La definizione di congiunti non trova ancoraggio normativo esplicito e universale ed è stata oggetto di interpretazioni, valide caso per caso, da parte della giurisprudenza

Chi sono i prossimi congiunti

Anche se non esiste una norma specificamente dedicata alla definizione del concetto di "congiunti" possiamo desumere da un insieme di norme (e in particolar modo dall'art. 307 del codice penale) che sono da considerarsi congiunti: i parenti, gli affini le persone legate da unione civile e i conviventi di fatto. Non lo sono invece amici o fidanzati.

Visite ai congiunti

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Il D.P.C.M. del 26 aprile 2020 in piena pandemia ha spianato la strada a quella che è stata definita la "fase 2" dell'emergenza Covid-19 ed ha reso indispensabile sapere chi fa parte dei congiunti, considerato che ha aperto agli spostamenti mirati per far visita agli stessi, preso atto che molte famiglie a causa delle misure di contenimento e del lockdown sono state separate.

Nel dettaglio, il testo del provvedimento afferma che "si considerano necessari gli spostamenti per incontrare congiunti purché venga rispettato il divieto di assembramento e il distanziamento interpersonale di almeno un metro e vengano utilizzate protezioni delle vie respiratorie".

Il termine utilizzato, "congiunti", ha da subito messo in allarme i cittadini a causa dell'estrema indeterminatezza, anche per quanto riguarda il vocabolario giuridico. Un'interpretazione troppo circoscritta potrebbe creare problemi allo stesso modo di un'interpretazione eccessivamente estensiva.

Chi sono i congiunti secondo il codice penale

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Nel nostro ordinamento giuridico, la definizione di congiunti non trova un esplicito e generalizzato riconoscimento pur essendo stata nominata in diversi atti. Esiste quella di "prossimi congiunti" che è precisata dall'art. 307 c.p., norma dedicata al delitto di "Assistenza ai partecipi di cospirazione o di banda armata".

La norma ritiene non punibile "chi commette il fatto in favore di un prossimo congiunto" e chiarisce che, agli effetti della legge penale, i "prossimi congiunti" sono: gli ascendenti, i discendenti, il coniuge, la parte di un'unione civile tra persone dello stesso sesso, i fratelli, le sorelle, gli affini nello stesso grado, gli zii e i nipoti. Invece, l'art. 307 c.p. esclude dalla denominazione di prossimi congiunti gli affini, allorché sia morto il coniuge e non vi sia prole.

L'art. 649 c.p., in materia di non punibilità e querela della persona offesa, per fatti commessi a danno di congiunti, menziona: il coniuge non legalmente separato, la parte dell'unione civile, gli ascendenti e i discendenti, gli affini in linea retta, l'adottante o l'adottato, fratelli e sorelle conviventi. La fisionomia dell'istituzione familiare, però, è indubbiamente mutata rispetto al passato.

Il vincolo di parentela

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Nessun dubbio in ordine ai coniugi, che sono congiunti per definizione. E i genitori separati dai figli e i nipoti separati dai nonni? Emerge dunque la necessità di soffermarsi sul concetto di "parentela" in cui rientrano tali rapporti.

L'art. 74 c.c. definisce la parentela come "il vincolo tra le persone che discendono da uno stesso stipite, sia nel caso in cui la filiazione è avvenuta all'interno del matrimonio, sia nel caso in cui è avvenuta al di fuori di esso, sia nel caso in cui il figlio è adottivo". Il vincolo di parentela, a norma del codice civile, non sorge nei casi di adozione di persone maggiori di età, di cui agli articoli 291 e seguenti.

Inoltre, la parentela può essere in linea retta, quando intercorre tra persone di cui l'una discende dall'altra, e in linea collaterale quando, pur essendoci uno stipite comune, le persone non discendono l'una dall'altra. Pertanto, sono parenti nonno e nipote, fratelli e sorelle, zii e nipoti, cugini e cugine.

La parentela non è riconosciuta ad libitum. Il codice civile, nella linea collaterale, prevede i c.d. "gradi" di parentela che, nella linea collaterale, si computano dalle generazioni, salendo da uno dei parenti fino allo stipite comune e da questo discendendo all'altro parente, sempre restando escluso lo stipite. La legge non riconosce il vincolo di parentela oltre il sesto grado, salvo che per alcuni effetti specialmente determinati.

