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Commessa che, mediante accorgimento fraudolento, acquista un capo di abbigliamento ad un prezzo inferiore: per la Cassazione giusta causa di licenziamento, nonostante la tenuità del danno

Nota alla sentenza Cass.Lav.18 settembre 2014,n.19684 a cura del Prof. Avv. Stefano Lenghi .


Avv. Prof. Stefano Lenghi

Il principio affermato dalla SupremaCorte nel caso sottoposto a sua disamina.

Con la sentenza richiamata inepigrafe la Corte di Cassazione è tornata a pronunziarsi in tema dilicenziamento per giusta causa, affermandone la legittimità nel caso dellacommessa di un negozio, che,approfittando delle mansioni di addetta al reparto abbigliamento e ai camerinidi prova, aveva intenzionalmente cambiato i talloncini segnaprezzo di due capidi abbigliamento, al fine di acquistare uno di essi con il prezzo minore,anziché al prezzo originariamente segnato.

Le vicende processuali, cui lafattispecie ha dato luogo.

A seguito del comportamentotenuto dalla addetta alle vendite, sig.ra M.R., la datrice di lavoro società I.srl adottò il licenziamento per giusta causa della dipendente.

La lavoratrice impugnò illicenziamento avanti al giudice di primo grado, il quale rigettò il ricorso.

Avverso l'appello presentatodalla dipendente contro la società A. spa (nella quale si era, nel frattempo, fusala originaria datrice di lavoro I. srl), la Corte territoriale di Cataniarespinse la pretesa attorea, assumendo che:

*)

la prova testimoniale svolta ingrado d'appello aveva pienamente confermato i fatti quali esposti da partedatoriale e, in particolare, che la lavoratrice si era resa responsabile,mediante un accorgimento fraudolento, di acquistare un capo di abbigliamento adun prezzo inferiore a quello fissato nel talloncino;

**)

la sanzione del licenziamento nonpoteva ritenersi sproporzionata in relazione ai fatti contestati, poiché, aprescindere dal valore lieve del danno procurato all'azienda, era evidente la perdita di fiducia nella propriadipendente, che di per sé valeva come giusta causa per il licenziamento,essendo stato accertato che la M.R., profittando delle sue mansioni di addettaal reparto abbigliamento e ai camerini di prova, aveva intenzionalmentecambiato i talloncini segnaprezzo di due capi di abbigliamento, al fine diacquistare uno di essi con il prezzo minore, anziché al prezzo originariamentesegnato.

Contro la decisione della Corteterritoriale propose ricorso per cassazione la dipendente, argomentando, insostanza, che i fatti contestatile erano l'effetto di una ridotta capacitàvisiva e che la Corte di merito non aveva, inoltre, tenuto adeguatamente contodella modesta entità del danno, dell'assenza di precedenti disciplinari, delleprecarie condizioni fisiche della ricorrente e della mancata attivazione di unprocedimento penale in relazione al fatto contestato.


Il pensiero della Corte di legittimità.

La sentenza, che abbiamo sceltodi commentare, condividendo pienamente le argomentazioni svolte dalla Corted'Appello di Catania, ha respinto il ricorso di parte attrice.

Innanzitutto, il Supremo Consesso,richiamandosi alla linea di pensiero già espressa in precedenza dal suo magisterogiurisprudenziale, afferma, in sostanza, che la tenuità del danno patrimonialeè da considerarsi irrilevante o, comunque, non incidente, se poi il fattooggettivo assume valore sintomatico “rispetto ai futuri comportamenti dellavoratore e, quindi, alla fiducia che nello stesso può nutrire l'azienda,essendo necessario”, ai fini della riconducibilità del comportamentonell'ambito della giusta causa, “che i fatti addebitati rivestano il caratteredi grave negazione degli elementi del rapporto di lavoro e, specialmente,dell'elemento essenziale della fiducia, cosicchè la condotta del dipendente siaidonea a porre in dubbio la futura correttezza del suo adempimento (cfr., explurimis, nn.11806/1997; 5633/2001)”.

Orbene, osserva la Corte, “allaluce di tali principi deve, quindi, essere condivisa la valutazione resa dallaCorte territoriale, poiché proprio ildimostrato carattere fraudolento, nella specie palesemente doloso epremeditato, della condotta della lavoratrice è sintomatico della sua, ancheprospettica, inaffidabilità e, come tale, idoneo ad incidere in maniera graveed irreversibile, nonostante la modesta entità del danno patrimoniale e lamancanza di precedenti disciplinari, sull'elemento fiduciario”.

