di Licia Albertazzi - Corte di Cassazione Civile, sezione terza, sentenza n. 8224 del 4 Aprile 2013.
I recenti interventi legislativi a riforma del codice di procedura civile (legge 220/2012 e 228/2012) hanno modificato la figura del ricorso in appello introducendo ipotesi molto stringenti. In particolare è stato aggiornato l'art. 345 c.p.c. sottraendo al giudice qualsiasi possibilità di valutazione discrezionale di immissione di nuove prove, al di fuori delle ipotesi di legge, nel procedimento d'appello. E' stato inoltre istituito il c.d. filtro in appello, in base al quale spetta al giudice effettuare un'indagine prognostica volta ad accertare la presenza del fumus boni iuris, cioè di elementi che potenzialmente possano portare ad una decisione giudiziale favorevole al ricorrente.

Nella sentenza

di specie la Suprema Corte interviene per esplicare i criteri in base ai quali viene valutato il requisito della indispensabilità della prova, caratteristica indispensabile per introdurre quest'ultima ex novo nel processo d'appello. Principio fondamentale del giudizio di secondo grado è infatti il divieto di introduzione di prove nuove.

Il giudice d'appello deve accertare che la mancata proposizione della prova in primo grado non sia stata dovuta a negligenza delle parti ma causata da un motivo ad esse non imputabile, oppure ancora dal fatto che in quel determinato contesto processuale tale prova sia stata valutata come superflua e non rilevante da parte del giudice di primo grado. Superato tale vaglio preliminare, resta tuttavia fermo il giudizio di rilevanza probatoria effettuato dalla stessa Corte d'Appello.
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