Rimessa alla Corte Costituzionale la questione di legittimità della l. n. 18/2015 di riforma della responsabilità civile dei magistrati

di Marina Crisafi - A circa due mesi dalla sua entrata in vigore, la riforma sulla responsabilità civile dei magistrati va incontro al rischio di una dichiarazione di incostituzionalità.

I motivi, sollevati dal Tribunale di Verona con la recente ordinanza (qui sotto allegata), riguardano in primis l'ipotesi di responsabilità per travisamento del fatto o delle prove che risulta "equivoca" consentendo di "censurare qualsiasi valutazione dei fatti o del materiale probatorio compiuta dal giudice - che risulti - non gradita o sfavorevole, semplicemente qualificandola come travisamento" e rivelandosi dunque "del tutto inidonea a delimitare, conformemente ai parametri costituzionali degli artt. 101, comma 2, 111 comma 2, Cost., l'ambito della responsabilità del magistrato".

In definitiva, le "maglie" della nuova legge sarebbero troppo larghe comportando, secondo il giudice rimettente, "una estrema incertezza anche nella individuazione dell'ambito di applicazione di altri istituti che influiscono direttamente sull'esercizio della funzione giurisdizionale".

Ma non solo.

Nel "mirino" del giudice veneto che ha rimesso la questione di legittimità costituzionale della l. n. 18/2015 alla Corte Costituzionale , ci sarebbero diversi profili da valutare.

Altra falla nella novella sarebbe rappresentata infatti dall'abrogazione del c.d. "filtro di ammissibilità" che permetteva un vaglio preventivo sulla fondatezza o meno della domanda, consentendo al giudice, laddove avesse ritenuto la domanda ammissibile, di disporre la prosecuzione del giudizio e la trasmissione degli atti al titolare dell'azione disciplinare, il quale, a sua volta, avrebbe dato inizio all'azione disciplinare.

Ciò impediva, si legge nell'ordinanza, da un lato "la proliferazione di inutili giudizi di merito consentendo al contempo che i processi ammissibili potessero giovarsi di una più rapida trattazione nel merito". Dall'altro e in via prioritaria, tutelava "la serenità del singolo magistrato, che, al riparo da azioni pretestuose e temerarie, poteva veder limitato il peso dell'esposizione processuale a casi e tempi razionalmente circoscritti e quindi indirettamente ancora una volta l'esercizio indipendente della giurisdizione".

L'operata eliminazione, continua il giudice rimettente, "offre ora ad una parte, priva di remore o anche solo particolarmente determinata, la duplice alternativa di condizionare la valutazione del giudice, o di provocare la sua astensione, e con essa la dilatazione dei tempi di definizione del giudizio".

Da non dimenticare, infine, l'azione di rivalsa dello Stato a carico del magistrato che è verosimile, continua l'ordinanza, avvenga in ogni caso, considerato che risulta "impossibile stabilire esattamente quali siano i casi in cui essa non è obbligatoria, con la conseguenza che l'organo deputato a promuoverla sarà indotto a non effettuare nessuna valutazione al riguardo e a proporla in ogni caso". E neanche la clausola di salvaguardia, pur formalmente ribadita, conclude il giudice di Verona, vale a definire in modo sufficiente il suo ambito di applicazione, addirittura potendo "dubitarsi che essa permanga effettivamente".

Posti i dubbi di legittimità, ora non resta che attendere la decisione della Consulta. 

Scarica l'ordinanza del tribunale di Verona

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