La mediazione scolastica è un progetto educativo e di prevenzione al bullismo, cosa significa imparare e gestire i conflitti?

Avv. Alessandra Donatello - La mediazione non è solo un metodo di gestione dei conflitti, intesi come vere e proprie controversie che nascono tra i "grandi" e che, come tale, si può sviluppare solamente quando ormai, tra adulti, si è giunti ad un passo dall'iniziare una causa in tribunale.

Questo è il panorama prevalente a cui siamo - purtroppo - abituati perché è ancora troppo poco diffusa, nel nostro Paese, la cultura della mediazione.

Senz'altro, non vi può essere cultura laddove non vi sia prima e contestualmente, un'educazione alla mediazione, intesa nella sua accezione più ampia, come la capacità di gestire i conflitti.

Da dove iniziare nel percorso educativo se non dalle scuole?

In un mondo, come quello attuale in cui viviamo, in cui risulta sempre più spesso difficile confrontarsi con gli altri, insegnare ai ragazzi che la gestione di un conflitto non deve essere necessariamente un percorso negativo ma che, al contrario, può trasformarsi in qualcosa di positivo, dovrebbe rappresentare una priorità per l'elaborazione dei piani educativi che coinvolgono i nostri giovani.

L'educazione alla legalità, la comprensione che si può risolvere un problema con un compagno di scuola, con un professore, con i propri genitori, è il primo passo per acquistare quella consapevolezza di sé che fa diventare adulti.

La gestione del conflitto è un'abilità e come tutte le abilità bisogna prima apprenderle e, successivamente, allenarsi a svilupparle.

Esperienze progettuali che coinvolgono in questo senso i ragazzi, ma anche gli adulti con cui si interfacciano quotidianamente, hanno avuto esiti molto positivi.

Come segnalato dal Garante dell'Infanzia al termine di vari progetti, la mediazione "va introdotta nei programmi scolastici come materia di studio al fine di formare i giovani affinché possano acquisire capacità di ascolto e siano così coinvolti, in maniera attiva, nella gestione dei conflitti a scuola".

Trasformare l'approccio da competitivo a cooperativo è la chiave per educare al fatto che il conflitto fa parte, in maniera immanente, della natura umana e proprio per questo non deve essere inteso come elemento negativo.

Esso, si può dire, nasce come naturale risvolto del confronto tra esseri umani differenti e si trasforma in elemento negativo solo quando non si è in grado di capire che va inteso come opportunità per comprendere che ci sono altre posizioni oltre alle nostre. Ma anche che, seppure vi sono posizioni divergenti, l'ascolto altrui ed il coraggio di mettersi in gioco permette di ricostruire i legami spezzati a causa del conflitto.

Mi piace considerare il momento del conflitto come una sorta di sliding doors: la scelta di come gestirlo cambierà completamente il nostro rapporto con l'altro e influenzerà in un verso o, nell'altro, la nostra vita.

Possiamo scegliere se renderci responsabili verso noi stessi e gli altri e quindi costruire un piccolo pezzo di maturità ad ogni conflitto, oppure chiuderci nei nostri bisogni, nelle nostre posizioni e rimanere ancorati solo a noi stessi.

La mediazione in ambito scolastico serve a tutto questo: imparare a riparare un danno.

In ambito giuridico, tra gli altri, si segnala il lavoro che, anche su questi temi, viene svolto dagli Osservatori sulla giustizia civile.

All'ultimo coordinamento nazionale, svoltosi a Bologna lo scorso 1° dicembre, è stata ribadita l'importanza della interazione dei gruppi di lavoro che si occupano di "famiglia" e quelli che si occupano di "a.d.r." (alternative dispute resolution), ciò ad evidenziare l'enorme comunanza che lega e deve legare questi due aspetti.

Allo stesso tempo, nell'ambito dei gruppi "a.d.r.", si è particolarmente posta l'attenzione all'educazione alla gestione dei conflitti, su cui già all'assemblea nazionale di Reggio Emilia del giugno scorso, erano stati enucleati i progetti già svolti insieme a quelli nuovi che toccano tutte le realtà scolastiche (dalla scuola primaria all'università), ma anche la formazione di tutti i professionisti che possono essere coinvolti, ciascuno nel proprio ruolo, nel conflitto.

L'educazione alla mediazione risponde al bisogno di ascolto che i giovani hanno, oltre che al loro desiderio di essere coinvolti nella ricerca di soluzioni ai conflitti che vivono; hanno bisogno di diventare grandi ed il ruolo che la scuola ha è quello di dare loro gli strumenti per riuscire a farlo, evitando di assuefarsi ad una indiscriminata protezione tout court che non li rende capaci di tollerare il conflitto e di superarlo, ma, al contrario, favorisce quella pericolosa sliding door che può rappresentare l'anticamera del bullismo.

Avv. Alessandra Donatello

avvocato e mediatore civile e commerciale in Piacenza

alessandra.donatello@gmail.com



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