L'Autrice ritaglia nell'articolato dello strumento internazionale le disposizioni interessanti l'adolescenza e ne propone una lettura unificante per evidenziare il ruolo e i compiti dei genitori e degli altri adulti

Solitamente si parla di Convenzione Internazionale sui Diritti dell'Infanzia e dell'Adolescenza (il cui acronimo in inglese è CRC) ma, in realtà, nell'atto normativo internazionale si parla letteralmente solo dell'infanzia.

È interessante, perciò, proporre una lettura di quelle disposizioni che più si addicono all'età adolescenziale per consentire un approccio più adeguato alle problematiche di questa fase, per valorizzarle e per tentare di dare risposte non preconfezionate, come si suole fare.

La più significativa disposizione a tale proposito è certamente quella contenuta in uno dei capoversi del Preambolo della Convenzione in cui si legge: "[…] occorre preparare appieno il fanciullo ad avere una vita individuale nella società, ed allevarlo nello spirito degli ideali". In questo capoverso non vi è alcun soggetto ma si usa la forma impersonale, perché è dovere di tutti preparare ("apparecchiare avanti") e allevare ("alzare verso") i minorenni, specificamente gli adolescenti ("coloro che crescono"), ai ruoli e alle responsabilità dell'essere adulti ("cresciuti"). È indicativa ogni singola parola: "preparare" (processo antecedente e itinerante), "appieno" (completamente), "avere" (fare propria), "una" (unica e unitaria), "vita" (fare e dare), "individuale" (da soli e con la propria impronta in maniera singola e singolare), "nella società" (con gli altri, per gli altri e verso gli altri).

Per educare alla vita bisogna educare alla morte, ad ogni morte (delusioni, frustrazioni, negazioni, fallimenti) e niente è più efficace dell'esempio (etimologicamente "che trae da") e del dialogo (etimologicamente "parlare fra" e non parlare a o di, come si è soliti fare). Di questo parere è lo psicologo e psicoterapeuta Fabrizio Fantoni: "Gli anni dell'adolescenza vedono spesso il nuovo sostituire il vecchio. Amicizie, interessi, progetti. Sembra che il passato muoia di fronte alle trascinanti novità. L'adolescente sente che il bambino che c'era in lui è definitivamente scomparso. Alcuni ragazzi avvertono con maggiore sensibilità che è necessario che muoia qualcosa dentro di noi perché si possa crescere. Da qui il pensiero della morte. Non dobbiamo spaventarci, ma possiamo cogliere l'occasione per porci degli interrogativi. Riconoscendo lo sgomento che il morire porta con sé. Ma anche riscoprendo il proposito di lasciare il mondo migliore di come l'abbiamo trovato".

Anche don Antonio Mazzi, esperto di problematiche giovanili, precisa: "La vita è vita se le relazioni tra di noi sono vere, amate, rispettate. Non siamo animali dalle passioni selvagge, o falsi innamorati stracotti e pronti a qualsiasi misfatto verso coloro che cercano di orientare le nostre passioni, privilegiando i doveri, i giusti divertimenti e le amicizie positive. Il problema degli adolescenti è sottovalutato perché nuovo, faticoso da interpretare e perché, non mi stancherò mai di dirlo, esige una presenza saggia, equilibrata e matura dei padri. Riflettere sull'emergenza educativa dei nostri figli normali, durante il delicato passaggio dai dieci ai venti anni, esige che famiglia, scuola e società creino insieme una rete protettiva per evitare le cadute traumatiche".

Innanzitutto l'adolescente ha bisogno di ascolto, anche dei suoi silenzi, dei suoi sbalzi di umore, quell'ascolto di cui all'art. 12 della Convenzione. Fabrizio Fantoni spiega che "[…] è davvero difficile tessere una trama di parole e di pensieri con alcuni adolescenti, soprattutto maschi, che sembrano essere interiormente vuoti, di emozioni e di desideri, prima ancora che di riflessioni. Musica, sport, giochi, persone, amori sembrano realtà che li sfiorano appena. Come il fumo, che soddisfa per breve tempo ma presto svanisce nell'aria. Dagli affetti primari, i genitori, gli amici d'infanzia, questi ragazzi prendono le distanze perché non sono più bambini. Ma non riescono a investire nel presente, e men che meno nel futuro: una competenza professionale, un successo scolastico, una immagine di sé da coltivare. Noi adulti restiamo senza parole e senza pensieri, e non sappiamo che cosa fare. Si percepisce quanto gli adolescenti siano in grado di proiettare i propri stati d'animo profondi dentro a chi li ascolta davvero".

