Si tratta di scandali piccoli, piccoli, veramente innocenti se paragonati alle indecenze che abbiamo dovuto sopportare da soubrette e vallettine in questi anni (soprattutto in virtù del fatto che molte di queste sono finite pure col governarci), eppure degni di finire in giudizio davanti alla Cassazione.

Lo scandaletto vede come protagonista una procace straniera che per le vie di Bologna ha pensato bene di andare in giro mezza svestita, o meglio in abiti così ridotti in lunghezza da mostrare tutto il mostrabile e l'immaginabile. Non approfondiamo quale che fosse la professione della signorina - l'Italia è pur sempre un paese di tolleranti e bonaccioni (oppure era di preti e di p....... no, forse questo no!) - ma semplicemente sul fatto che la suddetta aveva deciso di andarsene a spasso con scollatura che lasciava vedere il seno e minigonna inguinale che permetteva una visione a "tutto tondo" delle natiche (ovviamente la fanciulla indossava un tanga, come noblesse oblige!). Roba da far ribaltare nella tomba anche ad una temeraria come Mary Quant (invetrice della minigonna, ndr).

Insomma lo spettacolo non è passato, ovviamente inosservato, e sfi...sfortuna (scusatemi ma il caso mi provoca scivoloni di stile) voleva che in strada ci fosse un poliziotto.

Il quale ha immediatamente redarguito e multata la fanciulla, per aver infranto l'articolo 726 del codice penale (Atti contrari alla pubblica decenza), che tutela i criteri di convivenza e di decoro. Conto totale: 600 euro. Che probabilmente, si teme, la signorina sottrarrà alle spese destinate al suo già succinto guardaroba.

La vicenda è finita anche in Cassazione (sollevate pure un coro di: "ma ce n'era bisogno?"), davanti alla Terza sezione penale, che non ha potuto far altro che confermare la multa.

Nella sentenza n.47868 del 10 dicembre 2012 si legge che "la tipicità del reato in contestazione consiste nel porre in essere atti contrari alla pubblica decenza", e cioè "quegli atti che, in se stessi o a causa delle circostanze, rivestono un significato contrario alla pubblica decenza, assunti in luogo pubblico o aperto o esposto al pubblico". Il tutto proprio in virtù del fatto che la straniera fosse "abbigliata in modo da fare vedere le parti intime del corpo, in particolare il seno e il fondo schiena, ed era in mutande, che lasciavano scoperti i glutei", in tanga insomma.

La Cassazione aggiunge anche che al fine della sussistenza effettiva del reato è sufficiente che "detti atti siano percepiti da terzi essendo sufficiente la mera possibilita' della percezione di essi, in quanto l'articolo 726 del codice penale
tutela i criteri di convivenza e decoro che, se non osservati e rispettati, provocano disgusto e disapprovazione
". La tesi del difensore della donna, che ha cercato di confutare a riguardo "il limite di punibilità" per poter annullare la multa della propria cliente, non ha fatto breccia nei giudici di Piazza Cavour; secondo la Corte infatti la pena comminata è assolutamente giusta "vista la gravita' della condotta, l'insensibilita' della prevenuta all'offesa arrecata alla collettività, comprovante il completo disinteresse (...) alle interferenze negative che il suo comportamento avrebbe potuto determinare al comune vivere civile", tenuto anche conto dei "precedenti penali" dell'imputata.

Gli Ermellini ci hanno dato quindi maggiori ragguagli sul perché di tali scelte vestimentarie (se mai ce ne fosse stato bisogno!): la signorina aveva già pendenti con la giustizia, di cui possiamo facilmente immaginare la natura. E forse proprio per questo un abbigliamento più "consono" sarebbe forse stato maggiormente gradito (anche se proprio questo look mi pare essere il più azzeccato, eh eh!).
Barbara LG Sordi
Email barbaralgsordi@gmail.it

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