Per la Cassazione comportamenti violenti e vessatori fondano la separazione, ma anche l'addebitabilità all'autore

di Lucia Izzo - Corretto addebitare la separazione al marito che per anni ha assunto un comportamento vessatorio e violento nei confronti della moglie e dei figli.


D'altronde, anche un solo episodio di percosse è idoneo a fondare la pronuncia di separazione personale, nonché di addebitarla all'autore. Si tratta di una violazione talmente grave che il giudice non è tenuto neppure a comparare ad essa il comportamento, contrario ai doveri coniugali, del partner vittima delle violenze.


Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, prima sezione civile, nella sentenza n. 22689/2017 (qui sotto allegata) pronunciandosi a seguito della dichiarazione di separazione di una coppia, con addebito al marito.


In Corte d'Appello veniva, inoltre, stabilito che il figlio minore dovesse essere affidato in via esclusiva alla madre con possibilità per il padre di vederlo due o tre volte a settimana, secondo la volontà del minore, e prevedendo che l'aumento della frequentazione con il padre avvenisse progressivamente con l'ausilio e sotto la vigilanza dei servizi sociali.


In Cassazione, l'uomo contesta sia l'addebito della separazione, sia l'affidamento del figlio minore: quanto al primo motivo, egli sostiene che la Corte d'Appello sia incorsa in un errore di diritto fondando l'addebito sulla sola sussistenza di presunti comportamenti tenuti dal medesimo durante la convivenza matrimoniale, senza in alcun modo indagare il profilo del nesso di causalità rispetto alla crisi coniugale.

Violenze e vessazioni idonee a fondare l'addebito della separazione

In realtà, sottolineano gli Ermellini dichiarando infondata la doglianza, il giudice di seconde cure è arrivato alla decisione basandosi sulle deposizioni testimoniali dei figli e su una sentenza penale di condanna del padre.


Da tale pronuncia si è desunto un comportamento di reiterate violenze e umiliazioni inflitte alla moglie e ai figli, protrattosi per quasi vent'anni, costando all'uomo una condanna a tre anni di reclusione per il reato continuato di maltrattamenti contro familiari ex art. 572 del codice penale.


Per i giudici, dunque, non si vede come il ricorrente possa dedurre un difetto di prova circa un comportamento talmente grave da essere stato sanzionato severamente anche in sede penale e che i figli hanno attestato nuovamente nel giudizio civile. Inoltre, appare manifestamente evidente il nesso di causalità tra tale condotta e la crisi del matrimonio.


Secondo gli Ermellini deve ribadirsi che le violenze fisiche e morali costituiscono violazioni talmente gravi e inaccettabili dei doveri nascenti dal matrimonio da fondare, di per sé sole, anche se concretatesi in un unico episodio di percosse, non solo la pronuncia di separazione personale, in quanto cause determinanti l'intollerabilità della convivenza, ma anche la dichiarazione della sua addebitabilità all'autore.


La loro gravità è tale che il giudice è esonerato dal dovere di comparare con esse, ai fini dell'adozione delle relative pronunce, il comportamento del coniuge che sia vittima delle violenze trattandosi di atti che, in ragione della loro estrema gravità, sono comparabili solo con comportamenti omogenei.


Anche per l'affidamento del figlio minore va confermato l'affidamento alla madre, senza precludere la possibilità di recuperare la genitorialità condivisa: i Servizi Sociali, pur avendo evidenziato una valutazione astratta della sua capacità genitoriale, hanno sottolineato i gravissimi comportamenti posti in essere nel corso del matrimonio e a cui deve ascriversi la situazione traumatica sofferta dai figli che appare ancora in atto soprattutto per quanto riguarda il figlio minore.

Cass., I sez. civ., sent. n. 22689/2017

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