Art. 79
Effetti
La promessa di matrimonio non obbliga a contrarlo né ad eseguire ciò che si fosse convenuto per il caso di non adempimento.
La promessa di matrimonio non obbliga a contrarlo né ad eseguire ciò che si fosse convenuto per il caso di non adempimento.
Il promittente può domandare la restituzione dei doni fatti a causa della promessa di matrimonio, se questo non è stato contratto.
La domanda non è proponibile dopo un anno dal giorno in cui si è avuto il rifiuto di celebrare il matrimonio o dal giorno della morte di uno dei promittenti.
La promessa di matrimonio fatta vicendevolmente per atto pubblico o per scrittura privata da una persona maggiore di età o dal minore ammesso a contrarre matrimonio a norma dell'articolo 84, oppure risultante dalla richiesta della pubblicazione, obbliga il promittente che senza giusto motivo ricusi di eseguirla a risarcire il danno cagionato all'altra parte per le spese fatte e per le obbligazioni contratte a causa di quella promessa.
Il danno è risarcibile nel limite in cui le spese e le obbligazioni corrispondono alla condizione delle parti.
Lo stesso risarcimento è dovuto dal promittente che con la propria colpa ha dato giusto motivo al rifiuto dell'altro.
La domanda non è proponibile dopo un anno dal giorno del rifiuto di celebrare il matrimonio.
[Articolo abrogato]
Non può contrarre matrimonio chi è vincolato da un matrimonio o da un'unione civile tra persone dello stesso sesso precedente.
I minori di età non possono contrarre matrimonio.
Il tribunale, su istanza dell'interessato, accertata la sua maturità psico-fisica e la fondatezza delle ragioni addotte, sentito il pubblico ministero, i genitori o il tutore, può con decreto emesso in camera di consiglio ammettere per gravi motivi al matrimonio chi abbia compiuto i sedici anni.
Il decreto è comunicato al pubblico ministero, agli sposi, ai genitori e al tutore.
Contro il decreto può essere proposto reclamo, con ricorso alla corte d'appello, nel termine perentorio di dieci giorni dalla comunicazione.
La corte d'appello decide con ordinanza non impugnabile, emessa in camera di consiglio.
Se la decisione del tribunale è sfavorevole, essa può essere impugnata con reclamo alla corte d'appello a norma del quarto comma.
Non può contrarre matrimonio l'interdetto per infermità di mente.
Se l'istanza di interdizione è soltanto promossa, il pubblico ministero può chiedere che si sospenda la celebrazione del matrimonio; in tal caso la celebrazione non può aver luogo finché la sentenza che ha pronunziato sull'istanza non sia passata in giudicato.
Non può contrarre matrimonio chi è vincolato da un matrimonio precedente, di cui non siano cessati gli effetti civili.
Non possono contrarre matrimonio fra loro:
1) gli ascendenti e i discendenti in linea retta;
2) i fratelli e le sorelle germani, consanguinei o uterini;
3) lo zio e la nipote, la zia e il nipote;
4) gli affini in linea retta; il divieto sussiste anche nel caso in cui l'affinità deriva da matrimonio dichiarato nullo o sciolto o per il quale è stata pronunziata la cessazione degli effetti civili;
5) gli affini in linea collaterale in secondo grado;
6) l'adottante, l'adottato e i suoi discendenti;
7) i figli adottivi della stessa persona;
8) l'adottato e i figli dell'adottante;
9) l'adottato e il coniuge dell'adottante, l'adottante e il coniuge dell'adottato.
Si applicano le disposizioni del comma precedente alle persone legate da rapporti civili derivanti da unione civile tra persone dello stesso sesso.
Il tribunale, su ricorso degli interessati, con decreto emesso in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero, può autorizzare il matrimonio nei casi indicati dai numeri 3 e 5, anche se si tratti di affiliazione. L'autorizzazione può essere accordata anche nel caso indicato dal numero 4, quando l'affinità deriva da matrimonio dichiarato nullo.
Il decreto è notificato agli interessati e al pubblico ministero.
Si applicano le disposizioni dei commi quarto, quinto e sesto dell'articolo 84.
Non possono contrarre matrimonio tra loro le persone delle quali l'una è stata condannata per omicidio consumato o tentato e l'altra sia il coniuge della persona offesa.
Si applica la disposizione del comma precedente alle persone delle quali l'una è stata condannata per omicidio consumato o tentato e l'altra sia la parte dell'unione civile tra persone dello stesso sesso della persona offesa.
Se ebbe luogo soltanto rinvio a giudizio ovvero fu ordinata la cattura, si sospende la celebrazione del matrimonio fino a quando non è pronunziata sentenza di proscioglimento.
Non può contrarre nuovo matrimonio la donna, se non dopo trecento giorni dallo scioglimento, dall'annullamento o dalla cessazione degli effetti civili del precedente matrimonio.
Sono esclusi dal divieto i casi in cui lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del precedente matrimonio siano stati pronunciati in base all'articolo 3, numero 2, lettere b) ed f), della legge 1° dicembre 1970, n. 898, e nei casi in cui il matrimonio sia stato dichiarato nullo per impotenza, anche soltanto a generare, di uno dei coniugi.
Il tribunale con decreto emesso in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero, può autorizzare il matrimonio quando è inequivocabilmente escluso lo stato di gravidanza o se risulta da sentenza passata in giudicato che il marito non ha convissuto con la moglie nei trecento giorni precedenti lo scioglimento, l'annullamento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio.
Il divieto cessa dal giorno in cui la gravidanza è terminata.
Con il decreto di cui all'articolo 84 il tribunale o la corte d'appello nominano, se le circostanze lo esigono, un curatore speciale che assista il minore nella stipulazione delle convenzioni matrimoniali.
[Articolo abrogato]
[Articolo abrogato]
La celebrazione del matrimonio dev'essere preceduta dalla pubblicazione fatta a cura dell'ufficiale dello stato civile.
La pubblicazione deve essere richiesta all'ufficiale dello stato civile del comune dove uno degli sposi ha la residenza ed è fatta nei comuni di residenza degli sposi.
[Articolo abrogato]
La richiesta della pubblicazione deve farsi da ambedue gli sposi o da persona che ne ha da essi ricevuto speciale incarico.
[Articolo abrogato]
L'ufficiale dello stato civile che rifiuta la pubblicazione rilascia un certificato coi motivi del rifiuto.
Contro il rifiuto è dato ricorso al tribunale, che provvede in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero.
Il matrimonio non può essere celebrato prima del quarto giorno dopo compiuta la pubblicazione.
