Il difficile equilibrio fra il diritto alle origini dei minori e la tutela dell'anonimato della madre. Facciamo il punto con il giudice Focaroli

di Daniele Piccinin - In Italia esiste un buco nero legislativo nelle leggi che tutelano i minori e riguarda il caso del doppio diritto, quello della madre biologica all'anonimato ed il diritto del figlio a conoscere la propria identità. Un vuoto normativo sul quale la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo nel 2012 ha condannato il nostro Paese per la violazione dell'art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, per la mancanza, nella legislazione nazionale, di "strumenti idonei a bilanciare gli interessi dei soggetti coinvolti". In sintesi, la Corte Europea ha ritenuto che l'Italia salvaguardasse, in termini incondizionati, gli interessi della donna rispetto a quelli del figlio biologico. Questo contrasto giurisprudenziale è stato esaminato dalle Sezioni Unite presso la Corte di Cassazione da cui è emerso, sulla scorta del quadro normativo di riferimento, che "i Giudici possono dare seguito alla richiesta del figlio desideroso di conoscere le proprie origini e di accedere alla propria storia parentale mediante un procedimento che trovi il giusto equilibrio tra questo ed il diritto alla riservatezza della donna".

Il diritto del minore a conoscere le proprie origini

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Il diritto a conoscere le proprie origini costituisce un diritto fondamentale personale per la ricostruzione della propria discendenza biologica e delle proprie radici che permette all'individuo di avere uno sviluppo più equilibrato e sereno sia con sé stesso che nelle relazioni con gli altri.

La legge italiana tratta questo caso nell'art 28 della legge n. 184/1983 che riconosce al comma 5 il diritto potestativo dell'adottato ad avere accesso alle informazioni relative ai genitori biologici una volta compiuto il venticinquesimo anno di età, salvo il limite posto dal comma 7, ossia quando la madre abbia dichiarato al momento del parto di rimanere anonima.

La tutela dell'anonimato della madre biologica

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Quest'ultimo comma ha destato diversi dibattiti, soprattutto a livello giurisprudenziale: ovvero il caso in cui il figlio adottato che vuole conoscere le proprie origini biologiche e quello della madre biologica che ha esercitato al momento del parto il diritto a rimanere anonima. Dopo l'intervento della Corte Europea anche la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 278 del 2013, ha dichiarato illegittimo, nella sua assolutezza, il divieto previsto dall'articolo in esame, suggerendo al contempo al legislatore il modello procedimentale da seguire per rendere effettivo il bilanciamento delle posizioni giuridiche soggettive confliggenti.

Giudice Focaroli: "punto fermo non discostarsi dalla verità"

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Come spiega Raffaele Focaroli, pedagogista, Giudice Onorario del Tribunale dei Minorenni di Roma e segretario dell'Associazione Nazionale Magistrati Minori e Famiglia sezione di Roma, "il fenomeno dei legami non è soltanto collegabile alla componente biologica dell'essere umano ma, anche e soprattutto, a quella culturale e sociale". Nell'ambito di una adozione, osserva il Giudice, "si dovrebbe valutare il rapporto tra i fattori biologici e quelli relazionali e capire se l'identità del soggetto adottato sia più ascrivibile all'una o all'altra dimensione. Un dato è certo, e cioè il fatto che parliamo di un soggetto nato da una coppia che, per motivi diversi, non ha potuto o voluto accompagnarlo nel suo percorso di crescita e, più sinteticamente, nel suo cammino evolutivo. In questo quadro, non semplice da decifrare, rimane, comunque, il punto di fermo di non discostarsi mai dalla verità; un figlio non deve essere vittima dell'inganno perché questo determinerebbe traumi non semplici da riparare. Se, infatti, quel soggetto crescesse con la convinzione di essere figlio biologico dei genitori adottivi questo determinerebbe una ridefinizione della sua storia e, se vogliamo, una pericolosa destrutturazione della sua personalità. Un altro elemento su cui è bene riflettere è dato dalla precarietà sociale quale caratteristica della nostra contemporaneità".

In generale, c'è da tener ben presente che un figlio adottivo è un soggetto trovatosi in una situazione di privazione morale e materiale da parte dei suoi procreatori; che tale condizione è stata accertata dallo Stato attraverso gli organi istituzionali preposti (servizi sociali, Tribunale per i Minorenni); che tali organismi intervengono per riparare l'assenza dei genitori biologici e per garantire al figlio il percorso evolutivo necessario attraverso persone che possano occuparsi di lui , cosi, da far fronte al disagio. In tutto questo non è trascurabile il fatto che, in molti casi, "l'ostinazione di certe ricerche" porta ad inevitabili fallimenti dai quali emerge l'inconfutabile constatazione dell'impossibilità di cambiamento della propria condizione affettiva e famigliare.

Serve un intervento legislativo

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"Mi auguro che il Legislatore voglia prima possibile colmare il quadro normativo carente in modo da tutelare il diritto da parte dell'adottato a conoscere le generalità relative alle proprie origini", conclude Focaroli. In ballo per il nostro Paese ci sono la violazione di norme e trattati internazionali come gli art. 7 e 8 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo (20 ottobre 1989) oltre che la violazione degli art. 7 e 8 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo (20 ottobre 1989), i quali impongono la tutela dell'identità del minore da intendersi come ricerca delle proprie origini e quindi delle proprie radici e legami biologici, nonché dell'art 30 della convenzione de L'Aja (29 maggio 1993) secondo il quale si possono ricomprendere nei legami familiari anche i fratelli.


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