I chiarimenti della Cassazione a Sezioni Unite in tema di protezione umanitaria. La valutazione della situazione del richiedente nel paese d'origine e nel nuovo e la disciplina applicabile

Avv. Francesca Pietropaolo - Due interessanti principi sul tema della protezione umanitaria sono stati enunciati dalla recente sentenza n. 29459/2019 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione Civile, che prende posizione sul relativo rilascio del permesso di soggiorno.

Diritti umani e situazione del richiedente nel paese d'origine e nel nuovo

Con il primo principio, la Corte evidenzia che l'orizzontalità dei diritti umani, il cui concetto moderno di salvaguardia dei diritti fondamentali di dignità, libertà, eguaglianza e fratellanza risale all'Adozione della Dichiarazione universale dei diritti umani da parte delle Nazioni unite nel 1948, comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare una valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine e alla integrazione raggiunta in quello di accoglienza.

Rispetto alla configurabilità del permesso di soggiorno per motivi umanitari, fondata in origine sui seri motivi di carattere umanitario risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano che costituiva il titolo di permanenza sul territorio prima del D.L. 113/2018, il D.L. 113/2018 prevede invece che, unitamente a una serie di ipotesi specificamente nominate di titoli di soggiorno, in nessun caso può disporsi l'espulsione o il respingimento dello straniero verso uno stato in cui possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, sesso, lingua, cittadinanza, opinioni politiche, condizioni personali o sociali o di gravi violazioni dei diritti umani.

Tale nuova protezione speciale ha la durata di un anno piuttosto che di due ed evidenzia la finalità, dettata dal legislatore, di scongiurare interpretazioni estensive dei motivi di carattere umanitario; perciò la Corte, nell'assegnare rilievo centrale alla valutazione comparativa tra il grado di integrazione effettiva nel nostro paese e la situazione oggettiva e soggettiva nel paese di origine del richiedente (al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità dell'esercizio dei diritti umani al di sotto della ineliminabile dignità personale) chiarisce appunto che il grado di integrazione non può essere «isolatamente e astrattamente» considerato ai fini della concessione del permesso.

Decreto sicurezza non applicabile

Con il secondo principio di diritto le Sezioni Unite chiariscono invece che in tema di successione di leggi nel tempo in materia di protezione umanitaria, il diritto alla protezione, espressione di quello costituzionale di asilo, sorge al momento dell'ingresso in Italia in condizioni di vulnerabilità per il rischio di compromissione dei diritti umani fondamentali e che la domanda volta a ottenere il relativo permesso attrae il regime normativo applicabile.

Ne consegue che la normativa introdotta dal D.L. 113/2018, convertito con la L. n. 132/2018, nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina, non trova applicazione in relazione a domande di riconoscimento del permesso proposte prima della sua entrata in vigore, il 5 ottobre 2018.

Tali domande saranno scrutinate sulla base della normativa esistente al momento della loro presentazione, tuttavia in tale ipotesi l'accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del permesso di soggiorno ne comporterà il rilascio per i casi speciali previsti dal suddetto decreto legge.


Avv. Francesca Pietropaolo

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Scarica pdf Cass. SS.UU. n. 29459/2019

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