Secondo il Garante Privacy le banche non possono pretendere il pagamento da parte dei clienti delle spese per ottenere i documenti contenenti informazioni che li riguardano

Avv. Giampaolo Morini - È divenuto ormai un mal costume delle banche (in realtà uno dei tanti) richiedere somme esorbitanti, ai clienti che richiedono copia di documenti (contratti ed estratti conto), somme, peraltro non convenute pattiziamente; all'uopo, appare utile rispolverare un vecchio intervento dell'autorità Garante.

Documenti bancari che riguardano il correntista: devono essere rilasciati gratuitamente

Il garante per la protezione dei dati personali, con provvedimento riportato nella newsletter del 3 novembre 2003 evidenziò che le banche non potevano pretendere il pagamento da parte dei clienti delle spese per ottenere i documenti contenenti informazioni che li riguardano, tra i quali si fanno rientrare anche gli estratti conto ed i documenti relativi ad operazioni bancarie o finanziarie compiute. Ciò ai sensi dell'articolo 13 della legge 675/1996 e dell'articolo 17 del d p r 501/1998.

Con l'entrata in vigore del decreto legislativo 30 giugno 2003, n.196 che all'articolo 183, ha espressamente abrogato l'intera legge 31 dicembre 1996, n.675 e l'articolo 17 del DPR 31 marzo 1998, n.501, l'interpretazione resta valida.

Infatti l'articolo 10 comma 8 del citato decreto legislativo 196/2003 prevede che un contributo economico possa essere richiesto solo quando il titolare del trattamento dei dati personali debba impiegare notevoli mezzi in relazione alla complessità e all'entità della richiesta, fermo restando che comunque tale contributo non può superare quanto determinato con procedimento di carattere generale dal garante per la privacy.

La gratuità dell'accesso ai dati bancari personali fu confermata dal Garante della privacy con provvedimento 6 novembre 2008.

Reclamo correntista: prescrizione decennale

Va preliminarmente osservato che il reclamo da parte del correntista di somme - in via di asserzione - indebitamente trattenute dalla banca su un'apertura di credito in conto corrente a titolo di interessi, perché calcolati in misura superiore a quella legale senza valida pattuizione, è soggetto a prescrizione decennale, che inizia a decorrere dalla chiusura del rapporto; questo, infatti, pur articolandosi in una pluralità di atti esecutivi, si atteggia come unico ed unitario, per cui è soltanto con la chiusura del conto che i crediti ed i debiti delle parti assumono definitività. La prescrizione, è decennale e decorre dalla data di chiusura del rapporto.

In riferimento all'approvazione c.d. tacita dell'estratto conto trasmesso al correntista per difetto di contestazione nel termine di cui all'art. 1832, 1° c., C.C., vi è da precisare che la stessa si riferisce per costante giurisprudenza[1] alle operazioni materiali e alla loro conformità agli accrediti ed agli addebiti - salva in ogni caso la deducibilità di errori ai sensi del 2° comma della disposizione citata -, e non anche alla validità ed efficacia dei rapporti obbligatori da cui le operazioni stesse derivano; in tal caso, infatti, l'impugnabilità investe direttamente il titolo ed è regolata dalle norme generali sui contratti.

Sulla natura dell'approvazione si è discusso e si discute tuttora. Una opinione meno recente vede nell'approvazione del conto un vero e proprio negozio giuridico di accertamento che si realizza mediante l'incontro di due manifestazioni di volontà: la proposta di accertamento effettuata dal correntista che invia l'estratto conto e l'accettazione del correntista che lo riceve[2].L'orientamento prevalente in dottrina sostiene, invece, che l'approvazione è un atto non negoziale di natura confessoria formato da due dichiarazioni unilaterali di verità[3] mirante al riconoscimento della veridicità e della esattezza delle operazioni contabili[4]. Tale natura sembra risultare anche dal regime dell'impugnativa previsto. Infatti, gli errori considerati nel 2° co. sono errori di fatto che consentono la revoca della confessione[5] . Ma, mentre nel caso di approvazione esplicita non si dubita della natura di confessione, nel caso di approvazione tacita, invece, sorge il problema di qualificare come confessione un comportamento inattivo (il silenzio). Si ritiene che, in tal caso, manchi l'animus confitendi [6].


[1] CASS. CIV., sez. III, 12 aprile 1980 n. 2336: L'estratto conto previsto dall'art. 1832 comma 2 c.c., non è soltanto quello che esprime la situazione finale del rapporto, al momento in cui esso ha termine, ma anche quello che rappresenta il risultato di tutte le operazioni verificatesi fino ad una certa data, e la contabilizzazione delle medesime con la indicazione di un saldo attivo e passivo, comprensivo di ogni ragione di dare ed avere, e, quindi, tale da costituire la prima parte della successiva fase del conto (Giust. civ. Mass. 1980, fasc. 4. Banca borsa tit. cred. 1981, II,129); CASS. CIV., 10 ottobre 1977, n. 4310: Nel rapporto di conto corrente il termine di sei mesi per l'impugnazione del conto stabilito dall'art. 1832, cpv., c. c., decorre dalla data di ricezione dell'estratto conto di chiusura del periodo nel quale l'operazione controversa è compresa, non di quello concernente la chiusura finale allo scioglimento del rapporto. Non è idonea a far decorrere il termine di sei mesi stabilito dall'art. 1832, cpv., c. c., per l'impugnazione del conto la comunicazione di un estratto conto che rechi una contabilizzazione incompleta, perché non includente il computo delle spese e degli interessi del periodo cui si riferisce la chiusura (Foro It. Mass., 1977)

[2] Redenti, La compensazione dei debiti nei nuovi codici, RTDP, 1947, 18

[3] Fiorentino, Conto corrente e contratti bancari, in Comm. Scialoja-Branca, sub artt. 1823-1860, Bologna-Roma, 1969, 26

[4] Scozzafava, Grisi, Conto corrente ordinario, in Tratt. Rescigno, 12, IV, Torino, 1985, 782

[5] Fiorentino, 26 s.

[6] Teglio, Osservazioni sull'approvazione del conto corrente, FP, 1963, I, 299

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