Le luci e le vedute sono le aperture presenti sugli edifici e soggiacciono a una specifica regolamentazione dettata dal codice civile

Luci e vedute: cosa sono

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Le luci, secondo il codice civile, sono quelle aperture che consentono il passaggio di luce e aria, ma non permettono di affacciarsi sul fondo del vicino. Le vedute, invece, sono definite come le finestre o le altre aperture che consentono l'affaccio e il guardare di fronte, obliquamente o lateralmente.

Ai fini di una più compiuta disamina vediamo come sono disciplinate luci e vedute nell'ordinamento giuridico e quali sono le differenze.

Le luci

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La norma alla quale fare riferimento in prima battuta è l'art. 901 del Codice Civile il quale così dispone: "Le luci che si aprono sul fondo del vicino devono: 1) essere munite di un'inferriata idonea a garantire la sicurezza del vicino e di una grata fissa in metallo le cui maglie non siano maggiori di tre centimetri quadrati; 2) avere il lato inferiore a un'altezza non minore di due metri e mezzo dal pavimento o dal suolo del luogo al quale si vuole dare luce e aria, se esse sono al piano terreno, e non minore di due metri se sono ai piani superiori; 3) avere il lato inferiore a un'altezza non minore di due metri e mezzo dal suolo del fondo vicino, a meno che si tratti di locale che sia in tutto o in parte a livello inferiore al suolo del vicino e la condizione dei luoghi non consenta di osservare l'altezza stessa".

Le luci sono state definite dalla giurisprudenza come quelle aperture che, sebbene consentano l'accesso ed il passaggio di aria e di luce non sono in grado di garantire la possibilità di vista né tanto meno l'affaccio sul fondo altrui (Cass. 13 agosto 2014, n. 17950).

Luci, i parametri da rispettare

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Di conseguenza la legge si premura, soprattutto al fine di garantire la sicurezza e la riservatezza del vicino, di imporre determinati parametri che le luci debbono rispettare.

Dapprima è necessario che le stesse siano munite di un'inferriata e di una grata fissa in metallo, con maglie non maggiori di tre centimetri quadrati così da impedire al proprietario di poter gettare oggetti sul fondo contiguo. Il n. 2 dell'art. 901 c.c. impone determinati parametri per quello che riguarda la c.d. luce regolare (altezza ecc.). Se una luce non rispetta detti parametri verrà considerata comunque una luce, ma irregolare ed il vicino, in qualsiasi momento, ha il diritto di pretendere che la stessa venga resa regolare (art. 902, comma 2, c.c., ma anche Cass. 10 gennaio 2013, n. 512). Il diritto dominicale del proprietario comprende altresì la facoltà di potere aprire luci nel suo muro ma il vicino può, in ogni tempo, chiuderle se costruisce in aderenza o in appoggio al muro nel quale le luci (siano esse regolari o irregolari) risultino aperte (art. 904 c.c. ma anche Cass. 4 dicembre 2014, n. 25635. V anche Torrente - Schlesinger, Manuale di diritto privato, XXII° edizione, p. 298).

Le vedute

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La norma chiarificatrice e descrittiva dell'istituto delle vedute è, invece, l'art. 900 c.c. il quale dispone che "Le finestre o altre aperture sul fondo del vicino sono di due specie: luci, quando danno passaggio alla luce e all'aria, ma non permettono di affacciarsi sul fondo del vicino; vedute o prospetti, quando permettono di affacciarsi e di guardare di fronte, obliquamente o lateralmente".

Vedute, il rispetto delle distanze

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Il proprietario, anche qui in virtù del suo diritto dominicale, può sempre aprire vedute nel muro contiguo, ma è tenuto al rispetto delle distanze minime dal confine tracciate dagli articoli 905 e 906 c.c..

Ovviamente, il proprietario del fondo contiguo non può chiuderle e se costruisce sul suo deve rispettare le distanze minime indicate nell'articolo 907 c.c. (Cass. 22 agosto 2013 n. 19429 e Torrente - Schlesinger, Manuale di diritto privato, XXII° edizione, p. 298) che qui di seguito si riporta: "Quando si è acquistato il diritto di avere vedute dirette verso il fondo vicino, il proprietario di questo non può fabbricare a distanza minore di tre metri, misurata a norma dell'articolo 905. Se la veduta diretta forma anche veduta obliqua, la distanza di tre metri deve pure osservarsi dai lati della finestra da cui la veduta obliqua si esercita. Se si vuole appoggiare la nuova costruzione al muro in cui sono le dette vedute dirette od oblique, essa deve arrestarsi almeno a tre metri sotto la loro soglia".

Luci e vedute: differenza

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Le vedute dunque si distinguono dalle luci poiché consentono di poter guardare sul fondo del vicino (inspicere) senza l'ausilio di mezzi meccanici (Torrente - Schlesinger, Manuale di diritto privato, XXII° edizione, p. 297) ma anche di poter sporgere il capo su di esso (prospicere) per vedere di fronte, obliquamente o lateralmente.

Giurisprudenza

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Segnaliamo qui di seguito alcune delle più rilevanti sentenze emesse di recente aventi a oggetto le luci e le vedute.

"Posto che nella disciplina legale dei "rapporti di vicinato" l'obbligo di osservare nelle costruzioni determinate distanze sussiste solo in relazione alle vedute, e non anche alle luci, la dizione "pareti finestrate" contenuta in un regolamento edilizio che si ispiri all'art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968 - il quale prescrive nelle sopraelevazioni la distanza minima di dieci metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti - non potrebbe che riferirsi esclusivamente alle pareti munite di finestre qualificabili come "vedute", senza riconprendere quelle sulle quali si aprono finestre cosiddette "lucifere"" (Cass. n. 10069/2020).

"L'azione diretta alla demolizione di un'opera (nella specie, vedute e luci) perché realizzata a distanza inferiore a quella legale, dà luogo ad una "actio negatoria servitutis". Allorché il fondo nel quale sono state realizzate le opere da rimuovere appartenga a più soggetti, sussiste allora un'ipotesi di litisconsorzio necessario nei confronti di tutti costoro" (Cass. n. 7040/2020).

"Il partecipante alla comunione del cortile non può, in sostanza, aprire una veduta verso la cosa comune a vantaggio dell'immobile di sua esclusiva proprietà, finendo altrimenti per imporre di fatto una servitù a carico della cosa comune, senza che operi, al riguardo, il principio di cui all'art. 1102 c.c., il quale non è applicabile ai rapporti tra proprietà individuali e beni comuni finitimi, che sono piuttosto disciplinati dalle norme che regolano i rapporti tra proprietà contigue od asservite" (Cass. n. 26807/2020).


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Daniele PaolantiDaniele Paolanti - profilo e articoli
E-mail: daniele.paolanti@gmail.com Tel: 340.2900464
Vincitore del concorso di ammissione al Dottorato di Ricerca svolge attività di assistenza alla didattica.

Foto: 123rf.com
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