Se il matrimonio non è celebrato nei centottanta giorni successivi, la pubblicazione si considera come non avvenuta.
Il tribunale, su istanza degli interessati, con decreto non impugnabile emesso in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero, può ridurre per gravi motivi il termine della pubblicazione. Può anche dispensare dalla pubblicazione per cause gravissime.
Il decreto è comunicato all'ufficiale dello stato civile.
Nel caso di imminente pericolo di vita di uno degli sposi, l'ufficiale dello stato civile può procedere alla celebrazione del matrimonio senza pubblicazione, purché gli sposi giurino che non esistono tra loro impedimenti non dispensabili.
L'ufficiale dello stato civile dichiara nell'atto di matrimonio il modo con cui ha accertato l'imminente pericolo di vita.
I genitori e, in mancanza loro, gli altri ascendenti e i collaterali entro il terzo grado possono fare opposizione al matrimonio dei loro parenti per qualunque causa che osti alla sua celebrazione.
Se uno degli sposi è soggetto a tutela o a cura, il diritto di fare opposizione compete anche al tutore o al curatore.
Il diritto di opposizione compete anche al coniuge della persona che vuole contrarre un altro matrimonio.
Quando si tratta di matrimonio in contravvenzione all'articolo 89, il diritto di opposizione spetta anche, se il precedente matrimonio fu sciolto, ai parenti del precedente marito e, se il matrimonio fu dichiarato nullo, a colui col quale il matrimonio era stato contratto e ai parenti di lui.
Il pubblico ministero deve sempre fare opposizione al matrimonio, se sa che vi osta un impedimento o se gli consta l'infermità di mente di uno degli sposi, contro il quale non sia stato pronunziato giudizio definitivo d'interdizione, e nel caso dell'articolo 88.
L'atto di opposizione deve dichiarare la qualità che attribuisce all'opponente il diritto di farla, le cause dell'opposizione, nonché contenere l'elezione di domicilio nel comune dove siede il tribunale nel cui territorio si deve celebrare il matrimonio.
L'atto deve essere notificato agli sposi e all'ufficiale dello stato civile del comune dove è stata eseguita la pubblicazione.
Se è fatta opposizione, l'ufficiale dello stato civile non può procedere alla celebrazione del matrimonio finché non gli venga rimessa copia della sentenza con cui l'opposizione fu respinta con sentenza passata in giudicato o copia del decreto che dichiara estinto il giudizio di opposizione.
Se l'opposizione è respinta, l'opponente, che non sia un ascendente o il pubblico ministero, può essere condannato al risarcimento dei danni.
[Articolo abrogato]
Il matrimonio deve essere celebrato pubblicamente nella casa comunale davanti all'ufficiale dello stato civile al quale fu fatta la richiesta di pubblicazione.
Nel giorno indicato dalle parti l'ufficiale dello stato civile, alla presenza di due testimoni, anche se parenti, dà lettura agli sposi degli articoli 143, 144 e 147; riceve da ciascuna delle parti personalmente, l'una dopo l'altra, la dichiarazione che esse si vogliono prendere rispettivamente in marito e in moglie, e di seguito dichiara che esse sono unite in matrimonio.
La dichiarazione degli sposi di prendersi rispettivamente in marito e in moglie non può essere sottoposta né a termine né a condizione.
Se le parti aggiungono un termine o una condizione, l'ufficiale dello stato civile non può procedere alla celebrazione del matrimonio. Se ciò nonostante il matrimonio è celebrato, il termine e la condizione si hanno per non apposti.
Quando vi è necessità o convenienza di celebrare il matrimonio in un comune diverso da quello indicato nell'art. 106, l'ufficiale dello stato civile, trascorso il termine stabilito nel primo comma dell'art. 99, richiede per iscritto l'ufficiale del luogo dove il matrimonio si deve celebrare.
La richiesta è stesa in doppio originale, menziona il decreto che dispensa dalla pubblicazione, se fu concesso; indica la data della eseguita pubblicazione e attesta che non gli risultano impedimenti alla celebrazione del matrimonio.
Uno degli originali è rimesso agli sposi; l'altro è trasmesso, nel termine di tre giorni, all'ufficiale richiesto.
Ricevuta la richiesta, l'ufficiale dello stato civile procede alla celebrazione del matrimonio. La richiesta deve essere unita all'atto di matrimonio.
Se uno degli sposi, per infermità o per altro impedimento giustificato all'ufficiale dello stato civile, è nell'impossibilità di recarsi alla casa comunale, l'ufficiale si trasferisce col segretario nel luogo in cui si trova lo sposo impedito, e ivi, alla presenza di quattro testimoni, procede alla celebrazione del matrimonio secondo l'articolo 107.
I militari e le persone che per ragioni di servizio si trovano al seguito delle forze armate possono, in tempo di guerra, celebrare il matrimonio per procura.
La celebrazione del matrimonio per procura può farsi anche se uno degli sposi risiede all'estero e concorrono gravi motivi, da valutarsi dal tribunale nella cui circoscrizione risiede l'altro sposo.
L'autorizzazione è concessa con decreto non impugnabile emesso in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero.
La procura deve contenere l'indicazione della persona con la quale il matrimonio si deve celebrare, e deve essere fatta per atto pubblico; i militari e le persone al seguito delle forze armate, in tempo di guerra, possono farla nelle forme speciali ad essi consentite.
Il matrimonio non può essere celebrato quando sono trascorsi centottanta giorni da quello in cui la procura è stata rilasciata.
L'ufficiale dello stato civile rifiuta la celebrazione del matrimonio quando gli risulta che vi osti un impedimento, oppure quando gli sposi rifiutano di presentare una copia autentica della sentenza o del decreto indicato nell'articolo 104, ovvero la prova richiesta dal terzo comma dell'articolo 116.
Contro il rifiuto è dato ricorso al tribunale che decide in camera di consiglio sentito il pubblico ministero.
Il matrimonio celebrato davanti a persona, la quale, senza avere la qualità di ufficiale dello stato civile, ne eserciti pubblicamente le funzioni, è valido, purché almeno uno degli sposi abbia in buona fede, al momento della celebrazione, creduto che la persona davanti alla quale celebravano fosse ufficiale dello stato civile.
[Articolo abrogato]
Il cittadino è soggetto alle disposizioni contenute nella sezione prima di questo capo, anche quando contrae matrimonio in paese straniero secondo le forme ivi stabilite.
