisione del Tribunale di Lecce

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La questione è stata recentemente affrontata dal Tribunale di Lecce.

In particolare, la decisione del giudice salentino è intervenuta sui fatti così come di seguito riassunti. La società X cedeva ramo d'azienda all'impresa individuale Y. Il contratto di cessione stipulato tra le parti contemplava una clausola risolutiva espressa in virtù della quale, qualora le Amministrazioni pubbliche competenti non avessero rilasciato tutte le autorizzazioni necessarie all'esercizio dell'azienda acquistata per causa non imputabile al cessionario, il contratto

di cessione si sarebbe risolto di diritto. L'impresa cessionaria, non ottenendo una determinata autorizzazione, decideva quindi di azionare la suddetta clausola risolutiva, rivolgendosi al giudice nei confronti - in prima battuta - del socio accomandatario della società cedente nella sua propria qualità di accomandatario. Sennonché quest'ultimo, costituitosi in giudizio, faceva rilevare che, prima della proposizione del ricorso ex art. 702 bis c.p.c., era intervenuta l'estinzione della società cedente e pertanto sollevava difetto di legittimazione passiva: l'eccezione veniva accolta ed il giudizio dichiarato improcedibile.

Il cessionario, di conseguenza, riproponeva la causa sempre nei confronti dell'ex socio accomandatario ma, questa volta, in proprio, e precisamente a norma di cui al citato art. 2495, comma 2, c.c. nonché della massima giurisprudenziale secondo cui: "L'estinzione di una società di persone conseguente alla sua cancellazione dal registro delle imprese determina un fenomeno di tipo successorio in virtù del quale sono trasferiti ai soci esclusivamente le obbligazioni ancora inadempiute ed i beni o i diritti non compresi nel bilancio finale di liquidazione, con esclusione invece delle mere pretese, ancorché azionabili in giudizio, e dei crediti ancora incerti o illiquidi necessitanti dell'accertamento giudiziale non concluso" (Cass. Civ. n. 23269/2016).

Costituitosi anche in questo secondo giudizio, l'accomandatario eccepiva nuovamente la propria carenza di legittimazione passiva, rilevando sul punto che è principio giurisprudenziale consolidato quello secondo cui, se è vero - da un lato - che "tra la società cancellata dal registro delle imprese ed i suoi soci può configurarsi una vicenda successoria, giacché il successore intra vires dei debiti trasmessigli non cessa, per questo, di essere un successore", è altrettanto vero - dall'altro lato - "che la successione ha luogo solo se ricorra la condizione posta dall'art. 2495 c.c., comma 2" (cfr. Cass. Sez. U. 12 marzo 2013, n.6070; Cass. Civ. n. 15474/2017): e dunque, poiché il richiamato art. 2495 c.c. comma 2 si riferisce espressamente a posizioni debitorie del socio di società estinta, era evidente - secondo la tesi di parte convenuta - la carenza di legittimazione del socio accomandatario, non avendo ad oggetto, l'introitata controversia, il pagamento di debiti societari già accertati ma, semmai, mere pretese ancora tutte da accertare.

La sollevata eccezione veniva ancora una volta accolta e, dunque, il giudizio veniva dichiarato nuovamente improcedibile, con la seguente motivazione: "il perimetro delineato dalla dizione 'creditori sociali non soddisfatti' contenuta nell'art. 2495 c.c., (…), non può essere esteso sino a ricomprendere pretese creditorie, riconducibili a rapporti già facenti capo alla società, il cui accertamento giudiziale non sia ancora stato intrapreso prima dell'estinzione della compagine (…)" (Trib. Civ. Lecce, Ord. n. 3426 del 12.10.2020, che cita Cass. Civ. n. 521/2020).

Azione giudiziale tempestiva

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La decisione del Tribunale salentino si pone in linea con la più recente giurisprudenza di legittimità: se ne deduce che il cessionario, al fine di ottenere la declaratoria di nullità del contratto di cessione di ramo d'azienda in applicazione della clausola risolutiva espressa in esso contenuta, avrebbe dovuto agire in giudizio con maggiore tempestività, adendo cioè le vie giudiziali prima che intervenisse l'estinzione della società cedente.

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