Di Laura Tirloni - Psicologa Clinica

tirloni.laura@hsr.it

La persuasione, si sa, è un'arte e in quanto tale può affinarsi col tempo e con l'esperienza, per esercitare un'influenza rilevante sul pubblico. Può capitare, tuttavia, che nonostante si articoli con ineccepibile accuratezza il discorso, il nostro tentativo di persuadere chi ci ascolta fallisca miseramente. In quei casi possiamo interrogarci sulla ragione, vista l'inattaccabilità degli argomenti, l'impeccabilità della forma e l'ottimo confezionamento del prodotto finale. E se la colpa risiedesse proprio nella mancanza di passione? Se così fosse, come potrebbe il pubblico coinvolgersi se i primi a non essere trascinati emotivamente siamo proprio noi? A conferma di ciò sta il fatto che di solito risulta piuttosto complicato persuadere gli altri rispetto a qualcosa che non appassiona realmente anche noi. Ma come possiamo rendere la nostra comunicazione più coinvolgente per chi ci ascolta e per noi stessi?

I ricercatori si sono messi all'opera per approfondire l'argomento. In uno studio di Scherer e Sagarin (2006) si è voluto verificare in che misura la presenza di imprecazioni in un discorso potesse contribuire a cambiare gli atteggiamenti del pubblico. In altre parole, i ricercatori hanno voluto verificare se una modalità non convenzionale di persuadere attraverso l'intensità del discorso potesse essere quella di utilizzare una giusta dose di "parole forti" o se questa, al contrario, non rischiasse di intaccare la credibilità del persuasore. Venne pertanto arruolato un gruppo di 88 studenti di psicologia del Midwest, suddivisi in tre gruppi, per assistere a tre discorsi, in uno dei quali era presente una piccola imprecazione all'inizio della frase: '…ridurre le tasse scolastiche non è solo una buona idea, maledizione! E' anche la più ragionevole per tutte le parti coinvolte'. Nel secondo discorso, la parola "maledizione" era collocata alla fine, mentre nel terzo non vi era alcuna imprecazione.

Misurati gli atteggiamenti degli studenti si evidenziò, come i ricercatori avevano ipotizzato, che i soggetti erano stati più influenzati dai due discorsi contenenti un'imprecazione, rispetto a quello che non ne conteneva affatto. L'imprecazione, inoltre, non aveva influenzato negativamente il pubblico, bensì aumentato l'enfasi del discorso, che era apparso più spontaneo e coinvolgente.

Questo modo informale di presentare un contenuto può essere utilizzato in vari contesti e in tutte quelle occasioni in cui si intende attirare l'attenzione su un argomento che ci sta a cuore e che vogliamo mettere in rilievo anche per gli altri. Un esempio di intensità legata alla persuasione oggi, in Italia, può riguardare la passata campagna elettorale di Beppe Grillo. Al di là dei contenuti, 'alzare i toni' tra l'enunciazione di un'idea e un'altra, ha senza dubbio contribuito a imprimere una spinta e ad ottenere maggiore consenso verso il suo movimento.

Può essere che una tendenza troppo marcata e reiterata verso l'imprecazione risulti pregiudicante rispetto alla credibilità, soprattutto nel lungo periodo. Ma il pubblico è pur sempre attratto dal "pathos", cerca il coinvolgimento, vuole potersi emozionare e percepire la passione nelle parole del persuasore, che in questo modo, anche nello sfogo, risulta più umano e quindi più vicino e autentico.

Mai come in campo giudiziario, l'attività di persuasione si rivela così fondante. Pensiamo ad esempio all'arringa: se la presentazione risulta appassionata, condita da una buona dose di enfasi, pathos e perché no, qualche espressione forte, ha sicuramente più chance di apparire coinvolgente, più sentita e quindi, più convincente.

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