Se il cittadino contrae matrimonio all'estero davanti all'autorità diplomatica o consolare oppure davanti all'autorità locale, si applicano rispettivamente le disposizioni degli articoli 8 e 9 del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, recante regolamento per la revisione e la semplificazione dell'ordinamento dello stato civile.
Lo straniero che vuole contrarre matrimonio nello Stato deve presentare all'ufficiale dello stato civile una dichiarazione dell'autorità competente del proprio paese, dalla quale risulti che giusta le leggi a cui è sottoposto nulla osta al matrimonio.
Anche lo straniero è tuttavia soggetto alle disposizioni contenute negli articoli 85, 86, 87, numeri 1, 2 e 4, 88 e 89.
Lo straniero che ha domicilio o residenza nello Stato deve inoltre far fare la pubblicazione secondo le disposizioni di questo codice.
Il matrimonio contratto con violazione degli articoli 84, 86, 87 e 88 può essere impugnato dai coniugi, dagli ascendenti prossimi, dal pubblico ministero e da tutti coloro che abbiano per impugnarlo un interesse legittimo e attuale.
Il matrimonio contratto in violazione dell'articolo 84 non può essere impugnato dopo che il minore abbia raggiunto l'età prevista dal primo comma dello stesso articolo 84 o vi sia stato concepimento o sia seguita gravidanza, purché vi sia stata coabitazione successivamente al raggiungimento della suddetta età.
Il matrimonio contratto in violazione dell'articolo 86 non può essere impugnato dal coniuge del quale sussisteva il precedente vincolo matrimoniale e dai suoi parenti ed affini, quando il precedente matrimonio sia stato dichiarato nullo o sia stato sciolto. L'azione di nullità può essere promossa in ogni tempo.
L'azione di nullità per violazione degli articoli 87 e 88 non può essere promossa dopo che sia decorso un anno dalla celebrazione del matrimonio. Nel caso previsto dal secondo comma dell'articolo 88, il termine di un anno decorre dal giorno in cui è stata pronunziata sentenza di proscioglimento o è stata emessa sentenza di condanna ovvero è stato revocato il provvedimento restrittivo della libertà personale per altra causa.
[Articolo abrogato]
Il matrimonio di chi è stato interdetto per infermità di mente può essere impugnato dal tutore, dal pubblico ministero e da tutti coloro che abbiano un interesse legittimo, se, al tempo del matrimonio, vi era già sentenza di interdizione passata in giudicato, ovvero se la interdizione è stata pronunziata posteriormente ma l'infermità esisteva al tempo del matrimonio.
Può essere impugnato, dopo revocata l'interdizione, anche dalla persona che era interdetta.
L'azione non può essere promossa se, dopo revocata l'interdizione, vi è stata coabitazione per un anno.
Il matrimonio può essere impugnato da quello dei coniugi che, quantunque non interdetto, provi di essere stato incapace di intendere o di volere, per qualunque causa, anche transitoria, al momento della celebrazione del matrimonio.
L'azione non può essere proposta se vi è stata coabitazione per un anno dopo che il coniuge incapace ha recuperato la pienezza delle facoltà mentali.
[Articolo abrogato]
Il matrimonio può essere impugnato da quello dei coniugi il cui consenso è stato estorto con violenza o determinato da timore di eccezionale gravità derivante da cause esterne allo sposo.
Il matrimonio può altresì essere impugnato da quello dei coniugi il cui consenso è stato dato per effetto di errore sull'identità della persona o di errore essenziale su qualità personali dell'altro coniuge.
L'errore sulle qualità personali è essenziale qualora, tenute presenti le condizioni dell'altro coniuge, si accerti che lo stesso non avrebbe prestato il suo consenso se le avesse esattamente conosciute e purché l'errore riguardi:
1) l'esistenza di una malattia fisica o psichica o di una anomalia o deviazione sessuale, tali da impedire lo svolgimento della vita coniugale;
2) l'esistenza di una sentenza di condanna per delitto non colposo alla reclusione non inferiore a cinque anni, salvo il caso di intervenuta riabilitazione prima della celebrazione del matrimonio. L'azione di annullamento non può essere proposta prima che la sentenza sia divenuta irrevocabile;
3) la dichiarazione di delinquenza abituale o professionale;
4) la circostanza che l'altro coniuge sia stato condannato per delitti concernenti la prostituzione a pena non inferiore a due anni. L'azione di annullamento non può essere proposta prima che la condanna sia divenuta irrevocabile;
5) lo stato di gravidanza causato da persona diversa dal soggetto caduto in errore, purché vi sia stato disconoscimento ai sensi dell'articolo 243-bis, se la gravidanza è stata portata a termine.
L'azione non può essere proposta se vi è stata coabitazione per un anno dopo che siano cessate la violenza o le cause che hanno determinato il timore ovvero sia stato scoperto l'errore.
Il matrimonio può essere impugnato da ciascuno dei coniugi quando gli sposi abbiano convenuto di non adempiere agli obblighi e di non esercitare i diritti da esso discendenti.
L'azione non può essere proposta decorso un anno dalla celebrazione del matrimonio ovvero nel caso in cui i contraenti abbiano convissuto come coniugi successivamente alla celebrazione medesima.
Il vincolo del precedente matrimonio di uno dei coniugi, salvi gli effetti della buona fede, rende nullo il nuovo matrimonio.
Se il precedente matrimonio è stato dichiarato nullo, l'azione di nullità del secondo matrimonio può essere proposta dal coniuge del primo matrimonio, dagli ascendenti prossimi e dal pubblico ministero.
L'azione di nullità non può essere promossa dal pubblico ministero dopo la morte di uno dei coniugi.
Proposta la domanda di nullità del matrimonio, il tribunale può, su istanza di uno dei coniugi, ordinare la loro separazione temporanea durante il giudizio; può ordinarla anche d'ufficio, se ambedue i coniugi o uno di essi sono minori o interdetti.
L'azione di annullamento per le cause previste dagli articoli 119, 120 e 123 e l'azione di nullità per la causa prevista dall'articolo 117, secondo comma, non si trasmettono agli eredi se non quando è già pendente il giudizio al momento della morte dell'attore.
Se il matrimonio è dichiarato nullo, gli effetti del matrimonio valido si producono, in favore dei coniugi, fino alla sentenza che pronunzia la nullità, quando i coniugi stessi lo hanno contratto in buona fede, oppure quando il loro consenso è stato estorto con violenza o determinato da timore di eccezionale gravità derivante da cause esterne agli sposi.
