Tali disposizioni non incidono sull'esercizio dei diritti costituzionali ma sulle modalità attraverso le quali questi diritti sono esercitati

Avv. Luisa Foti - Con la sentenza n. 122 del 2017 la Corte ha depositato le motivazioni della decisione presa nei mesi scorsi in tema di carcere duro e scambio dall'esterno di riviste e libri. Secondo quanto si apprende dalle motivazioni della decisione, il divieto contenuto nel secondo comma-quater dell'art. 41-bis dell'ordinamento penitenziario, che prevede il divieto di scambio di riviste e libri tra i detenuti in regime di carcere duro e l'esterno, non è illegittimo.

Carcere duro: legittimo il divieto di scambiare libri e riviste

La questione nasce dalla Circolare Dap con la quale era stato rigidamente regolamentato, sulla base delle "elevate misure di sicurezza interna ed esterna" previste dal citato secondo comma quater, art. 41-bis, lo scambio di libri e riviste dall'esterno: in base alla circolare, poi rinnovata dalla circolare del 2014 avente lo stesso contenuto, è solo attraverso l'istituto penitenziario che i detenuti possono acquistare libri mentre la ricezione di libri e posta dall'esterno è vietata.

Tale circolare, tuttavia, veniva sistematicamente disapplicata dai giudici in virtù del suo contrasto con l'art. 18-ter dell'ord. pen. che subordina ad un atto dell'autorità giudiziaria le limitazioni alla corrispondenza e alla ricezione della stampa.

Sulla questione era intervenuta la Cassazione contraddicendo questa imposizione e facendo valere la circolare d.a.p.: le ordinanze dei giudici di sorveglianza sarebbero illegittime perché il potere previsto dalla circolare trova la sua ratio nell'art. 41-bis, comma 2-quater e non nell'art. 18-ter.

Il giudice a quo, rilevato che l'impostazione della Cassazione si fosse imposta quale "diritto vivente", non potendo interpretare diversamente la norma (art. 41-bis, comma 2-quater), non ha potuto fare altro che sollevare la questione di legittimità costituzionale per violazione dell'art. 15, 21, 33 e 34 Cost.

Tuttavia, la Consulta ha ritenuto la questione non fondata in quanto tali disposizioni non incidono sull'esercizio dei diritti costituzionali dei quali si presume la violazione, come prospettato dal giudice a quo, ma sulle modalità attraverso le quali questi diritti sono esercitati.


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