Aggiunge, poi, in secondo luogo,la Suprema Corte, che è da respingere l'assunto prospettato da parte attrice,e, secondo la medesima, confortato e dimostrato dalla prodotta documentazionecirca le sue precarie condizioni di salute, in quanto “lo svolgimento deifatti, quali accertati e descritti nella sentenza impugnata, esclude di per séche gli stessi possano essere stati l'effetto di una ridotta capacità visiva”(la ricorrente aveva, appunto, cercato di sostenere che il cambio dei talloncinisegnaprezzo sui capi di abbigliamento non era stato posto in essereintenzionalmente, dovendo esclusivamente imputarsi alla sua ridotta capacitàvisiva…., circostanza che la Corte ha ritenuto di poter assolutamente escludereproprio sulla base dell'accertamento dei fatti operato dalla Corteterritoriale).


Qualche riflessione in punto di dirittosulla motivazione della sentenza.

Ci sembra proprio che questoassunto della Corte di legittimità, che si colloca armonicamente nella linea dipensiero già espressa dal supremo magistero giurisprudenziale, meriti di esserein toto condiviso, fondandosi su validi criteri interpretativi.

A nostro modesto avviso, infatti, se il fatto-comportamento contestato allavoratore, per il suo carattere fraudolento e, nella specie, come rileva lasentenza, evidenziante palesemente il dolo e la premeditazione, è di tale intrinsecagravità da ledere irrimediabilmente ed irreversibilmente, in sè e per sè oggettivamentee soggettivamente considerato, il rapporto fiduciario e da porre in dubbio ognipossibilità del prestatore di comportarsi in futuro correttamente, non vi èdubbio che il comportamento stesso realizzi già, di per sè, pienamente ilparadigma normativo dell'art.2119 del codice civile, in quanto saremmo in presenzadi “una causa” talmente grave da non consentire “la prosecuzione, ancheprovvisoria, del rapporto”. E' chiaro, pertanto, che elementi, quali la modestaentità del danno e la mancanza di precedenti disciplinari, siano daconsiderarsi circostanze attenuanti del tutto irrilevanti, risultando ilrichiamato modello normativo già integralmente realizzato dal comportamentooggettivo e soggettivo del lavoratore.

A diversa conclusione dovrebbe, invece, pervenirsi (ed anche in ciòsentiamo di essere in piena sintonia con il magistero della Suprema Corte), oveil fatto, pur costituendo un addebito di rilevante gravità, non sia, di per sé,idoneo a compromettere irrimediabilmente, anche per il futuro, l'elementofiduciario. In tal caso sarebbe, infatti, consentito al datore unicamentel'esercizio del potere disciplinare in senso conservativo, a meno che il datorepossa addurre, a carico del lavoratore, dei precedenti disciplinari, legittimamentesanzionati nel biennio anteriore all'ultimo fatto contestato, che, valutati contestualmenteal fatto stesso, inducano a formulare un giudizio di totale irrimediabile compromissionedell'elemento fiduciario.

E'chiaro che, in tale ultima ipotesi,la consapevolezza, in capo al lavoratore, di aver causato un danno tutt'altro chetenue, così come la presenza, a carico dello stesso, di eventuali precedentidisciplinari, avrebbero una loro incidenza aggravante nell'economia dellavalutazione della fattispecie in termini di lesione della fiducia, proprioperché, stante l'inidoneità del comportamento, in sè e per sè considerato neisuoi elementi oggettivi e soggettivi, alla irrimediabile lesione del rapportofiduciario, si manifesta la necessità di utilizzare, se mai vi siano, ulteriorielementi idonei a conferire al medesimo quella maggiore gravità della responsabilitàdisciplinare del lavoratore richiesta ai fini dell'adozione del provvedimentoespulsivo.

Concordiamo, infine, con la lineadi pensiero espressa nel suo insegnamento dalla Corte di legittimità nelritenere che la mancata attivazione, da parte datoriale, di un procedimentopenale in relazione al fatto contestato non sia elemento suscettibile diincidere in modo determinante o, comunque, apprezzabile sulla valutazione daoperare in merito al fatto stesso, potendo essere tale elemento correlato anchea valutazioni di convenienza da parte datoriale e trattandosi di aspetto chelascia, comunque, immutata la gravità intrinseca del comportamento dellavoratore, anche se esso dev'essere,altresì, valutato alla luce della gravità del fatto addebitato sul pianopenalistico;

E, per concludere, un quadro riassuntivodi punti-luce in materia di “giusta causa”.

