La Quinta Sezione Civile della Corte di Cassazione (Sent. n. 8255/08) ha stabilito che sono validi gli accertamenti fiscali della Finanza che vengono compiuti su documenti non ufficiali e ciò in qualsiasi forma essi vengano rinvenuti nel corso delle verifiche fiscali.
In particolare i Giudici di Piazza Cavour hanno osservato che "in tema di IVA, l'uso di elementi acquisiti nell'ambito di procedure riguardanti altri soggetti non viola disposizioni che regolano l'accertamento o il principio del contraddittorio, atteso che l'art. 63, co. 1, D.P.R. n. 633/2 dispone espressamente che, nell'ambito dei doveri di cooperazione con gli uffici, la Guardia di Finanza trasmette agli uffici stessi tutte le notizie acquisite, anche indirettamente, nell'esercizio dei poteri di polizia giudiziaria e che l'art. 54, co. 2, del citato D.P.R. dispone che gli uffici, a loro volta, possono procedere alla rettifica sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, tratte da atti e documenti in loro possesso, anche quando si tratti di verbali relativi ad ispezioni eseguite nei confronti di altri contribuenti".
Nella decisione si legge poi che "è utilizzabile ai fini dell'accertamento di operazioni non contabilizzate nella contabilità 'ufficiale' qualsiasi forma di documentazione che sia astrattamente idonea a evidenziarne l'esistenza, purché legittimamente rinvenuta nel corso di verifiche fiscali, in quanto detta documentazione, pur in assenza di regolarità contabili ed inadempimenti di obblighi di legge, non può essere ritenuta dal giudice di per sé probatoriamente irrilevante, integrando essa elemento probatorio, ancorché presuntivo, utilmente valutabile in sede di accertamento IVA, indipendentemente dal contestuale riscontro di tali irregolarità ed inadempimenti" e che "il rinvenimento di una contabilità informale, tenuta su un brogliaccio, costituisce indizio grave preciso e concordante della esistenza di imponibili non riportati nella contabilità ufficiale, che legittima l'Amministrazione Finanziaria
a procedere ad accertamento induttivo". Infine la Corte ha evidenziato che "ai fini del riconoscimento dell'efficacia probatoria della presunzione, non occorre che i fatti sui quali essa si basa siano tali da far apparire l'esistenza del fatto ignoto come l'unica conseguenza possibile dei fatti accertati, bastando, al riguardo, che l'operata interferenza sia effettuata alla stregua di un canone di probabilità, la cui sequenza e ricorrenza siano verificabili secondo le comuni regole di esperienza".
Con questa decisione la Corte ha ritenuto valido l'accertamento fiscale, nei confronti di un'impresa, fondato sull'esame di documentazione parallela e contabilità "in nero" rinvenuta presso l'abitazione di un ex collaboratore della ditta con precipuo riferimento all'epoca lavorativa dello stesso.

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