Per i giudici di Strasburgo, pur essendo consentito un termine prescrizionale per l'istanza di riconoscimento di maternità o paternità, è necessario sempre valutare le circostanze del caso concreto

di Lucia Izzo - Conoscere la verità sulla propria identità e sulle proprie origini biologiche, eliminando ogni incertezza al riguarda, è un diritto fondamentale degli individui protetto dall'art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo.


Pertanto, nei procedimenti per il riconoscimento della paternità (o della maternità) sarà necessario dare priorità al superiore interesse del bambino. Pur essendo legittimo per gli Stati introdurre un termine di prescrizione per avanzare la suddetta azione di riconoscimento, i giudici nazionali sono pur sempre tenuti a operare un bilanciamento tra gli interessi e i diritti in gioco, valutando le circostanze nel caso concreto.


L'interessato a conoscere le proprie origini che, tuttavia, sia rimasto negligentemente inerte, potrà vedersi respingere l'istanza per tardività e mancato rispetto dei termini, mentre qualora vi siano state circostanze che giustificano il ritardo, i giudici dovranno consentire l'esercizio dell'azione oltre i termini.


Tanto si desume dalla sentenza (sotto allegata in inglese) resa dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, seconda sezione, in relazione al caso caso Çapin c. Turchia (ric. 44690/09).


Il caso

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Il provvedimento riguarda la vicenda di un uomo che solo all'età di 45 anni aveva scoperto il nome del suo vero padre biologico, tenutogli nascosto dalla madre negli anni.


Per questo aveva proposto azione per riconoscimento paternità, ma il presunto genitore di era opposto alla richiesta. In particolare, per i giudici statali colgono nel segno le doglianze sui termini di proposizione dell'azione, dunque quest'ultima viene respinta in tutti i gradi di giudizio in quanto proposta oltre i termini di legge e il richiedente non era stato in grado di giustificare il suo ritardo.

Bilanciamento di interessi

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Richiamando l'art. 8 della CEDU sul diritto al rispetto della vita privata e familiare, la Corte evidenzia come, stante gli obblighi positivi e negativi posti da tale disposizione, è necessario giungere a un bilanciamento tra gli interessi in competizione, non solo quelli dei figli, ma anche quelli dei padri putativi.

Infatti, se da un lato le persone hanno diritto a conoscere la propria identità, dall'altro, il padre putativo potrebbe aver interesse a essere protetto da vicende che risalgono a molti anni prima, senza dimenticare che in una simile diatriba possono essere coinvolti interessi diversi (quelli della famiglia del padre putativo, ad esempio).

Nel bilanciare gli opposti interessi lo Stato gode di un certo margine di apprezzamento e il compito della Corte EDU non è certo quello di sostituirsi alle autorità nazionali competenti nella regolamentazione delle controversie di paternità, ma piuttosto quello di rivedere in base alla Convenzione le decisioni che tali autorità hanno esercitato e se lo Stato ha adempiuto agli obblighi positivi impostigli dall'art. 8 CEDU.

Legittimo il termine di prescrizione

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La Corte evidenzia come l'esistenza di un termine di prescrizione per intentare l'azione di riconoscimento della paternità non sia di per sé incompatibile con la Convenzione in quanto la scelta di introdurre un termine è giustificata dalla necessità di garantire la certezza del diritto in relazione ai rapporti familiari e per proteggere il padre putativo e la sua famiglia da altrui rivendicazioni.

Quanto alla natura del termine stabilito dal codice civile turco all'epoca dei fatti, la Corte ritiene si tratti di un tempo ragionevole e sufficiente per garantire all'individuo se avviare o meno la procedura di riconoscimento e per salvaguardare la certezza del diritto nei confronti del padre putativo e della sua famiglia.

Nel caso in esame, tuttavia, la vicenda è risultata particolarmente complessa: il richiedente, infatti, ha evidenziato come fosse stato indotto da sua madre a ritenere che il suo padre biologico fosse il primo marito della donna (deceduto a causa di un incidente stradale) e che solo nel 2003 (anno in cui aveva poi intentato l'azione) aveva scoperto la vera identità del suo padre biologico , grazie alle rivelazioni di alcuni parenti.

Secondo la Corte EDU, i tribunali nazionali, nel respingere il ricorso ritenendo indimostrate le ragioni del ritardo nella presentazione dell'istanza, non hanno tenuto adeguatamente conto delle circostanze eccezionali evidenziate dal richiedente. In pratica, tale ragionamento non opera un adeguato bilanciamento tra il diritto del richiedente a scoprire la verità sul suo padre biologico e quello generale a proteggere la certezza del diritto o gli interessi del padre putativo e della sua famiglia.

Circostanze eccezionali del ritardo

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In pratica, i provvedimenti dei giudici nazionali non forniscono una risposta sufficiente alla domanda se il

rigetto del ricorso del richiedente per un motivo procedurale, che lo ha privato dell'unica opportunità di scoprire la verità biologica su se stesso e la sua parentela paterna, danneggerebbe in modo sproporzionato il suo diritto a vita privata.

La Corte ribadisce che ognuno ha un interesse vitale a conoscere la verità sulla propria identità e a eliminare ogni incertezza al riguardo, protetto dall'art. 8 della Convenzione. Nel procedimenti per istituzione di paternità, dove è necessario un attento bilanciamento, dovrebbe essere data priorità all'interesse superiore del bambino.

Nel caso in esame, l'uomo, ormai 45enne, aveva già sviluppato la sua personalità nonostante l'incertezza sui suoi legami paterni e aveva iniziato una nuova vita negli Stati Uniti. Ciononostante, dopo aver scoperto l'identità del padre putativo, aveva mostrato un sincero interesse ad accertare se questi fosse o meno il suo vero padre.

A tal proposito, la Corte rammenta che l'interesse delle persone a ottenere le informazioni necessarie per eliminare qualsiasi incertezza rispetto alla propria identità non scompare con l'età, anzi è il contrario.

In conclusione, sebbene i termini previsti dal codice civile turco non avessero natura assoluta, la loro interpretazione e applicazione da parte dei tribunali locali, in relazione alle circostanze del caso e senza operare un bilanciamento tra i diritti e gli interessi in gioco, appare sproporzionata rispetto agli obiettivi perseguiti e dunque non idonea a garantire il diritto al rispetto della vita privata. Per la CEDU c'è dunque una violazione dell'art. 8 della Convenzione.

Scarica pdf CEDU, sent. Çapin c. Turchia

Foto: 123rf.com
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