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Disciplina militare: relazione tra sanzione e fatto

La sanzione applicabile ad un caso deve essere proporzionata al fatto commesso. Orientamenti dei giudici amministrativi in materia


Procedimento disciplinare militare

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All'interno della complessa materia riguardante il procedimento disciplinare a carico di militari, c'è da chiedersi quale criterio debba seguire l'amministrazione quando viene chiamata a scegliere la sanzione da applicare nel concreto.
Sembra evidente che solo una corretta risposta a questo interrogativo consente di impostare il procedimento disciplinare in modo conforme alle norme che lo presidiano.

Relazione tra sanzione e fatto

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Ebbene, diciamo subito che una cosa è dire e verificare che la sanzione applicabile ad un determinato caso è proporzionata al fatto commesso dal militare, cosa ben diversa è invece appurare che non sussiste una reale proporzione tra le due variabili in gioco.

Ciò significa che, in materia di esercizio del potere disciplinare sugli appartenenti alle Forze armate o corpi armati dello Stato l'amministrazione, scegliendo la sanzione da applicare dovrà motivare la sua scelta, mettendo in evidenza la proporzione che deve esserci fra la predetta sanzione e il fatto commesso dal dipendente.

Proporzione della sanzione

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Il tema della proporzione della sanzione è centrale in questa delicata materia; non a caso ne hanno scritto a profusione i giudici amministrativi di primo grado e di appello.
Centrale in quanto va a toccare direttamente l'equilibrio richiesto per il vaglio disciplinare ad opera dell'amministrazione di appartenenza del dipendente.
Dicevamo delle indicazioni offerte dalla magistratura: ad esempio, in diverse sentenze si può leggere il principio in virtù del quale è da escludere che un comportamento illecito isolato, magari anche costituente reato e comunque commesso dal militare che abbia prestato giuramento di fedeltà, giustifichi in astratto e sempre una misura disciplinare massima, estintiva del rapporto di lavoro.

Orientamenti dei giudici

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La Quarta Sezione del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 1134/20 del 13 febbraio 2020, richiamandosi alla sentenza n. 7335 del 19 ottobre 2019 e n. 3414 del 7 giugno 2011, ha voluto proprio rimarcare il principio appena illustrato.
Il Supremo Collegio, in buona sostanza, vuole dire che mentre l'esercizio del potere disciplinare sugli appartenenti alle Forze Armate è di certo espressione di discrezionalità, fino a un certo punto sindacabile in sede di giudizio, dall'altra parte è altrettanto vero che è ammessa una critica all'operato dell'amministrazione in tutti i casi dove l'esito del giudizio sia chiaramente abnorme, illogico, contrario al criterio della proporzionalità che, per sua natura, impone di differenziare la sanzione in presenza di fatti diversi.

In pratica

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Il succo della teoria sopra illustrata, visto anche l'orientamento del Consiglio di Stato nella sua sezione specializzata, si può racchiudere in un concetto di base: sarà respinto un eventuale appello proposto dal Ministero contro una sentenza di primo grado favorevole al militare in tutti i casi in cui non sia rispettato il criterio della proporzione tra la sanzione da applicare e il fatto commesso dal dipendente sotto giudizio disciplinare.
Altre informazioni?
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Data: 11/10/2020 06:00:00
Autore: Francesco Pandolfi