La Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione (Sent. 13089/2008) ha stabilito che è lecito per il cliente rivolgere delle lamentele al proprio (e ciò anche se fatte per iscritto), a condizione che dette critiche abbiano un fondamento di verità.
Gli Ermellini, hanno quindi chiarito che, in difetto, si rischia una condanna per diffamazione. In particolare, la Corte ha precisato che non commette reato chi espone le proprie lamentele nei confronti di un professionista quando le espressioni utilizzate non sono di per sé munite di inequivocabile potenzialità offensiva e quindi non rivestano carattere lesivo dell'onore, del decoro e della reputazione del soggetto cui sono destinati.
Inoltre, osserva la Corte, per non incorrere nel reato, le lamentele debbono essere contenute nei limiti del diritto di critica "tenendo presente che quando questo consiste nella attribuzione di un fatto determinato è necessario che sussista il requisito della verità del fatto riferito e criticato".
La Corte ha infine precisato che sia per il reato di ingiuria sia per quello di diffamazione, occorre la sussistenza del dolo generico "vale a dire nella coscienza e volontà di ricorrere all'uso di parole od espressioni socialmente interpretabili come offensive, non rilevando le intenzioni dell'agente".

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