Per la Cassazione, nessun rimborso spetta al coniuge per le spese sostenute per la manutenzione degli immobili in comunione, anche dopo lo scioglimento, a meno che non risulti il consenso dell'altro

di Lucia Izzo - Non spetta alcun rimborso al coniuge che ha sostenuto le spese per la manutenzione degli immobili in comunione legale dei beni, anche qualora intervenga successivamente la separazione coniugale, a meno che non risulti il consenso dell'altro coniuge al compimento degli interventi. Il diritto al rimborso sussiste unicamente ove sia provato che le spese sono state sostenute per affrontare lavori urgenti, necessari per la conservazione della cosa comune.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, seconda sezione civile, nell'ordinanza n. 20283/2017 (qui sotto allegata).

La vicenda

Il ricorrente aveva agito, nei confronti della moglie separata, per ottenere il pagamento di somme di denaro a titolo di rimorso spese da lui effettuate per la manutenzione di immobili comuni e quale amministratore della comunione dei beni, anche per il periodo successivo alla separazione.


Sia in primo che in secondo grado, tuttavia, la sua domanda veniva respinta. In particolare, la Corte d'Appello osservata che l'uomo, in costanza di convivenza coniugale, aveva esercitato il normale potere di amministrazione disgiunta.


Invece, intervenuto lo scioglimento della comunione col passaggio in giudicato della sentenza di separazione, l'uomo non avrebbe potuto compiere atti di amministrazione senza il consenso dell'altro comunista titolare, ex art. 1105 c.c., del pari diritto di concorrere nella amministrazione della cosa comune, consenso nel caso di specie non preventivamente richiesto.


In sostanza, gli unici atti che gli sarebbero stati consentiti erano quelli conservativi (in caso di inattività o trascuranza dell'altro compartecipe), mentre per quanto riguarda l'amministrazione e l'esecuzione delle attività già deliberate era ammesso, in caso di dissenso o inerzia della ex moglie, il ricorso all'autorità giudiziaria ai sensi dell'art. 1105 c.c., comma 4.


In Cassazione, il ricorrente richiama il principio della delegabilità dell'amministrazione ad uno o più partecipanti, ritenendo errata la sentenza nella parte in cui ha escluso la qualifica di amministratore dei beni in comunione.


Niente rimborso all'ex che sostiene le spese per gli immobili in comunione

Tuttavia, gli Ermellini condividono la decisione del giudice a quo che ha escluso la possibilità della sua nomina ad amministratore durante la convivenza matrimoniale, stante il principio della amministrazione disgiunta (art. 180 cc) e della inderogabilità delle norme sull'amministrazione (art. 210, comma 3, c.c.).


In particolare, secondo la giurisprudenza di Cassazione, in tema di spese di conservazione della cosa comune, l'art. 1110 c.c., escludendo ogni rilievo dell'urgenza o meno dei lavori, stabilisce che il partecipante alla comunione, il quale, in caso di trascuranza degli altri compartecipi o dell'amministratore, abbia sostenuto spese necessarie per la conservazione della cosa comune, ha diritto al rimborso, a condizione di aver precedentemente interpellato o, quantomeno, preventivamente avvertito gli altri partecipanti o l'amministratore.


Solo in caso di inattività di questi ultimi egli può procedere agli esborsi e pretenderne il rimborso, pur in mancanza della prestazione del consenso da parte degli interpellati, incombendo comunque su di lui l'onere della prova sia della suddetta inerzia che della necessità dei lavori.


Nel caso in esame il relativo onere probatorio non risulta assolto e quindi si giustifica il rigetto della domanda di rimborso.

Cass., II sez. civ., ord. n. 20283/2017

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