Gli effetti del matrimonio valido si producono anche rispetto ai figli, anche se uno solo dei coniugi era in buona fede, salvo che la nullità dipenda da bigamia o incesto.
Nell'ipotesi di cui al comma precedente, i figli, nei cui confronti siano riconosciuti gli effetti del matrimonio valido, non potranno tuttavia assumere e aggiungere il cognome del genitore, nei cui confronti il matrimonio è stato dichiarato nullo, se egli era in mala fede o il matrimonio fu da lui contratto con violazione dell'articolo 87, n. 1) o dell'articolo 88.
Se entrambi i coniugi sono in mala fede, il matrimonio ha gli effetti del matrimonio valido rispetto ai figli nati o concepiti durante lo stesso, salvo che la nullità dipenda da bigamia o incesto.
Il coniuge al quale sia imputabile la nullità del matrimonio è tenuto a corrispondere all'altro coniuge in buona fede, qualora questi non abbia mezzi adeguati, una congrua indennità, anche in mancanza di prova del danno sofferto. L'indennità deve essere corrisposta in forma di unica soluzione. In mancanza di accordo è determinata dal giudice.
È tenuto altresì a prestare gli alimenti al coniuge in buona fede, sempre che non vi siano altri obbligati. L'obbligo cesserà ove il coniuge passi a nuove nozze.
Il coniuge, anche se in buona fede, al quale sia imputabile la nullità, non ha diritto all'indennità né agli alimenti.
Il coniuge, al quale sia imputabile la nullità del matrimonio, che abbia agito in mala fede, e il terzo che abbia determinato la nullità sono solidalmente responsabili del risarcimento del danno cagionato all'altro coniuge in buona fede. La domanda di risarcimento deve essere proposta nel giudizio di nullità.
Nessuno può reclamare il titolo di coniuge e gli effetti del matrimonio, se non presenta l'atto di celebrazione estratto dai registri dello stato civile.
Il possesso di stato conforme all'atto di celebrazione del matrimonio sana ogni difetto di forma.
Il possesso di stato di coniuge risulta da una serie di fatti che nel loro complesso valgano a dimostrare le relazioni coniugali e di affinità e parentela tra una persona e la famiglia a cui essa pretende di appartenere.
In ogni caso devono concorrere i seguenti fatti: che la persona abbia sempre portato il cognome del marito che essa pretende di avere, che il marito l'abbia trattata da moglie e che essa sia stata considerata come tale nei rapporti sociali; che sia stata inoltre riconosciuta in detta qualità dai parenti del marito.
Quando vi è il possesso di stato e l'atto di celebrazione del matrimonio manca per la distruzione o lo smarrimento dei registri, la prova della celebrazione può essere data con ogni mezzo.
Se la prova della celebrazione del matrimonio risulta da sentenza penale, l'iscrizione della sentenza nel registro sostituisce l'atto di matrimonio.
Se la prova della celebrazione del matrimonio risulta da sentenza penale, l'iscrizione della sentenza nel registro sostituisce l'atto di matrimonio.
Per le disposizioni relative al matrimonio concordatario e ai matrimoni celebrati davanti a ministri dei culti ammessi nello Stato, si fa rinvio agli accordi tra lo Stato e le confessioni religiose (Concordato Lateranense, modificato dall'Accordo di Villa Madama del 1984, e intese con le altre confessioni religiose).
L'ufficiale dello stato civile che procede alla celebrazione di un matrimonio senza che sia stata eseguita la pubblicazione o senza che gli sia stata rimessa la richiesta della pubblicazione, oppure che celebra un matrimonio prima che siano trascorsi i termini di cui all'articolo 99, è punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 80 euro a 500 euro.
L'ufficiale dello stato civile che procede alla pubblicazione del matrimonio senza la richiesta prevista dall'articolo 96 è punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 40 euro a 240 euro.
L'ufficiale dello stato civile che procede alla celebrazione di un matrimonio, conoscendo che vi osta un impedimento, è punito con la reclusione fino a otto mesi o con la multa fino a 600 euro.
L'ufficiale dello stato civile che celebra un matrimonio fuori del territorio di sua competenza o senza la presenza dei testimoni prescritti è punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 20 euro a 120 euro.
L'ufficiale dello stato civile che nell'esercizio delle sue funzioni relative alla celebrazione del matrimonio, fuori dei casi previsti negli articoli precedenti, commette altre infrazioni alle norme di questo titolo è punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 20 euro a 120 euro.
Chi, conoscendo l'esistenza di una causa di nullità del matrimonio, la nasconde all'altro coniuge è punito, qualora il matrimonio sia annullato, con la reclusione fino a un anno o con la multa da 200 euro a 2.000 euro.
La donna che contrae matrimonio non osservando il divieto dell'articolo 89 e chi, conoscendo l'esistenza di tale impedimento, la prende in moglie sono puniti con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 40 euro a 240 euro.
La cognizione dei reati indicati negli articoli 136 e 139 appartiene al tribunale del luogo in cui fu celebrato il matrimonio.
Le disposizioni penali di questo capo si applicano al matrimonio celebrato davanti all'ufficiale dello stato civile. Per i matrimoni celebrati davanti a un ministro del culto cattolico o dei culti ammessi nello Stato si applicano solo in quanto non sia diversamente stabilito nel diritto speciale che li concerne.
Con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri.
Dal matrimonio deriva l'obbligo reciproco alla fedeltà, all'assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell'interesse della famiglia e alla coabitazione.
Entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia.
La moglie aggiunge al proprio cognome quello del marito e lo conserva durante lo stato vedovile, fino a che passi a nuove nozze.
[Articolo abrogato]
I coniugi concordano tra loro l'indirizzo della vita familiare e fissano la residenza della famiglia secondo le esigenze di entrambi e quelle preminenti della famiglia stessa.
A ciascuno dei coniugi spetta il potere di attuare l'indirizzo concordato.
In caso di disaccordo ciascuno dei coniugi può chiedere, senza formalità, l'intervento del giudice il quale, sentite le opinioni espresse dai coniugi e, per quanto opportuno, dai figli conviventi che abbiano compiuto il sedicesimo anno, tenta di raggiungere una soluzione concordata.
Ove questa non sia possibile e il disaccordo verta su questioni di particolare importanza, il giudice, qualora ne sia richiesto espressamente e congiuntamente dai coniugi, adotta, con provvedimento non impugnabile, la soluzione che ritiene più adeguata alle esigenze dell'unità e della vita della famiglia.
