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Licenziamento disciplinare: il principio di tempestività spiegato dalla Suprema Corte di Cassazione.



Corte di Cassazione,Sezione Lavoro, sentenza 8 gennaio – 27 febbraio 2014, n. 4724.

Con sentenza del 11.3.2011, la Corte di appello di Roma dichiaraval'illegittimità del licenziamento intimato ad un dipendente di un noto istitutodi credito italiano, per aver quest'ultimo, in qualità di proprio datore dilavoro, formalizzato una contestazione disciplinare senza, tuttavia, rispettareil principio di tempestività come disciplinato dall'art. 7d.p.r. 300/1970, con conseguente condanna dello stesso alla reintegrazione del predetto nel posto dilavoro ed al risarcimento del danno commisurato alle retribuzioni globali dalrecesso alla reintegra.

Invero, l'azienda datrice di lavoro, effettuata una visita ispettiva neiconfronti del proprio dipendente, aveva provveduto solo a distanza di 3 mesi a formalizzarela contestazione disciplinare che, come giustamente osservato dai giudici dimerito, “non poteva ritenersi giustificata in quanto non idonea a garantireun'efficace esplicazione del diritto di difesa dell'interessato, inconsiderazione dell'epoca risalente di commissione dei fatti addebitati”.

A proporre ricorso dinanzi alla Suprema Corte di Cassazione l'istitutodi credito.

Sanzioni disciplinari – art. 7 D.p.r. 300/70. Le norme disciplinari relative alle sanzioni, alle infrazioni inrelazione alle quali ciascuna di esse può essere applicata ed alle procedure dicontestazione delle stesse, devono essere portate a conoscenza dei lavoratorimediante affissione in luogo accessibile a tutti. Esse devono applicare quantoin materia è stabilito da accordi e contratti di lavoro ove esistano.

Il datore di lavoro non può adottare alcunprovvedimento disciplinare nei confronti del lavoratore senza averglipreventivamente contestato l'addebito e senza averlo sentito a sua difesa.

(…) In ogni caso, i provvedimentidisciplinari più gravi del rimprovero verbale non possono essere applicatiprima che siano trascorsi cinque giorni dalla contestazione per iscritto delfatto che vi ha dato causa.

Salvo analoghe procedure previste daicontratti collettivi di lavoro e ferma restando la facoltà di adire l'autoritàgiudiziaria, il lavoratore al quale sia stata applicata una sanzione disciplinarepuò promuovere, nei venti giorni successivi, anche per mezzo dell'associazionealla quale sia iscritto ovvero conferisca mandato, la costituzione, tramitel'ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione, di un collegio diconciliazione ed arbitrato, composto da un rappresentante di ciascuna delleparti e da un terzo membro scelto di comune accordo o, in difetto di accordo,nominato dal direttore dell'ufficio del lavoro. La sanzione disciplinare restasospesa fino alla pronuncia da parte del collegio.

(…) Non può tenersi conto ad alcun effettodelle sanzioni disciplinari decorsi due anni dalla loro applicazione.

Questo è quanto disposto dall'art. 7 cit. dello Statuto dei lavoratori. E, sudi esso l'intervento della Cassazione.

