Avv. Marco Capone - Anche il nostro ordinamento, grazie alla legge Cirinnà (L. n. 76/2016), possiede adesso una regolamentazione di quel fenomeno, ormai da tempo conosciuto della nostra realtà sociale, definibile come "convivenza di fatto". In realtà, erano tante, e innegabilmente legittime, le istanze di un adeguato riconoscimento dei diritti di quei soggetti che vivono, o intendono vivere, le loro relazioni di coppia, ma, per le ragioni più varie, non intendono legarsi con la stipula di un negozio matrimoniale.
Ed ecco che, a colmare tale improrogabile vuoto giuridico, arriva, non senza ritardo, la legge Cirinnà.In virtù della L. 76/2016, alle "… persone maggiorenni [non necessariamente di sesso diverso] unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale …" (art. 1 comma 36 L. 76/2016) sono garantiti una serie di reciproci diritti e doveri. Solo a titolo di esempio, tra le situazioni giuridiche riconosciute ai conviventi si annoverano: quelle attribuite al coniuge dall'ordinamento penitenziario; la facoltà di visita e di assistenza in caso di malattia del compagno/a; il diritto di abitazione da parte del convivente superstite nell'immobile adibito a comune residenza; la partecipazione agli utili dell'impresa familiare quando il convivente vi abbia prestato la propria attività lavorativa al di fuori di vincoli societari e/o di dipendenza.
Individuata per sommi capi la disciplina delle coppie di fatto, resta però da chiarire come sussumere il fenomeno sociale, all'interno dell'istituto di diritto. In altri termini, occorre stabilire il momento in cui due persone assumono i diritti e gli obblighi elencati dalla L. 76/2016. Con un buon grado di certezza, si può escludere che si diventi "conviventi di fatto" a seguito della sottoscrizione del contratto di cui al comma 50 della novella. La facoltatività di tale atto (i conviventi "possono disciplinare i rapporti patrimoniali […] con la sottoscrizione di un contratto di convivenza"), unita alla disposizione di cui al comma 37 del medesimo testo, in cui si chiarisce che ai fini dell'accertamento della stabile convivenza "si fa riferimento alle dichiarazione anagrafiche" pur non riconoscendo alle stesse alcun valore di esclusività, porta a ritenere che la fattispecie in oggetto sfugge a criteri di individuazione univoci e agevolmente cristallizzabili in un
testo di legge. Allo stato degli atti, spetterà quindi ai Giudici chiarire ad esempio quanto tempo occorrerà affinché una convivenza diventi stabile, ovvero stabilire il momento in cui l'intensità e la natura dei legami che uniscono due persone
siano tali da generare una "coppia di fatto". Tutto questo, va poi unito alla considerazione che l'istituzionalizzazione
delle convivenze di fatto, non dovrebbe in nessun caso comportare la soppressione della libertà (anch'essa legittima) di quelle persone che, in piena chiarezza e autonomia, intendono costruire le loro relazioni di coppia (non necessariamente affettive, ma anche lavorative, di studio, ecc.), senza sentirsi obbligati, condizionati e imbrigliati da qualunque obbligo di legge. L'applicazione pratica della norma si preannuncia, pertanto, una operazione tutt'altro che agevole e non resta che affidarsi all'esperienza e al buon senso della classe dei magistrati, i quali, come in altre occasioni, sapranno individuare il
giusto punto di equilibrio tra le varie posizioni in gioco.
Avv. Marco Capone
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