Dopo esserci intrattenutisulla motivazione della sentenza de qua per illustrare e sviluppare leargomentazioni da essa svolte, desideriamo concludere questo nostro interventofornendo ai lettori una succinta e, riteniamo, sempre utile rivisitazione diquelle che sono un po' le linee-guida, che possono ormai considerarsi puntifermi del pensiero dottrinale e giurisprudenziale in subiecta materia:

a)

la giusta causa, che è presupposto di legittimità del licenziamentosenza preavviso (e, cioè, con effetto immediato, il c.d. licenziamento intronco), ai sensi dell'art.2119 del codice civile, è, secondo la formulazione del modello normativo,una causa che non consente la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto dilavoro (a differenza, invece, del licenziamento per giustificato motivosoggettivo e del licenziamento per giustificato motivo obiettivo, che, ai sensidell'art 3 della legge 15 luglio 1966 n.604 sulla disciplina dei licenziamentiindividuali, sono, ambedue, ipotesi di risoluzione del rapporto di lavoro conpreavviso);

b)

secondo la ricostruzione logico-sistematica operata dall'elaborazionedel pensiero dottrinale e giurisprudenziale, la giusta causa, in applicazionedel summenzionato art.2119 del codice civile, si sostanzia in un comportamentoimputabile a colpa del lavoratore e talmente grave da ledere irrimediabilmenteed irreversibilmente, anche per il futuro, quella fiducia che ogni datore dilavoro deve poter riporre nei propri collaboratori subordinati e da non poter proseguireil rapporto di lavoro neppure provvisoriamente.

Non può, pertanto, esserericondotto nell'ambito della giusta causa un fatto che, pur potendo, sul pianofattuale, impedire la prosecuzione anche provvisoria del rapporto di lavoro,non sia imputabile a colpa del lavoratore (si pensi ad un fatto naturale, cheprovochi la materiale distruzione dell'impresa, come, ad es., un attentato, un incendio,un terremoto o altro evento che renda completamente inutilizzabile l'interastruttura amministrativa e produttiva dell'impresa, fatto, questo, che nonpotrebbe che costituire il presupposto giuridico per l'adozione di unlicenziamento dei dipendenti interessati per giustificato motivo obiettivo, che,come già osservato, è un caso di risoluzione del rapporto di lavoro conpreavviso);

c)

la giusta causa, oltre a concretizzarsi in un fatto di estremagravità imputabile a colpa del lavoratore, a differenza di quanto avviene peril giustificato motivo di carattere soggettivo, può anche sostanziarsi in un comportamento che nulla ha a che vederecon l'inadempimento, da parte del prestatore, di uno degli obblighi su di lui contrattualmentegravanti come lavoratore subordinato, ben potendo consistere anche in uncomportamento che, seppur estraneo al rapporto di lavoro, per come si riflettesul giudizio che si può operare della persona sul piano della correttezza edonestà o della sua pericolosità nei rapporti sociali ed anche in azienda, nonchèper la correlazione con il tipo di mansioni svolte, consenta al datore di poterugualmente formulare una valutazione in termini di totale compromissione, ancheper il futuro, del rapporto fiduciario.

Si pensi, tanto per addurre un caso professionalmente vissuto, dachi scrive, come avvocato datoriale, al lavoratore, oltretutto conresponsabilità di maneggio denaro, che, pur essendo considerato, all'internodell'azienda, un dipendente modello per la sua correttezza, capacità e diligenza,è oggetto, in gran segreto, di un'indagine di polizia, che poi accerta e provach'egli da qualche anno opera, all'esterno dell'azienda, come spacciatore didroga, facente capo, oltretutto, ad una pericolosa organizzazione criminale. E'sin troppo evidente che siamo in presenza di persona che, seppur comedipendente non sia censurabile sotto alcun punto di vista, ha, però, tenuto uncomportamento di tale gravità da aver compromesso irrimediabilmente quellafiducia che il datore avrebbe dovuto poter riporre in lui, vuoi per la gravitàdel fatto sul piano penalistico, vuoi per la situazione di allarme sociale cheil fatto stesso ha suscitato e non soltanto nella città ove aveva sedel'azienda, vuoi anche perché il fatto era ormai di dominio pubblico, persinoall'interno dell'azienda, vuoi, infine, per i riflessi e le conseguenzenegative che avrebbero potuto prodursi (e non si sa se non si siano in qualchemisura prodotte!) all'interno dell'azienda stessa, un soggetto, insomma, alquale non poteva certo essere conservato un minuto di più il posto di lavoro….;