«Rileva il collegio che la tempestività della contestazione di cuiall'art. 7, secondo comma, legge n. 300 del 1970, va valutata in relazione almomento in cui i fatti a carico del lavoratore, costituenti illecitodisciplinare, appaiono ragionevolmente sussistenti. Quando il fatto costituenteillecito disciplinare ha anche rilevanza penale, il principio dell'immediatezzadella contestazione non può considerarsi violato ove il datore di lavoro, inassenza di elementi che rendano ragionevolmente certa la commissione del fattoda parte del dipendente, porti la vicenda all'esame del giudice penale, sempreche lo stesso si attivi non appena la comunicazione dell'esito delle indaginisvolte in sede penale gli faccia ritenere ragionevolmente sussistentel'illecito disciplinare, non dovendo egli attendere la conclusione del processopenale (cfr. Cass. 27.3.2008 n. 7983). Giova, poi, al riguardo, ancheosservare, con riferimento ai requisiti che qualificano la tempestività dellacontestazione e della sanzione disciplinare, come questa Suprema Corte abbiaribadito che il principio tanto dell'immediatezza della contestazionedell'addebito, quanto della tempestività del recesso, la cui ratio riflette l'esigenza del rispettodella regola della buona fede e correttezza nell'attuazione del rapporto dilavoro, oltre che dei principi di certezza del diritto e di tuteladell'affidamento del lavoratore incolpato, deve essere inteso in sensorelativo, potendo essere compatibile con un intervallo necessario, in relazioneal caso concreto e alla complessità dell'organizzazione del datore di lavoro,ad una adeguata valutazione della gravità dell'addebito mosso al dipendente edelle giustificazioni da lui fornite. Più in particolare, si è affermato che,nel valutare l'immediatezza della contestazione ai fini dell'intimazione dellicenziamento disciplinare, occorre tener conto dei contrapposti interessi deldatore di lavoro a non avviare procedimenti senza aver acquisito i datiessenziali della vicenda e del lavoratore a vedersi contestati i fatti in unragionevole lasso di tempo dalla loro commissione; con la conseguenza chel'aver presentato a carico di un lavoratore denuncia per un fatto penalmenterilevante, connesso con la prestazione di lavoro, non consente al datore dilavoro di attendere gli esiti del procedimento penale prima di procedere allacontestazione dell'addebito, dovendosi valutare la tempestività di talecontestazione in relazione al momento in cui i fatti a carico del lavoratoremedesimo appaiono ragionevolmente sussistenti (v. ad es. Cass. n. 1101/2007;Cass. n. 4502/2008)».

«Il che – aggiunge - , se conferma la relatività che riveste ilcriterio di immediatezza e il rilievo che assume, al riguardo, il sindacato delgiudice di merito, porta, al tempo stesso, a riconoscere che un bilanciamentocoerente degli interessi sottesi al procedimento di disciplina non consente diindividuare nella potenziale rilevanza penale dei fatti accertati e nellaconseguente denuncia all'autorità inquirente circostanze di per sé soleesonerative dall'obbligo di immediata contestazione, in considerazione dellarilevanza che tale obbligo assume rispetto alla tutela dell'affidamento e deldiritto di difesa del lavoratore incolpato, sempre che i fatti riscontratifacciano emergere, in termini di ragionevole certezza, significativi elementidi responsabilità a carico del lavoratore. E quindi, in altri termini, solo sel'intervallo di tempo trascorso sia giustificato non dalla necessità di unaccertamento integrale e compiuto del fatto, ma dall'esigenza per il datore dilavoro di acquisire conoscenza della riferibilità del fatto, nelle sue lineeessenziali, al lavoratore medesimo (cfr., in tali termini, Cass. 7409/2010).»

«Nella fattispecie in esame, correttamente la Corte del merito haritenuto in violazione del principio di tempestività e quindi tardiva lacontestazione disciplinare, (…) non poteva ritenersi giustificata unacontestazione effettuata dopo un lasso di tempo non idoneo a garantireun'efficace esplicazione del diritto di difesa dell'interessato, inconsiderazione dell'epoca risalente di commissione dei fatti addebitati».

«Deve ritenersi, poi, che gravi sul datore di lavoro l'onere diprovare, con puntualità, le circostanze che, sulla base del caso concreto,giustificano il tempo trascorso fra l'accadimento dei fatti rilevanti e la lorocontestazione, e che, quindi, evidenzino in concreto la tempestivitàdell'esercizio del potere disciplinare (Cass. n. 1101/2007;Cass. n. 2023/2006)».

Data: 05/03/2014 10:40:00
Autore: Sabrina Caporale