Un altro articolo della CRC attribuibile ancor di più all'adolescenza è l'art. 13: "Il fanciullo ha diritto alla libertà di espressione. […] L'esercizio di questo diritto può essere sottoposto a talune restrizioni". Ed una delle forme di espressione più manifeste durante l'adolescenza è l'aggressività, come spiega Fantoni: "Per i ragazzi non è possibile crescere senza un'affermazione di sé attraverso comportamenti sostenuti anche dall'aggressività. L'importante è imparare a esprimerla senza esagerazioni distruttive e nel rispetto per gli altri. Questo richiede impegno da parte loro e un aiuto paziente e fermo degli adulti. Non si tratta di rifiutare la presenza di una tensione aggressiva che si esprime tra loro ma soprattutto nei confronti dei grandi. Se si fa finta di non vederla la si minimizza, come se fosse occasionale e trascurabile, c'è il rischio che i ragazzi alzino il tiro contro il muro di gomma degli adulti e aumentino la provocazione, alla ricerca di un freno che non sanno trovare in sé".

L'esperto Fantoni aggiunge: "Il primo passo dell'adolescente per rendere utilizzabile l'aggressività come risorsa è quello di superare il passaggio all'atto istintivo, che tende a scaricarla, per poterla pensare. Quindi, tenere la calma e mai passare alle mani. Piuttosto, invitare il ragazzo ad andarsene di casa finché non è più tranquillo e si possa ragionare con lui. Poi bisogna tornare a parlarne, perché l'adolescente possa dire paura, protesta e frustrazione, e queste vengano ascoltate, riportando al centro del dialogo gli affetti e le emozioni provate sia dai ragazzi che dagli adulti". L'aggressività adolescenziale è espressione della libertà di pensiero, di coscienza e di religione (art. 14 CRC), necessaria affinché l'adolescente non sia più "crisalide" e spicchi il volo verso l'età adulta.

Ancora Fantoni: "Riconoscere l'aggressività significa anche che l'adulto è disponibile a fronteggiarla, accetta il conflitto, che per qualche adolescente sembra essere l'unica forma di dialogo accettabile con lui. Se si riconosce che c'è un conflitto, ma ci sono anche delle regole da rispettare e se ne può parlare senza farsi trascinare dalla rabbia, vuol dire che anche per l'adolescente è possibile contenere l'aggressività eliminando la distruttività". I genitori sono responsabili dello sviluppo, da quello fisico a quello sociale, dei figli (art. 27 CRC) e non possono esimersi dal fronteggiare l'aggressività dei figli adolescenti, dando ad essa senso e direzione, anche perché è un'energia necessaria al salto verso l'età adulta. Meglio l'aggressività e non le forme di implosione, quei ragazzi accartocciati su se stessi, incistati in se stessi, di cui se mai i genitori si vantano pure perché non danno problemi ed, invece, potrebbero diventare patologici come quei giovani che non studiano né lavorano (nell'acronimo inglese NEET) e di cui l'Italia ha avuto il triste primato in Europa nel 2017. L'adolescenza è di per sé aggressività (aggredire dal latino "ad", verso, e "gradi", andare, camminare, avanzare), perché fisicamente è esplosione ormonale, crescita di peli, eruzioni cutanee, attivazione delle ghiandole sessuali, massa muscolare, e psicologicamente rappresenta (o dovrebbe significare) il secondo e definitivo taglio del cordone ombelicale.

Potrebbe essere d'aiuto per genitori e educatori la locuzione "in modo consono alle sue capacità evolutive" dell'art. 14 della Convenzione: l'adolescente è colui che cresce e, quindi, cambia, ognuno con i propri tempi, ritmi, manifestazioni. Chi sembra ancora bambino, chi improvvisamente adulto, chi in uno stato di limbo o altro: il primo a prendere consapevolezza di ciò deve essere l'adulto per poter, poi, trasmettere consapevolezza e sicurezza all'adolescente che ha di fronte.