d)

se il fatto addebitato, per la rilevante gravità dell'inadempienza e perle modalità del suo manifestarsi, che lo caratterizzano come palesementedoloso, fraudolento e premeditato, è di per sè, idoneo a compromettere irrimediabilmenteil rapporto fiduciario ed a porre pienamente in dubbio la futura correttezzadel lavoratore, a nulla varrebbe, per il lavoratore, invocare l'assenza a suocarico di precedenti disciplinari e/o la tenuità del danno da esso arrecato aldatore quali circostanze attenuanti la gravità del fatto, avendo già, di per sè,il comportamento contestato la capacità di realizzare, nei suoi elementioggettivi e soggettivi, il paradigma normativo, di cui all'art.2119 del codicecivile;

e)

ove, invece, il comportamento del lavoratore, per il tipo di condottaposta in essere o per le sue modalità di manifestazione, non sia stimabile digravità tale da menomare irrimediabilmente il rapporto fiduciario (come neicasi di non rilevante insubordinazione, inadempienza non particolarmente grave,assenza di dolo o premeditazione, colpevolezza dell'autore non particolarmenteintensa o nei casi in cui il prestatore abbia agito per semplice leggerezza odistrazione o stanchezza o provocazione o inganno o malore, ecc.), è chiaro cheil medesimo non realizza, di per sè, il modello normativo, di cui all'art.2119del codice civile, per cui il comportamento stesso non potrà condurreall'adozione di provvedimenti espulsivi, ma potrà dal datore essere sanzionatounicamente con l'adozione di provvedimenti disciplinari conservativi, inconformità a quanto previsto dall'art.7 della legge 20 maggio 1970 n.300;

f)

in relazione a quanto esposto nelprecedente punto e), val la pena, però, di tenere presente che, nel caso di addebitoal lavoratore di un comportamento del tipo di quello descritto nel precedentepunto e), o di addebito indubbiamente di rilevante gravità, ma di cui siaincerta o non facilmente provabile l'idoneità a menomare irrimediabilmente,anche per il futuro, il rapporto fiduciario, la magistratura del lavoro tende ariconoscere la legittimità del provvedimento espulsivo soltanto ove emerga chead esso il datore si sia determinato tenendo conto anche di fattidisciplinarmente rilevanti (regolarmente sanzionati) in cui sia incorso illavoratore nell'arco del biennio precedente, sul presupposto che, anche uncomportamento non di massima gravità, se valutato nel contesto di una pluralitàdi recidive del lavoratore in inadempimenti o illeciti (che hanno condotto aduna serie di sanzioni conservative progressivamente più pesanti), renda ben piùgrave la responsabilità disciplinare del lavoratore, inducendo a ritenere che possaessere venuta gradualmente meno quella fiducia, che si dovrebbe poter riporrein lui.

Quanto sopra, sia perché il licenziamento per giusta causa rappresentala reazione datoriale nei confronti di un lavoratore nel quale, per effetto diun solo addebito o di una serie di addebiti, non si possa più riporre, ancheper l'avvenire, alcuna fiducia, sia in applicazione del generale principio diproporzionalità tra gravità del comportamento contestato ed entità dellasanzione, statuito dall'art.2106, primo comma, del codice civile ed applicabilea tutti i provvedimenti di natura disciplinare.

Richiamiamo, pertanto, l'attenzionesull'opportunità che, nell'ipotesi dianzi descritta, da parte datoriale siproceda all'adozione di provvedimenti espulsivi unicamente in presenza dellerichiamate condizioni;

g)

l'entità del danno causato dal lavoratore al datore con il suocomportamento, mentre non può esercitare alcuna incidenza nell'economia dellavalutazione della gravità della fattispecie nel caso di comportamento descrittoal punto d), nell'ipotesi di comportamento non di per sè concretanteirrimediabile lesione del rapporto fiduciario, può, invece, senz'altro porsicome elemento idoneo a contribuire, anche in concorso con altre circostanze, a coloraredi maggiore o minore gravità il fatto contestato;

h)

per quanto concerne l'aspetto della attivazione o meno di unprocedimento penale in relazione al fatto contestato (quando esso, ovviamente,inerisse ad un comportamento di rilevanza penalistica), ci riportiamo alleconsiderazioni già in precedenza svolte.