Il diritto all'assistenza morale e materiale previsto dall'articolo 143 è sospeso nei confronti del coniuge che, allontanandosi senza giusta causa dalla residenza familiare, rifiuta di tornarvi.
La proposizione della domanda di separazione o di annullamento o di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio costituisce giusta causa di allontanamento dalla residenza familiare.
Il giudice può, secondo le circostanze, ordinare il sequestro dei beni del coniuge allontanatosi, nella misura atta a garantire l'adempimento degli obblighi previsti dagli articoli 143, terzo comma, e 147.
Il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l'obbligo di mantenere, istruire, educare e assistere moralmente i figli, nel rispetto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni, secondo quanto previsto dall'articolo 315-bis.
I coniugi devono adempiere l'obbligazione prevista nell'articolo precedente in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo. Quando i genitori non hanno mezzi sufficienti, gli altri ascendenti, in ordine di prossimità, sono tenuti a fornire ai genitori stessi i mezzi necessari affinché possano adempiere i loro doveri nei confronti dei figli.
In caso di inadempimento il presidente del tribunale, su istanza di chiunque vi ha interesse, sentito l'inadempiente ed assunte informazioni, può ordinare con decreto che una quota dei redditi dell'obbligato, in proporzione agli stessi, sia versata direttamente all'altro coniuge o a chi sopporta le spese per il mantenimento, l'istruzione e l'educazione della prole.
Il decreto, notificato agli interessati ed al terzo debitore, costituisce titolo esecutivo, ma le parti ed il terzo debitore possono proporre opposizione nel termine di venti giorni dalla notifica.
L'opposizione è regolata dalle norme relative all'opposizione al decreto d'ingiunzione, in quanto applicabili.
Le parti ed il terzo debitore possono sempre chiedere, con le forme del processo ordinario, la modificazione e la revoca del provvedimento.
Il matrimonio si scioglie con la morte di uno dei coniugi e negli altri casi previsti dalla legge.
Gli effetti civili del matrimonio celebrato con rito religioso, ai sensi dell'articolo 82 o dell'articolo 83, cessano alla morte di uno dei coniugi e negli altri casi previsti dalla legge.
È ammessa la separazione personale dei coniugi.
La separazione può essere giudiziale o consensuale.
Il diritto di chiedere la separazione giudiziale o la omologazione di quella consensuale spetta esclusivamente ai coniugi.
La separazione può essere chiesta quando si verificano, anche indipendentemente dalla volontà di uno o di entrambi i coniugi, fatti tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza o da recare grave pregiudizio alla educazione della prole.
Il giudice, pronunziando la separazione, dichiara, ove ne ricorrano le circostanze e ne sia richiesto, a quale dei coniugi sia addebitabile la separazione, in considerazione del suo comportamento contrario ai doveri che derivano dal matrimonio.
[Articolo abrogato]
[Articolo abrogato]
[Articolo abrogato]
[Articolo abrogato]
[Articoli abrogati]
Il giudice, pronunziando la separazione, stabilisce a vantaggio del coniuge cui non sia addebitabile la separazione il diritto di ricevere dall'altro coniuge quanto è necessario al suo mantenimento, qualora egli non abbia adeguati redditi propri.
L'entità di tale somministrazione è determinata in relazione alle circostanze e ai redditi dell'obbligato.
Resta fermo l'obbligo di prestare gli alimenti di cui agli articoli 433 e seguenti.
Il giudice che pronunzia la separazione può imporre al coniuge di prestare idonea garanzia reale o personale se esiste il pericolo che egli possa sottrarsi all'adempimento degli obblighi previsti dai precedenti commi e dall'articolo 155.
La sentenza costituisce titolo per l'iscrizione dell'ipoteca giudiziale ai sensi dell'articolo 2818.
In caso di inadempimento, su richiesta dell'avente diritto, il giudice può disporre il sequestro di parte dei beni del coniuge obbligato e ordinare ai terzi, tenuti a corrispondere anche periodicamente somme di denaro all'obbligato, che una parte di esse venga versata direttamente agli aventi diritto.
Qualora sopravvengano giustificati motivi il giudice, su istanza di parte, può disporre la revoca o la modifica dei provvedimenti di cui ai commi precedenti.
Il giudice può vietare alla moglie l'uso del cognome del marito, quando tale uso sia a lui gravemente pregiudizievole, e può parimenti autorizzare la moglie a non usare il cognome stesso, qualora dall'uso possa derivarle grave pregiudizio.
I coniugi possono di comune accordo far cessare gli effetti della sentenza di separazione, senza che sia necessario l'intervento del giudice, con una espressa dichiarazione o con un comportamento non equivoco che sia incompatibile con lo stato di separazione.
La separazione può essere pronunziata nuovamente soltanto in relazione a fatti e comportamenti intervenuti dopo la riconciliazione.
La separazione per il solo consenso dei coniugi non ha effetto senza l'omologazione del tribunale.
Quando l'accordo dei coniugi relativamente all'affidamento e al mantenimento dei figli è in contrasto con l'interesse di questi il tribunale riconvoca i coniugi indicando ad essi le modificazioni da adottare nell'interesse dei figli e, in caso di inidonea soluzione, può rifiutare allo stato l'omologazione.
Il regime patrimoniale legale della famiglia, in mancanza di diversa convenzione stipulata a norma dell'articolo 162, è costituito dalla comunione dei beni regolata dalla sezione III del presente capo.
Gli sposi non possono derogare né ai diritti né ai doveri previsti dalla legge per effetto del matrimonio.
Gli sposi non possono pattuire in modo generico che i loro rapporti patrimoniali siano in tutto o in parte regolati da leggi alle quali non sono sottoposti o dagli usi, ma devono enunciare in modo concreto il contenuto dei patti con i quali intendono regolare questi loro rapporti.
Le convenzioni matrimoniali debbono essere stipulate per atto pubblico sotto pena di nullità.
La scelta del regime di separazione può anche essere dichiarata nell'atto di celebrazione del matrimonio.
Le convenzioni possono essere stipulate in ogni tempo, ferme restando le disposizioni dell'articolo 194.
Le convenzioni matrimoniali non possono essere opposte ai terzi quando a margine dell'atto di matrimonio non risultano annotati la data del contratto, il notaio rogante e le generalità dei contraenti, ovvero la scelta di cui al secondo comma.
Le modifiche delle convenzioni matrimoniali, anteriori o successive al matrimonio, non hanno effetto se l'atto pubblico non è stipulato col consenso di tutte le persone che sono state parti nelle convenzioni medesime o dei loro eredi.
Se uno dei coniugi è minore di età, è necessario anche il consenso dei suoi genitori o del tutore.