Continuando la lettura della Convenzione colpisce l'art. 19: "Gli Stati parti adotteranno ogni misura appropriata di natura legislativa, amministrativa, sociale ed educativa per proteggere il fanciullo contro qualsiasi forma di violenza, danno o brutalità fisica o mentale, abbandono o negligenza, maltrattamento o sfruttamento, inclusa la violenza sessuale, mentre è sotto la tutela dei suoi genitori, o di uno di essi, del tutore o dei tutori o di chiunque altro se ne prenda cura". Durante l'adolescenza dei figli si possono verificare varie forme di abbandono o negligenza da parte dei genitori (o altri adulti di riferimento) tanto da non accorgersi quando i ragazzi sono vittime o artefici di fenomeni devianti o deviati quali bullismo, prostituzione minorile, baby gang o altro.

A quest'articolo è strettamente correlato l'art. 24 CRC, relativo alla salute, ove si rimarca il binomio di salute fisica e mentale, che dovrebbero tenere a mente i genitori i quali si preoccupano di più di quella fisica ma non altrettanto di quella mentale, che è quella più a rischio durante il periodo adolescenziale. La salute fisica e mentale (che comprende e coinvolge la sfera sessuale) passa anche attraverso la consapevolezza e la maturità dei genitori, ruolo richiamato espressamente nelle lettere e e f del par. 2 dell'art. 24. La pianificazione familiare menzionata nella lettera f si può riferire anche alla necessità di educazione sessuale dei figli che non consiste nel fornire i preservativi e spiegarne l'uso ai figli e nell'accompagnare le figlie dal ginecologo. L'educazione sessuale non è un intervento educativo a sé ma è la vita familiare stessa. Da tener presente anche il par. 3 dell'art. 24 in cui si prescrive: "Gli Stati parti devono prendere tutte le misure efficaci ed appropriate per abolire le pratiche tradizionali che possono risultare pregiudizievoli alla salute dei fanciulli". Non ci si deve preoccupare solo di alcune pratiche tradizionali del mondo non occidentale, come l'infibulazione o il fenomeno delle spose bambine o altro, ma anche degli effetti dell'apologia del corpo, della bellezza esteriore, del sesso, prassi diffuse nel mondo occidentale.

Lo psicologo Fantoni soggiunge: "In certi momenti, l'adolescenza è come la rincorsa dell'atleta che deve spiccare un salto: occorre tornare indietro e ridare un significato nuovo a quanto accaduto nel passato per poter diventare grandi. La soluzione non consiste nell'andare alla ricerca del responsabile". L'adolescenza è un processo di responsabilizzazione che porta all'età adulta, che dovrebbe essere l'età delle responsabilità: "[…] preparare il fanciullo ad assumere le responsabilità della vita in una società libera" (art. 29 lettera d CRC). In questo processo i genitori si devono comportare come i genitori degli atleti: accompagnare i figli, tifare per loro, incoraggiarli, ma gli allenamenti e le gare toccano solo ai figli. I problemi adolescenziali sono un'opportunità di crescita e di miglioramento per tutti, come si evince dall'etimo stesso di "problema", "ciò che si getta o mette avanti, ciò che si presenta", e come esplicato anche dagli esperti di psicologia dell'adolescenza, tra cui uno dei più grandi lo psichiatra e psicoterapeuta Gustavo Pietropolli Charmet.

Riguardante, invece, l'adolescente "giudicato reo" è l'art. 40 nella sua interezza e in particolare nella locuzione del primo paragrafo, ove si dispone di "fargli assumere un ruolo costruttivo in seno a quest'ultima [la società]", indicazione che ha altresì una valenza sicuramente preventiva, come sperimentato e applicato in molti metodi pedagogici, in primo luogo quello salesiano (uno degli esempi positivi di recupero post-detentivo è quello di Davide Cerullo che, dopo l'esperienza giovanile carceraria, ha cambiato strada dedicandosi alla scrittura proprio perché qualcuno ha creduto in lui e gli ha mostrato una prospettiva diversa).

Dando la giusta considerazione all'adolescenza e agli adolescenti si mette in atto, inoltre, quanto previsto nell'art. 42 della Convenzione: "Gli Stati parti si impegnano a far conoscere diffusamente i principi e le norme della Convenzione, in modo attivo e adeguato, tanto agli adulti quanto ai fanciulli".


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