Confermiamo, in proposito, diconcordare con la linea di pensiero espressa dalla Corte di legittimità nelritenere che la mancata attivazione, daparte datoriale, di un procedimento penale in relazione al fatto contestato nonsia elemento suscettibile di incidere in modo determinante o, comunque,apprezzabile sulla valutazione da operare in merito al fatto stesso, potendoessere tale elemento correlato anche a valutazioni di convenienza da partedatoriale e trattandosi di aspetto che lascia, comunque, immutata la gravitàintrinseca del comportamento del lavoratore (per cui, anche se il discorso dell'incidenzadell'elemento in questione è molto legato alla tipologia delle singolefattispecie, alla gravità del reato posto in essere ed all'intensità del dolo,il ruolo che detto elemento potrebbe giocare nel quadro delle valutazioni dellastoria disciplinare del lavoratore, si appalesa, tutto sommato, se nonirrilevante, certo non primario e, sempre, comunque, come già rilevato, dinessuna incidenza, ove, come nel caso di cui alla sentenza commentata, il fattoaddebitato sia già, di per sè, irrimediabilmente lesivo dell'elementofiduciario);

i)

la sussistenza della giusta causa dev'essere accertata valutando ilcomportamento contestato al lavoratore alla luce di tutte le circostanze del casoconcreto, al fine di determinare se il comportamento stesso, fotografato neisuoi elementi costitutivi e nella sua dinamica di svolgimento, anche per laintensità del dolo o della colpevolezza quali desumibili dalle modalità del suoconcreto manifestarsi, è idoneo a compromettere irrimediabilmente, anche per ilfuturo, il rapporto fiduciario.

In tale ottica giova sottolineare che tutte quelle clausole dellacontrattazione collettiva, che prevedono che determinate tipologie dicomportamento, astrattamente e genericamente individuate, possano esseresanzionate con il licenziamento per giusta causa, hanno valenza meramente esemplificativa(a volte è la stessa contrattazione collettiva a precisarlo), dovendo il datoredi lavoro provare che, non quel tipo di comportamentoastrattamente individuato, ma il comportamento analiticamente descritto nellalettera di contestazione, per come si è realmente manifestato nel contesto ditutte le circostanze del caso concreto e per l'intensità del dolo o dellacolpevolezza che da esso si desume, ha prodotto irreparabilmente la lesionedell'elemento “fiducia”.

In caso contrario, dovrebbe ammettersi la possibilità di una giustacausa “presunta”, ciò che si porrebbe in contrasto non solo con il modellonormativo dell'art.2119 del codice civile così come consegnatoci dallatradizione giuridica (è bene sottolineare a chiare note che non esiste nulla dipresunto nel diritto del lavoro e, quindi, neppure il giustificato motivosoggettivo od oggettivo “presunti”), ma anche con il principio cardinedell'ordinamento giuslavoristico italiano della rilevanza giuridica del fatto.