Se uno dei coniugi è inabilitato, è necessario il consenso del curatore.
Le modifiche convenute e la relativa annotazione nel margine dell'atto di matrimonio non possono essere opposte ai terzi, se non siano state fatte almeno novanta giorni prima dell'inadempimento del debitore.
È ammessa la simulazione delle convenzioni matrimoniali solo dai terzi, quando essa è diretta ad eludere l'applicazione di norme di legge o a danneggiare i diritti di essi.
Il minore ammesso a contrarre matrimonio è pure capace di prestare il consenso per tutte le relative convenzioni matrimoniali, le quali sono valide se egli è assistito dai genitori esercenti la responsabilità genitoriale su di lui o dal tutore o dal curatore speciale nominato a norma dell'articolo 90.
Per la validità delle stipulazioni e delle donazioni, fatte nel contratto di matrimonio dall'inabilitato o da colui contro il quale è stato promosso giudizio di inabilitazione, è necessaria l'assistenza del curatore già nominato. Se questi non è stato ancora nominato, si provvede alla nomina di un curatore speciale.
È nulla ogni convenzione che comunque tenda alla costituzione di beni in dote.
Ciascuno o ambedue i coniugi, per atto pubblico, o un terzo, anche per testamento, possono costituire un fondo patrimoniale, destinando determinati beni, immobili o mobili iscritti in pubblici registri o titoli di credito, a far fronte ai bisogni della famiglia.
La costituzione del fondo patrimoniale per atto tra vivi, effettuata dal terzo, si perfeziona con l'accettazione dei coniugi. L'accettazione può essere fatta con atto pubblico posteriore.
La costituzione può essere fatta anche durante il matrimonio.
I titoli di credito devono essere vincolati rendendoli nominativi con annotazione del vincolo o in altro modo idoneo.
La proprietà dei beni costituenti il fondo spetta ad entrambi i coniugi, salvo che sia diversamente stabilito nell'atto di costituzione.
I frutti dei beni costituenti il fondo patrimoniale sono impiegati per i bisogni della famiglia.
L'amministrazione dei beni costituenti il fondo patrimoniale è regolata dalle norme relative all'amministrazione della comunione legale.
Se non è stato espressamente consentito nell'atto di costituzione, non si possono alienare, ipotecare, dare in pegno o comunque vincolare i beni del fondo patrimoniale se non con il consenso di entrambi i coniugi e, se vi sono figli minori, con l'autorizzazione concessa dal giudice, con provvedimento emesso in camera di consiglio, nei soli casi di necessità od utilità evidente.
L'esecuzione sui beni del fondo e sui frutti di essi non può aver luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia.
La destinazione del fondo termina a seguito dell'annullamento o dello scioglimento o della cessazione degli effetti civili del matrimonio.
Se vi sono figli minori il fondo dura fino al compimento della maggiore età dell'ultimo figlio. In tale caso il giudice può dettare, su istanza di chi vi abbia interesse, norme per l'amministrazione del fondo.
Considerate le condizioni economiche dei genitori e dei figli ed ogni altra circostanza, il giudice può altresì attribuire ai figli, in godimento o in proprietà, una quota dei beni del fondo.
[Articoli abrogati]
Costituiscono oggetto della comunione:
a) gli acquisti compiuti dai due coniugi insieme o separatamente durante il matrimonio, ad esclusione di quelli relativi ai beni personali;
b) i frutti dei beni propri di ciascuno dei coniugi, percepiti e non consumati allo scioglimento della comunione;
c) i proventi dell'attività separata di ciascuno dei coniugi se, allo scioglimento della comunione, non siano stati consumati;
d) le aziende gestite da entrambi i coniugi e costituite dopo il matrimonio.
Qualora si tratti di aziende appartenenti ad uno dei coniugi anteriormente al matrimonio ma gestite da entrambi, la comunione concerne solo gli utili e gli incrementi.
I beni destinati all'esercizio dell'impresa di uno dei coniugi costituita dopo il matrimonio e gli incrementi dell'impresa costituita anche precedentemente si considerano oggetto della comunione solo se al momento dello scioglimento di questa sussistono.
Non costituiscono oggetto della comunione e sono beni personali del coniuge:
a) i beni di cui, prima del matrimonio, il coniuge era proprietario o rispetto ai quali era titolare di un diritto reale di godimento;
b) i beni acquisiti successivamente al matrimonio per effetto di donazione o successione, quando nell'atto di liberalità o nel testamento non è specificato che essi sono attribuiti alla comunione;
c) i beni di uso strettamente personale di ciascun coniuge ed i loro accessori;
d) i beni che servono all'esercizio della professione del coniuge, tranne quelli destinati alla conduzione di una azienda facente parte della comunione;
e) i beni ottenuti a titolo di risarcimento del danno nonché la pensione attinente alla perdita parziale o totale della capacità lavorativa;
f) i beni acquisiti con il prezzo del trasferimento dei beni personali sopraelencati o col loro scambio, purché ciò sia espressamente dichiarato all'atto dell'acquisto.
L'acquisto di beni immobili, o di beni mobili elencati nell'art. 2683, effettuato dopo il matrimonio, è escluso dalla comunione, ai sensi delle lettere c), d) ed f) del precedente comma, quando tale esclusione risulti dall'atto di acquisto se di esso sia stato parte anche l'altro coniuge.
L'amministrazione dei beni della comunione e la rappresentanza in giudizio per gli atti ad essa relativi spettano disgiuntamente ad entrambi i coniugi.
Il compimento degli atti eccedenti l'ordinaria amministrazione, nonché la stipula dei contratti con i quali si concedono o si acquistano diritti personali di godimento e la rappresentanza in giudizio per le relative azioni spettano congiuntamente ad entrambi i coniugi.
In caso di lontananza o di altro impedimento di uno dei coniugi l'altro, in mancanza di procura del primo risultante da atto pubblico o da scrittura privata autenticata, può compiere, previa autorizzazione del giudice e con le cautele eventualmente da questo stabilite, gli atti necessari per i quali è richiesto il consenso di entrambi i coniugi.
Nel caso di rifiuto ingiustificato del consenso richiesto per la stipulazione di un atto di straordinaria amministrazione o per gli altri atti per cui il consenso è richiesto, il coniuge interessato può rivolgersi al giudice per ottenere l'autorizzazione nel caso in cui la stipulazione dell'atto sia necessaria nell'interesse della famiglia o dell'azienda che fa parte della comunione.