Nella categoria dei "congiunti", dunque, appare evidente debbano rientrarti, salvo prescrizioni limitatrici, coloro che sono legati tra loro da un vincolo di parentela.

Il vincolo di affinità

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Accanto al vincolo di parentela, il codice civile (art. 78) riconosce anche il vincolo di affinità che lega il coniuge con i parenti nell'altro coniuge (es. suoceri, nuore e generi, cognati, ecc.). Tale vincolo, nella linea e nel grado, rispecchia il vincolo di parentela che sussiste tra il coniuge e i suoi parenti.

L'affinità non cessa per la morte, anche senza prole, del coniuge da cui deriva, salvo che per alcuni effetti specialmente determinati, mentre cessa se il matrimonio è dichiarato nullo. Non si estende agli affini di ciascun coniuge (es. tra i rispettivi suoceri).

Come i parenti, dunque, anche tali soggetti rientrerebbero nel novero dei c.d. "congiunti" con la conseguente possibilità di andare a trovare i suoceri o i cognati.

Unioni civili

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Le parti di un'unione civile, ai sensi dell'art. 1, comma 20, della Legge 76/2016, sono da equipararsi ai coniugi sotto molti punti di vista. La norma, infatti, chiarisce che si applicano anche ad ognuna delle parti dell'unione civile le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole "coniuge", "coniugi" o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi.

Tuttavia, tale disposizione non si applica alle norme del codice civile non richiamate espressamente nella medesima legge 76/2016, nonché alle disposizioni di cui alla legge 184/1983. E tra le disposizioni non richiamate vi sono quelle sul vincolo di affinità.

Il vuoto normativo "paralizza" il riconoscimento dei parenti dell'unito civilmente come "affini" dell'altro e dunque potrebbero sorgere dubbi in ordine al loro riconoscimento come congiunti e persone nei confronti delle quali è possibile effettuare spostamenti. L'effetto è paradossale e a tratti discriminatorio: via libera agli incontri tra cugini, ma niente visita dell'unito civilmente al proprio "suocero" o "suocera" o con i figli dell'altro.

Conviventi, fidanzati e amici

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Negli anni, il concetto di "famiglia" è molto cambiato, superando quello di rapporto fondato unicamente sul matrimonio. Si è assistito a un proliferare di modelli familiari che sono stati ritenuti meritevoli di tutela in quanto formazioni sociali ove si svolge la personalità dell'individuo (ex art. 2 della Costituzione).

Oltre all'unione civile, la legge n. 76/2016 ha disciplinato le c.d. "convivenze". In particolare, si intendono per "conviventi di fatto" due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un'unione civile.

Non generando parentela o affinità, dunque, il problema è che tali soggetti (analogamente agli uniti civilmente) possano rischiare, salvo precisazioni, di non essere ricompresi nel novero dei congiunti. Lo stesso, dunque, varrebbe in relazione a rapporti come quelli tra fidanzati, anche futuri sposi, o amici stretti.

I "congiunti" ai tempi del Covid

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Per ovviare ai numerosi dubbi legati all'applicazione della norma e allargare le possibilità per i cittadini di tornare a una certa normalità dopo le restrizioni della pandemia, nel novero "congiunti" sono stati ricompresi non solo parenti, affini e coniuge, ma anche conviventi, fidanzati stabili e affetti stabili.

Sul punto si segnala un interessante orientamento della giurisprudenza di legittimità sulla risarcibilità dei pregiudizi di natura non patrimoniale conseguenti alla lesione di un diritto inviolabile della persona con riferimento ai "prossimi congiunti" della vittima primaria (cfr. Cass. n. 46351/2014, che ha confermato il risarcimento alla fidanzata della vittima).

I giudici, hanno ritenuto che in presenza di un "saldo e duraturo legame affettivo" tra questi e la vittima, è proprio la lesione che colpisce tale peculiare situazione affettiva a connotare l'ingiustizia del danno e a rendere risarcibili le conseguenze pregiudizievoli che ne siano derivate (se ed in quanto queste siano allegate e dimostrate quale danno-conseguenza), a prescindere dall'esistenza di rapporti di parentela o affinità giuridicamente rilevanti come tali.


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