Tanto per considerare, ancora unavolta, una fattispecie, che ha coinvolto professionalmente e drammaticamente,alcuni anni or sono, l'autore di queste riflessioni, si pensi al caso di una giovanecommessa operante in uno dei numerosi supermercati milanesi di una primaria societàdi livello nazionale della grande distribuzione con sede a Milano, che, rifiutatae malamente espulsa dalla sua famiglia per una maternità procuratale da un amicoavversato dalla famiglia stessa e rifugiatasi presso il domicilio del padre delbambino, avendo subìto, oltre a minacce e vessazioni, anche la sottrazione dell'infantead opera dei familiari cui lei lo aveva temporaneamente affidato, sull'orlo diuna violentissima crisi depressiva, concepisce due tentativi di suicidio,sventati per un soffio dall'amico. La lavoratrice, in preda alla più cupadisperazione, implora il fidanzato di condurla temporaneamente lontano dallacittà, in un luogo ove possa non avere più contatti con il mondo, minacciando,in caso contrario, di rimettere in atto i suoi propositi suicidi. La ragazza,che viene portata dal fidanzato sulle rive del lago di Como, per ben ventigiorni non comunica, neppure telefonicamente, la sua assenza all'azienda, la quale,mediante azioni investigative intraprese per il tramite del servizio interno divigilanza, sorprende i due mentre tornano a riva dopo una gita in barca sudetto lago. L'azienda licenzia la commessa per giusta causa per effettodell'assenza completamente ingiustificata di gran lunga superiore a quella di cinquegiorni prevista dalla contrattazione collettiva (nella specie, per ben ventigiorni!). A seguito di impugnativa del licenziamento, nonostante la societàavesse cercato di enfatizzare la eccessiva gravità del comportamento di unalavoratrice che, per ben venti giorni, non dà alcun segno di vita, il giudicedi prime cure, con una sentenza sapiente ed esemplare, ha dichiaratol'illegittimità del licenziamento ed ordinato la reintegrazione nel posto dilavoro, in quanto il comportamento della dipendente era imputabile, con pienonesso eziologico, esclusivamente allo stato di totale tracollo psico-fisico,prostrazione e disperazione in cui essa era caduta per le angherie e minacce subitedai familiari, stato che aveva privato completamente la medesima della capacitàdi intendere e di volere, della capacità, in una parola, di comprendere laportata degli atti che essa aveva posto in essere, per cui il comportamentodella lavoratrice, difettando in esso ogni forma di dolo o di consapevolezza dioperare in modo abnorme, non era certo idoneo a ledere irrimediabilmente ilrapporto fiduciario, soprattutto tenuto conto che, attraverso l'audizione di numerositesti che il giudice ha voluto ad ogni costo escutere (direttore evicedirettore di filiale, nonché numerose responsabili di reparto dell'unità incui operava), si era appurato che la ricorrente doveva essere annoverata tra lemigliori dipendenti di tutta l'area milanese per capacità professionale,correttezza, impegno ed abnegazione e che, proprio per questo, ha chiosato il magistrato,“era, anzi, persona degna che fosse riposta in lei la migliore fiducia”! Il giudiceha, appunto, avuto modo di rilevare nella sua sentenza che le ipotesi di giustacausa richiamate dalla contrattazione collettiva hanno valore meramenteesemplificativo, dovendosi valutare, ai fini della sussistenza della giustacausa, il comportamento del prestatore alla luce di tutte le circostanze del casoconcreto, oggettive e personali del lavoratore, onde accertare se il medesimo,per gli elementi oggettivi della condotta e per la loro incidenzasull'intensità del dolo o della colpevolezza, sia idoneo a far considerare irrimediabilmenteleso il rapporto fiduciario;

l)

dalla storia dell'esperienza giurisprudenziale si evince, sul piano deidati statistici, che la magistratura del lavoro tende senz'altro a ricondurrenell'ambito della giusta causa quei comportamenti che presentano, per lo più,rilevanza penalistica (ovverosia previsti come reati), in considerazione dellaparticolare pericolosità che può ritenersi presente nell'autore e dellasituazione di allarme sociale che essi causano e che fanno sì che lacollettività statuale li abbia voluti presi in considerazione dalla leggepenale.

Ove, invece, il lavoratore ponga in essere una inadempienza o violazionenon costituente illecito penale, è certo necessaria un'analisi approfondita delcomportamento contestato sul piano della sua gravità oggettiva e soggettiva intermini di idoneità a ledere, di per sé, irrimediabilmente il rapportofiduciario.

Per il caso in cui ilcomportamento del lavoratore non sia, di per sè, irrimediabilmente lesivo delrapporto fiduciario, ci riportiamo, comunque, alle considerazioni svolte neiprecedenti punti e) ed f);

m)

poiché il licenziamento pergiusta causa, costituendo la più grave reazione datoriale avverso uncomportamento colpevole del lavoratore, è da ricondursi nell'ambito deiprovvedimenti disciplinari (tant'è vero che si parla di “licenziamentodisciplinare”), anche al medesimo dovranno applicarsi i primi cinque commidell'art.7 della legge 20 maggio 1970 n.300 (Statuto dei Lavoratori), che, principalmente,prevedono che il datore non possa adottare un provvedimento disciplinare piùgrave del rimprovero verbale se prima non siano trascorsi cinque giorni dallacontestazione per iscritto del fatto che vi ha dato causa e se prima illavoratore non sia stato sentito a sua difesa.

