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Mobbing: la vittima deve provare il dolo del mobber

Il Tar Lazio si occupa di mobbing lavorativo in una fattispecie relativa a plurimi dinieghi di trasferimento del militare. Come fornire la prova del mobbing


Mobbing nella giurisprudenza amministrativa

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In modo pressochè univoco ormai le sentenze di tanti giudici delineano i presupposti per sostenere in causa una valida azione risarcitoria per mobbing.
Questi presupposti sono sostanzialmente due:
1) l'elemento oggettivo, integrato da una pluralità di specifici comportamenti del datore di lavoro;
2) l'elemento soggettivo, ossia l'intento persecutorio del datore.

Elementi del mobbing nella giurisprudenza

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Vediamo, un pò più da vicino, di che cosa si tratta, pur restando nell'ottica di un commento sintetico.
Partiamo con il dire che nel settore del pubblico impiego non privatizzato, la giurisdizione per la domanda di risarcimento spetta in sede esclusiva al giudice amministrativo; tale giurisdizione si estende anche alla cognizione delle azioni sul risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali che dovessero derivare dal cosiddetto mobbing, con la condizione che l'azione proposta possa qualificarsi in termini di responsabilità contrattuale per violazione dell'obbligo di garanzia imposto dall'art. 2087 c.c. che, come è noto, si occupa della tutela delle condizioni di lavoro.
Detto ciò, va poi ricordato che la valutazione del giudice si appunta sulla unitarietà della condotta del datore protratta nel tempo: cioè non si vanno a guardare i singoli episodi presumibilmente mobbizzanti, ma l'insieme di questi, come se fosse un tutto unitario.
Pensiamo al caso in cui l'amministrazione militare neghi ripetutamente al dipendente il trasferimento presso altra sede, da lui richiesto molte volte, condotta cui magari si combinano altri comportamenti opachi che fanno pensare ad una vessazione come, per esempio, il mancato ingiusto riconoscimento di una causa di servizio o altro ancora.
Bene, tanto precisato, bisogna tenere presente che l'eventuale ricorso, per avere maggiori probabilità di essere accolto, deve accompagnarsi alla prova degli elementi costitutivi del mobbing, con particolare riferimento alla sussistenza di una condotta complessa e protratta nel tempo, incongrua rispetto all'ordinaria gestione del rapporto di lavoro, connotata da un intento persecutorio e vessatorio.

La prova del mobbing secondo la giurisprudenza

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La prova si può fornire in questo modo:
a) si deve dimostrare la molteplicità e la globalità dei comportamenti a carattere persecutorio, illeciti o anche leciti, posti in essere contro il dipendente secondo un disegno vessatorio protratto nel tempo;
b) si deve dimostrare l'evento lesivo sulla salute del dipendente;
c) si deve dimostrare il nesso tra la condotta del datore, o superiore gerarchico, e la lesione dell'integrità psicofisica del dipendente;
d) si deve dimostrare l'intento persecutorio.
Molta importanza, per i giudici, riveste questo quarto aspetto: l'intento persecutorio.

Qui va tenuto presente che l'onere della prova dell'animus nocendi, pur potendo essere soddisfatto mediante presunzioni fondate sulle caratteristiche dei comportamenti tenuti dal datore, grava sul dipendente.
In sostanza: la ricostruzione giurisprudenziale del mobbing richiede alla vittima di provare il dolo del mobber (sul tema del mobbing lavorativo nel pubblico impiego v. sentenza Tar Lazio n. 11343/2020).

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Data: 02/02/2021 12:00:00
Autore: Francesco Pandolfi