La sentenza della Cassazione sulla cancellazione della società di capitali dal registro imprese ed assegnazione dei crediti ai soci piuttosto che al liquidatore

Estinzione società e pretesa azionata

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La Corte di Cassazione, sez. I, con sentenza 22/05/2020 n. 9464, ha statuito il seguente principio:

"L'estinzione di una società conseguente alla sua cancellazione dal registro delle imprese, ove intervenuta nella pendenza di un giudizio dalla stessa originariamente intrapreso, non determina anche l'estinzione della pretesa azionata, salvo che il creditore abbia manifestato, anche attraverso un comportamento concludente, la volontà di rimettere il debito comunicandola al debitore e sempre che quest'ultimo non abbia dichiarato, in un congruo termine, di non volerne profittare (In applicazione di tale principio la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che ha ritenuto dovute agli ex soci di una società di capitali, estintasi nel corso della causa, le somme inizialmente pretese dalla medesima).

Sorte dei crediti

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Ebbene, ci si intende soffermare su quest'ultimo aspetto ed, all'uopo, in motivazione, leggesi: << … Deve essere anzitutto precisato che la domanda di restituzione dell'indebito ex art. 2033 c.c. è un vero e proprio diritto di credito, che sorge nel patrimonio del relativo titolare per effetto dell'integrazione degli elementi della fattispecie (il pagamento senza causa). Va, altresì, ricordato come i requisiti della univocità e della concludenza - che devono essere riscontrati nel comportamento della società nel momento in cui essa si cancella dal registro delle imprese, al fine di individuarvi anche la rinuncia in ordine ai diritti di credito ancora non esatti o non liquidati - devono essere valutati con particolare rigore e cautela, come esposto: pertanto, ove difettino indici univoci sulla volontà remissoria deve essere esclusa la volontà di remissione del debito.

Sarebbe, dunque, errato presumere sempre iuris et de iure, in presenza di una cancellazione richiesta dal liquidatore della società ed operata in corso di causa, una rinuncia della stessa al diritto azionato. Né questo era, si noti, il portato delle più volte citate decisioni delle Sezioni unite (Cass. nn. 6070-6072 del 2013), le quali avevano piuttosto evidenziato una delle varie evenienze solo "possibili". Perché, dunque, si possano ravvisare i ricordati presupposti, in presenza di una domanda della cancellazione della società dal registro delle imprese, non è sufficiente - pena il ritenere ingiustificatamente sempre estinto il credito in tali evenienze, sulla base di una presunzione assoluta priva dei caratteri ex art. 2729 c.c., ed a parte quanto si dirà in tema di ricettizietà dell'atto - che la cancellazione sia domandata ed eseguita: ciò, pur quando la società, nella persona dell'organo e legale rappresentante (di regola il liquidatore) abbia conosciuto l'esistenza del credito, peraltro ancora sub iudice come nella specie, onde neppure ne potesse avere la certezza.
Infatti, la cancellazione potrebbe essere stata, ad esempio, decisa dalla società, perché ritenuto in quel momento più conveniente (risparmio di ulteriori costi, difficoltà organizzative, ecc., anche in presenza di eventi radicali, come es. la scadenza del termine di durata, il raggiungimento dell'oggetto sociale o l'impossibilità di conseguirlo, i dissidi insanabili fra i soci o la continuata inattività dell'assemblea ex artt. 2272 e 2484 c.c.), nell'inesistenza di una disposizione che vieti la cancellazione in presenza di crediti in contesa: senza che ciò possa significare, di per sé solo, anche rinuncia al credito …>>.

In altri termini, se gli Ermellini affermano che " …Sarebbe, dunque, errato presumere sempre iuris et de iure, in presenza di una cancellazione richiesta dal liquidatore della società ed operata in corso di causa, una rinuncia della stessa al diritto azionato…" appare alquanto singolare che questa sopravvenienza attiva venga attribuita direttamente ai soci della società cancellata e non già al liquidatore, il quale ultimo, poi, provveda ad un riparto supplementare tra i creditori sociali.

Invero, ai sensi dell'art. 2495 2° comma c. c.: Ferma restando l'estinzione della società, dopo la cancellazione i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi. La domanda, se proposta entro un anno dalla cancellazione, può essere notificata presso l'ultima sede della società.

Se, quindi, le somme non vengano assegnate al liquidatore - il quale poi provveda ad un bilancio di liquidazione supplementare - va da sé che i soci provvederanno ad incassare le somme all'insaputa degli eventuali creditori sociali insoddisfatti e, con molta probabilità, le tratteranno.

Ma c'è di più !

Dall'esame della suindicata motivazione, ove leggesi che: " … ciò, pur quando la società, nella persona dell'organo e legale rappresentante (di regola il liquidatore) abbia conosciuto l'esistenza del credito, peraltro ancora sub iudice come nella specie…" risulta evidente come - se il liquidatore abbia conosciuto l'esistenza del credito sub iudice - sia suo precipuo onere verificare l'esito di tale giudizio, proprio al fine di provvedere a tale riparto supplementare; e ciò specie tenuto conto dell'ulteriore affermazione a tenore della quale. " … nell'inesistenza di una disposizione che vieti la cancellazione in presenza di crediti in contesa …".

Diversamente opinando, sarebbe evidente che una cancellazione della società nella pendenza di un giudizio di recupero di un credito della società sarebbe una manovra che si presta, all'evidenza, a comportamenti fraudolenti e distrattivi da parte dei soci.

Conclusioni

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E', però, probabile che a questi risultati nel giudizio posto all'esame della Corte di legittimità si sia giunti sol perché, in definitiva, la Corte di Cassazione si è limitata a confermare la sentenza impugnata che aveva ritenuto dovute agli ex soci di una società di capitali, estintasi nel corso della causa, le somme inizialmente pretese dalla medesima.

Sarebbe opportuno, quindi, che la questione venisse affrontata in sede di merito, onde evitare pericolose applicazioni dei suindicati principi in materia di assegnazione somme ai soci.

Avv. Paolo Calabretta

del Foro di Catania


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