Com'è noto, al fine di rendere compatibile l'effetto della immediata risoluzionedel rapporto di lavoro con l'esigenza del rispetto delle richiamate garanzieapprestate al lavoratore dalle summenzionate disposizioni, si ricorre, sulpiano operativo, all'osservanza del seguente modus procedendi: 1) invio (oconsegna brevi manu) al lavoratore della lettera di contestazione dell'addebito,con la quale 1.1) viene descritto il fatto in tutti i suoi elementi costitutivie nella sua dinamica di svolgimento, con l'indicazione delle circostanze ditempo, di luogo e di persone inerenti il fatto stesso, 1.2) si avverte illavoratore che ha cinque giorni di tempo, decorrenti dal giorno successivo aquello in cui ha ricevuto la lettera di contestazione, per far pervenire aldatore le sue eventuali discolpe e 1.3) si dispone la sospensione dellavoratore, in via cautelativa, dalla prestazione sino all'adozione delprovvedimento, fermo restando il suo diritto a percepire il normale trattamento retributivo durante ilperiodo di sospensione dal lavoro; 2) attesa, da parte datoriale, delricevimento, entro cinque giorni decorrenti dal giorno successivo a quello incui il lavoratore ha ricevuto la lettera di contestazione, della letteracontenente le giustificazioni eventualmente presentate da quest'ultimo, ilquale, ove lo desideri, ha, comunque, nel rispetto del suddetto termine, ildiritto di essere sentito dal datore anche verbalmente; 3) lettera con cui ildatore, facendo seguito alla lettera di contestazione dell'addebito, valutatele singole discolpe ed esposte analiticamente le ragioni dell'eventuale mancatoaccoglimento delle stesse, adotta, trascorso il suddetto termine, ilprovvedimento di licenziamento con effetto immediato.

Giova solo rammentare che illicenziamento disciplinare non è impugnabile in base alla procedura previstadall'art.7, commi sesto e settimo, per i provvedimenti disciplinari di naturaconservativa, dovendosi osservare le norme ordinarie in materia di disciplinadel contenzioso giudiziario del lavoro;

n)

per congedarci dal lettore, un consigliooperativo. Nel caso di notevole inadempimento, da parte del lavoratore, deipropri obblighi contrattuali, di cui sia, però, incerta, per svariati motivi,l'idoneità a concretare immediatamente giusta causa, ove si valutasse, da partedatoriale, la piena inadeguatezza della sanzione disciplinare di tipoconservativo in rapporto alla considerevole, rilevante gravità del fatto postoin essere dal prestatore (eventualmente valutato anche alla luce di altriprecedenti disciplinari), sarebbe consigliabile che il datore di lavoro procedessealla risoluzione del rapporto di lavoro per giustificato motivo soggettivo, nelcui ambito l'inadempienza stessa, in quanto notevole, potrebbe essere piùfacilmente ricondotta. Ove, infatti, il datore dovesse determinarsi,nell'ipotesi in questione, all'adozione del provvedimento di espulsione intronco, il rischio di soccombenza del medesimo, nell'eventuale giudizio diimpugnazione del provvedimento promosso dal lavoratore, sarebbe da considerarsielevato. E' chiaro, naturalmente, che, costituendo il licenziamento pergiustificato motivo soggettivo un caso di risoluzione del rapporto di lavorocon preavviso, il datore, ove si fosse determinato all'intimazione di taleprovvedimento e non volesse consentire al prestatore di svolgere la suaattività durante il periodo di preavviso, dovrà estromettere con effettoimmediato il prestatore stesso, corrispondendogli, però, l'indennità di mancatopreavviso.

Avv. Prof. Stefano Lenghi


Testo della sentenza della Corte diCassazione, Sez. Civ. Lav. 18 settembre 2014, n. 19684

Svolgimento del processo

Con sentenza del 5-24.5.2011, la Corte d'Appello diCatania rigettò il gravame proposto da M.R. nei confronti della A. spa (nellaquale si era fusa l'originaria datrice di lavoro I. srl) avverso la pronunciadi prime cure, che aveva respinto l'impugnazione del licenziamento irrigatoleper giusta causa.

A sostegno del decisum la Corte territoriale osservòquanto segue:

- la prova testimoniale svolta in grado d'appelloaveva pienamente confermato i fatti quali esposti dalla parte datoriale e, inparticolare, che la lavoratrice si era resa responsabile, mediante unaccorgimento fraudolento, di acquistare un capo di abbigliamento ad un prezzoinferiore a quello fissato nel talloncino;

- la sanzione del licenziamento non poteva ritenersisproporzionata in relazione ai fatti contestati, poiché, a prescindere dalvalore lieve del danno procurato all'azienda, era evidente la perdita difiducia nella propria dipendente, che di per sé valeva come giusta causa per illicenziamento, essendo stato accertato che la M., profittando delle suemansioni di addetta al reparto abbigliamento e ai camerini di prova, avevaintenzionalmente cambiato i talloncini segnaprezzo di due capi di abbigliamento,al fine di acquistare uno di essi con il prezzo minore, anziché al prezzooriginariamente segnato.

