La Cassazione sull'omessa sospensione condizionale della pena in appello e la discrezionalità del giudice in ordine alla motivazione

L'effetto devolutivo

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L'omessa motivazione del giudice d'appello in ordine all'applicazione del beneficio della sospensione condizionale della pena, nel caso in cui la parte non ne faccia espressa richiesta, avvalendosi del disposto di cui all'art. 597, comma 5 c.p.p.

Il principio devolutivo espresso dall'art. 597 comma 1 c.p.p., proprio al giudizio di secondo grado, riconosce al giudice ad quem una cognizione parziale del processo, ovverosia limitata a quanto dedotto con l'atto d'impugnazione; ciò si traduce nel fatto che il giudicante si esprimerà solo su quei punti della decisione di primo grado costituenti motivo di censura.

Il legislatore con la stessa norma flette il principio del "quantum devolutum tantum appellatum", invero, se da un lato circoscrive l'attività del giudice a quanto richiesto dall'appellante, dall'altro estende la stessa prevedendone l'esercizio di un potere d'ufficio.

Infatti, l'art. 597 comma 5 c.p.p. costituisce deroga all'effetto devolutivo del mezzo di impugnazione prescrivendo un'attività del giudice non vincolata in ordine all'applicazione di diversi benefici, tra i quali la sospensione condizionale della pena.

La giurisprudenza si è espressa in maniera eterogenea sul potere-dovere del giudice d'appello di provvedere (anche) ex officio all'applicazione del beneficio di cui sopra, nel caso specifico in cui l'appellante non manifesti espressamente interesse all'applicazione.

Carattere generale del principio devolutivo e discrezionalità del potere d'ufficio

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Un primo orientamento giurisprudenziale ha operato una distinzione riconoscendo al principio devolutivo di cui all'art. 597 comma 1 c.p.p. carattere di portata generale, mentre al potere di agire di cui al comma 5 portata discrezionale ed eccezionale rispetto al primo; ciò si traduce nel fatto che l'obbligo di render conto all'appellante in merito all'esercizio negativo dell'anzidetto potere viene meno nell'ipotesi in cui la parte non ne faccia espressa richiesta di applicazione del beneficio, sebbene vi siano i presupposti ai fini applicativi (Cfr. Cass. sez. 2, n. 6458/91).

L'obbligo di motivazione da parte del giudice di appello sussiste soltanto in relazione a quanto dedotto con l'atto di impugnazione o, se si tratta del mancato esercizio di un potere esercitabile di ufficio - come quello relativo alla concessione di benefici ai sensi dell'art. 597 c.p.p., comma 5, - anche in relazione a quanto dedotto e richiesto in sede di discussione.

Peraltro, perchè sussista l'obbligo della motivazione, è necessario che la richiesta non sia generica (come nella dizione: applicazione di tutti i benefici di legge), ma in qualche modo giustificata con riferimento a dati di fatto astrattamente idonei all'accoglimento della richiesta stessa (Cfr. Cass. Sez. 5, n. 1099/97).

L'appellante, in sede di conclusioni, deve manifestare un interesse concreto all'applicazione della sospensione, suffragato da idonea giustificazione in ordine agli elementi presupposti, non avvalendosi di alcun automatismo giuridico (come invece nella prassi accade, richiedendo una generica applicazione dei benefici di legge).

Un differente orientamento, l'obbligo di motivazione

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Differente orientamento prende le mosse dal considerare la parte motiva della sentenza quale unità a garanzia di quanto all'art. 111 Cost., nonché controllo di legalità sull'esercizio del potere del giudice sia all'interno del processo, sia all'esterno di esso attraverso la pubblicazione quale ufficio di democrazia (Cfr. Cass. Sez. 6, n. 32966/01).

Tale indirizzo, totalmente disancorato al precedente, prevede un effettivo obbligo motivo sul giudice di secondo grado in ordine all'esercizio positivo o negativo del potere/dovere di cui all'art. 597 c. 5 c.p.p., anche in assenza di richiesta specifica dell'appellante interessato, e, soprattutto, nell'ipotesi in cui il processo venga sopraggiunto da una effettiva attualità che investe i presupposti del beneficio de quo, non sussistenti in primo grado; in tal caso il potere del giudicante si spoglia della sua discrezionalità.

Sul medesimo filone il caso di reformatio in peius della pronuncia di primo grado. In tale ipotesi il giudice di secondo grado, "trovandosi di fronte a una richiesta di radicale riforma di una pronuncia ampiamente favorevole al prevenuto, nel momento in cui addiviene alla decisione di accoglierla, non può non dare specifico conto del grado di estensione di tale accoglimento e, quindi, sotto tale profilo, spiegare perchè esso non sia contenuto, ove ne sussistano i presupposti legali, nei limiti di una condanna condizionalmente sospesa" (Cass. Sez. 6, n. 12839/05).

Sul giudice d'appello grava l'obbligo sia di motivare in merito alle argomentazioni del provvedimento assolutorio, sia di valutare le argomentazioni non contenute nello stesso, ma dedotte dall'imputato prima della sentenza di appello, pronunciandosi altresì sulle richieste formulate dall'imputato in sede di discussione nel giudizio di primo grado, ivi inclusa l'istanza di applicazione dei benefici di legge e, segnatamente, della sospensione condizionale della pena (Cfr. Cass. Sez. 6, n. 22120/09).

L'ammissibilità del ricorso per Cassazione

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Gli orientamenti in questa sede richiamati hanno determinato eterogene statuizioni in merito alla possibilità per l'imputato di ricorrere per Cassazione lamentando la mancata concessione della sospensione condizionale della pena, nel caso in cui non ne avesse fatta espressa richiesta nel giudizio d'appello.

Ebbene, la più recente giurisprudenza di legittimità a Sezioni Unite si è espressa sul punto stabilendo che l'appellante, nel caso specifico in cui non abbia espressamente formulato richiesta di appplicazione del beneficio, non è legittimato ad impugnare la sentenza per omessa motivazione, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. e). Il Supremo Consesso, eleggendo la generalità dell'effetto devolutivo, limita l'obbligo di motivazione a quanto dedotto con l'atto di impugnazione o, nell'ipotesi di mancato esercizio di un potere d'ufficio, in presenza di sopravvenuti presupposti applicativi, anche a quanto dedotto e richiesto in sede di discussione, dovendo la parte manifestare in giudizio un reale e concreto interesse all'applicazione della sospensione condizionale della pena (Cfr. Cass. pen., Sez. Unite, Sent. n. 22533/19).

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