Se uno dei coniugi è minore o non può amministrare ovvero se ha male amministrato, l'altro coniuge può chiedere al giudice di escluderlo dall'amministrazione.
Il coniuge privato dell'amministrazione può chiedere al giudice di esservi reintegrato, se sono venuti meno i motivi che hanno determinato l'esclusione.
Contro i provvedimenti del giudice è ammesso ricorso nei modi ordinari.
La esclusione opera di diritto riguardo al coniuge interdetto e permane sino a quando non sia cessato lo stato di interdizione.
Il coniuge che non sia in grado di amministrare può essere assistito da un amministratore di sostegno nominato ai sensi dell'articolo 404.
Se uno dei coniugi ha amministrato i beni dell'altro con procura senza l'obbligo di rendere conto dei frutti, egli ed i suoi eredi, a richiesta dell'altro coniuge o allo scioglimento o alla cessazione degli effetti civili del matrimonio, sono tenuti a consegnare i frutti esistenti e non rispondono per quelli consumati.
Se uno dei coniugi, nonostante l'opposizione dell'altro, amministra i beni di questo o comunque compie atti relativi a detti beni risponde dei danni e della mancata percezione dei frutti.
Gli atti compiuti da un coniuge senza il necessario consenso dell'altro coniuge e da questo non convalidati sono annullabili se riguardano beni immobili o beni mobili elencati nell'articolo 2683.
L'azione può essere proposta dal coniuge il cui consenso era necessario entro un anno dalla data in cui ha avuto conoscenza dell'atto e in ogni caso entro un anno dalla data di trascrizione. Se l'atto non è stato trascritto e il coniuge non ne ha avuto conoscenza prima dello scioglimento della comunione, l'azione non può essere proposta oltre l'anno dallo scioglimento stesso.
Se gli atti riguardano beni mobili diversi da quelli indicati nel primo comma, il coniuge che li ha compiuti senza il consenso dell'altro è obbligato su istanza di quest'ultimo a ricostituire la comunione nello stato in cui era prima del compimento dell'atto o, qualora ciò non sia possibile, al pagamento dell'equivalente secondo i valori correnti all'epoca della ricostituzione della comunione.
Nei casi in cui il coniuge sia stato dichiarato assente o sia comparso l'altro coniuge può chiedere di continuare nell'esercizio dei poteri di amministrazione dei beni comuni e godere dei beni del coniuge assente o scomparso secondo le norme degli articoli 48 e seguenti.
I beni della comunione rispondono:
a) di tutti i pesi ed oneri gravanti su di essi al momento dell'acquisto;
b) di tutti i carichi dell'amministrazione;
c) delle spese per il mantenimento della famiglia e per l'istruzione e l'educazione dei figli e di ogni obbligazione contratta dai coniugi, anche separatamente, nell'interesse della famiglia;
d) di ogni obbligazione contratta congiuntamente dai coniugi.
I creditori possono agire sui beni della comunione solo fino al valore corrispondente alla quota del coniuge obbligato. Se i beni della comunione non sono sufficienti a soddisfare i creditori, questi possono agire in via sussidiaria sui beni personali di ciascuno dei coniugi, nella misura della metà del credito.
Ciascuno dei coniugi è tenuto con i beni personali per le obbligazioni derivanti da donazioni o da successioni conseguite durante il matrimonio e non attribuite alla comunione.
I beni della comunione, fino al valore corrispondente alla quota del coniuge obbligato, e i beni personali di quest'ultimo rispondono delle obbligazioni contratte, dopo il matrimonio, da ciascuno dei coniugi per il compimento di atti eccedenti l'ordinaria amministrazione senza il necessario consenso dell'altro.
I beni personali dei coniugi rispondono delle obbligazioni contratte da ciascuno di essi prima del matrimonio.
I beni della comunione non rispondono delle obbligazioni contratte da uno dei coniugi per obbligazioni assunte per interessi estranei ai bisogni della famiglia.
I creditori particolari di uno dei coniugi possono soddisfarsi sussidiariamente sui beni della comunione, fino al valore corrispondente alla quota del coniuge obbligato, se i beni personali del medesimo non sono sufficienti a soddisfare i debiti.
La comunione si scioglie per la morte di uno dei coniugi, per la dichiarazione di assenza o di morte presunta di uno dei coniugi, per l'annullamento, per lo scioglimento o per la cessazione degli effetti civili del matrimonio, per la separazione personale, per la separazione giudiziale dei beni, per mutamento convenzionale del regime patrimoniale, per il fallimento di uno dei coniugi.
Nel caso di azienda di cui alla lettera d) dell'articolo 177, lo scioglimento della comunione può essere deciso, per accordo dei coniugi, osservata la forma prevista dall'articolo 162.
La separazione giudiziale dei beni può essere pronunziata in caso di interdizione o di inabilitazione di uno dei coniugi o di cattiva amministrazione della comunione.
Può altresì essere pronunziata quando il disordine degli affari di uno dei coniugi o la condotta da questo tenuta nell'amministrazione dei beni mette in pericolo gli interessi dell'altro o della comunione o della famiglia, oppure quando uno dei coniugi non contribuisce ai bisogni della famiglia in misura proporzionale alle proprie sostanze e capacità di lavoro.
Ciascuno dei coniugi è creditore della comunione per le somme prelevate dal patrimonio personale ed impiegate in spese ed investimenti del patrimonio comune.
È parimenti creditore per il valore dei beni di cui ai numeri 3 e 5 dell'articolo 179, qualora siano stati oggetto di atti di straordinaria amministrazione compiuti nell'interesse della comunione e quest'ultima abbia tratto vantaggio dall'attività svolta.
Ciascuno dei coniugi è debitore verso la comunione delle somme prelevate dal patrimonio comune per fini diversi dall'adempimento delle obbligazioni previste dall'articolo 186.
La separazione giudiziale dei beni può essere pronunziata quando ricorre uno dei casi previsti nell'articolo 191 ed è chiesta da uno dei coniugi.
La sentenza che pronunzia la separazione retroagisce al giorno in cui è stata proposta la domanda ed ha l'effetto di instaurare il regime di separazione dei beni regolato dalla sezione V del presente capo, salvi i diritti dei terzi.
La sentenza è annotata a margine dell'atto di matrimonio e sull'originale delle convenzioni matrimoniali.
La divisione dei beni della comunione legale si effettua ripartendo in parti uguali l'attivo e il passivo.
Il giudice, in relazione alle necessità della prole e all'affidamento di essa, può costituire a favore di uno dei coniugi l'usufrutto sui beni attribuiti all'altro. In caso di casa adibita a residenza familiare, si applicano le disposizioni dell'articolo 155-quater.