Avverso la suddetta sentenza della Corteterritoriale, M.R. ha proposto ricorso per cassazione fondato su due motivi eillustrato con memoria.

L'intimata A. spa ha resistito con controricorso,illustrato con memoria.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia viziodi motivazione in ordine alla mancata ammissione delle prove testimonialiofferte da essa ricorrente e della richiesta CTU medico legale sulle suecondizioni di salute, con particolare riguardo alla dedotta situazione disoggetto gravemente ipovedente.

1.1 Il motivo è inammissibile per violazione delprincipio di autosufficienza, non essendo stato riportato il contenuto deicapitoli di prova non ammessi, il che rende impossibile la valutazione Cass.della decisività delle circostanze dedotte, a fronte, peraltro, della puntualespiegazione resa nella sentenza impugnata in ordine alle ragioni della mancataammissione degli stessi.

Né, sempre in violazione del principio diautosufficienza, la ricorrente ha riportato in ricorso il contenuto delladocumentazione asseritamene prodotta e dimostrativa delle sue condizioni disalute; dovendo peraltro rilevarsi al riguardo, per completezza di motivazione,che lo svolgimento dei fatti, quali accertati e descritti nella sentenzaimpugnata, esclude di per sé che gli stessi possano essere stati effetto di unaridotta capacità visiva.

2. Con il secondo motivo la ricorrente denunciavizio di motivazione in ordine al riconoscimento della sussistenza della giustacausa di licenziamento, assumendo che la Corte territoriale non aveva tenutoadeguatamente conto della modesta entità del danno, dell'assenza di precedentidisciplinari, delle precarie condizioni fisiche di essa ricorrente, dellamancata attivazione di un procedimento penale in relazione al fatto contestato.

2.1 La motivazione della sentenza impugnata, neitermini diffusamente svolti nello storico di lite, è pienamente coerente con lecircostanze esaminate ed immune da elementi di contraddittorietà, nel mentre lecircostanze fattuali che si assumono non considerate o sono palesementeirrilevanti ai fini de quibus (asserita e non documentata assenza disottoposizione a procedimento penale; condizioni di salute della lavoratrice)o, nell'ambito della valutazione complessiva dei fatti contestati, non assumonorilevanza decisiva ai fini dell'esclusione della giusta causa di recesso.

Ed invero, come questa Corte ha già avuto modo di osservare,la modesta entità del fatto può essere ritenuta non tanto con riferimento allatenuità del danno patrimoniale, quanto in relazione all'eventuale tenuità delfatto oggettivo, sotto il profilo del valore sintomatico che lo stesso puòassumere rispetto ai futuri comportamenti del lavoratore e quindi alla fiduciache nello stesso può nutrire l'azienda, essendo necessario al riguardo che ifatti addebitati rivestano il carattere di grave negazione degli elementi delrapporto di lavoro e, specialmente, dell'elemento essenziale della fiducia,cosicché la condotta del dipendente sia idonea a porre in dubbio la futuracorrettezza del suo adempimento (cfr. ex plurimis, Cass., nn. 11806/1997;5633/2001).

Alla luce di tali principi deve quindi esserecondivisa la valutazione resa dalla Corte territoriale, poiché proprio ildimostrato carattere fraudolento, nella specie palesemente doloso epremeditato, della condotta della lavoratrice è sintomatico della sua, ancheprospettica, inaffidabilità e, come tale, idoneo ad incidere in maniera graveed irreversibile, nonostante la modesta entità del danno patrimoniale e lamancanza di precedenti disciplinari, sull'elemento fiduciario.

Anche il motivo all'esame va pertanto disatteso.

3. In definitiva il ricorso va rigettato.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono lasoccombenza.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente allarifusione delle spese, che liquida in euro 3.100,00 (tremilacento), di cui euro3.000,00 (tremila) per compenso, oltre accessori come per legge.

Data: 19/11/2014 11:00:00
Autore: Avv. Prof. Stefano Lenghi