Nella divisione, ad entrambi i coniugi o, in caso di morte, ai loro eredi, spetta il diritto di prelevare i beni mobili che appartenevano ai coniugi prima della comunione o che sono ad essi pervenuti durante la medesima per successione o donazione.
Ciascuno dei coniugi, se la cosa da prelevare non si trova nel patrimonio comune, ha diritto di ripetere il valore che essa aveva al momento in cui fu alienata o al momento in cui fu distrutta o deteriorata per fatto imputabile all'altro coniuge o al momento della divisione, se la distruzione o il deterioramento è avvenuto per caso fortuito.
I coniugi non possono, senza il consenso dei creditori, prelevare beni sui quali questi ultimi potevano soddisfarsi.
[Articoli abrogati]
I coniugi possono, mediante convenzione stipulata a norma dell'articolo 162, modificare il regime della comunione legale dei beni purché i patti non siano in contrasto con le disposizioni dell'articolo 161.
Non possono essere derogati i diritti e i doveri previsti dal titolo VI del libro primo; si applicano i divieti stabiliti dall'articolo 2901.
I beni indicati alle lettere c) e d) dell'articolo 179 non possono essere compresi nella comunione convenzionale.
Non può essere convenuto che i beni indicati alle lettere a) e b) dell'articolo 179 siano compresi nella comunione, quando essi siano di proprietà o spettino a soggetti che siano figli non comuni o loro discendenti.
Non possono essere altresì compresi nella comunione convenzionale beni di cui il coniuge non sia proprietario e, se si tratta di beni futuri, i beni che spetterebbero a soggetti indicati nel precedente comma.
Le convenzioni matrimoniali stipulate all'estero da cittadini italiani sono valide, purché siano fatte per atto pubblico, o anche per scrittura privata stesa di proprio pugno e sottoscritta dai coniugi, se ricevute da un ufficiale diplomatico o consolare.
L'ufficiale che le ha ricevute deve trasmetterle al competente ufficiale dello stato civile affinché siano trascritte nei registri del matrimonio.
Si applicano alla comunione convenzionale le disposizioni della sezione III del presente capo, in quanto non derogate dalle convenzioni stipulate a norma del presente articolo e del precedente.
Si può convenire che il godimento dei beni spetti ai coniugi in misura diversa da quella indicata dall'articolo 177.
Si può convenire che i coniugi contribuiscano ai bisogni della famiglia in misura non proporzionale alle loro sostanze.
Sono nulli i patti che attribuiscono ad uno solo dei coniugi la facoltà di modificare unilateralmente le convenzioni.
I coniugi possono convenire che ciascuno di essi conservi la titolarità esclusiva dei beni acquistati durante il matrimonio.
Nel caso di separazione dei beni, qualora non ne sia provata la proprietà esclusiva di uno dei coniugi, i beni si presumono di proprietà indivisa per pari quota di entrambi i coniugi.
Ciascun coniuge ha il godimento e l'amministrazione dei beni di cui è titolare esclusivo.
Se ad uno dei coniugi è stata conferita la procura ad amministrare i beni dell'altro con l'obbligo di rendere conto dei frutti, egli è tenuto verso l'altro coniuge secondo le regole del mandato.
Se uno dei coniugi ha amministrato i beni dell'altro con procura senza l'obbligo di rendere conto dei frutti, egli ed i suoi eredi, a richiesta dell'altro coniuge o allo scioglimento o alla cessazione degli effetti civili del matrimonio, sono tenuti a consegnare i frutti esistenti e non rispondono per quelli consumati.
Se uno dei coniugi, nonostante l'opposizione dell'altro, amministra i beni di questo o comunque compie atti relativi a detti beni, risponde dei danni e della mancata percezione dei frutti.
Il coniuge che gode dei beni dell'altro coniuge è soggetto a tutte le obbligazioni dell'usufruttuario.
Il coniuge può provare con ogni mezzo nei confronti dell'altro la proprietà esclusiva di un bene.
I beni di cui nessuno dei coniugi può dimostrare la proprietà esclusiva sono di proprietà indivisa per pari quota di entrambi i coniugi.
[Articoli abrogati]
[Articolo abrogato]
Salvo che sia configurabile un diverso rapporto, il familiare che presta in modo continuativo la sua attività di lavoro nella famiglia o nell'impresa familiare ha diritto al mantenimento secondo la condizione patrimoniale della famiglia e partecipa agli utili dell'impresa familiare ed ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi di valore dell'azienda, anche in ordine all'avviamento, in proporzione alla quantità e qualità del lavoro prestato. Le decisioni concernenti l'impiego degli utili e degli incrementi nonché quelle inerenti alla gestione straordinaria, agli indirizzi produttivi e alla cessazione dell'impresa sono adottate, a maggioranza, dai familiari che partecipano all'impresa stessa. I familiari partecipanti all'impresa che non hanno la piena capacità di agire sono rappresentati nel voto da chi esercita la potestà su di essi.
Il lavoro della donna è considerato equivalente a quello dell'uomo.
Ai fini della disposizione di cui al primo comma si intende come familiare il coniuge, i parenti entro il terzo grado, gli affini entro il secondo; per impresa familiare quella cui collaborano il coniuge, i parenti entro il terzo grado, gli affini entro il secondo.
Il diritto di partecipazione di cui al primo comma è intrasferibile, salvo che il trasferimento avvenga a favore di familiari indicati nel comma precedente col consenso di tutti i partecipi. Esso può essere liquidato in danaro alla cessazione, per qualsiasi causa, della prestazione del lavoro, ed altresì in caso di alienazione dell'azienda. Il pagamento può avvenire in più annualità, determinate, in difetto di accordo, dal giudice.
In caso di divisione ereditaria o di trasferimento dell'azienda i partecipi di cui al primo comma hanno diritto di prelazione sull'azienda. Si applica, nei limiti in cui è compatibile, la disposizione dell'articolo 732.
Le comunioni tacite familiari nell'esercizio dell'agricoltura sono regolate dagli usi che non contrastino con le precedenti norme.
Al convivente di fatto che presti stabilmente la propria opera all'interno dell'impresa dell'altro convivente spetta una partecipazione agli utili dell'impresa familiare ed ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi dell'azienda, anche in ordine all'avviamento, commisurata al lavoro prestato.
Il diritto di partecipazione non spetta qualora tra i conviventi esista un rapporto di società o di lavoro subordinato.