Analisi ragionata sulla delega delle funzioni dirigenziali nel settore degli enti locali: dai criteri di riparto dell'attività della PA, alla competenza, alla posizione della Cassazione

Prof. Luigino Sergio - Da parte di un lettore di Studiocataldi.it è stato posto il seguente quesito, dopo la pubblicazione dell'articolo a firma dello scrivente: "I dirigenti a contratto negli enti locali: la durata degli incarichi ai sensi dell'art. 110 TUEL secondo la Corte di Cassazione".

Il quesito

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«...Sono un tecnico con esperienza nel settore Ambientale e sono stato assunto nel 2012 con "contratto a tempo determinato e a tempo pieno, ai sensi dell'art. 110, comma 2, del d.lgs. n. 267/2000 (alta specializzazione) come funzionario tecnico -cat. D" presso il Servizio Ambiente di un Comune capoluogo di provincia.

Ultimamente, ho ricevuto dal dirigente responsabile del servizio la delega delle funzioni dirigenziali: in caso di sua assenza e/o impedimento tutti i procedimenti, tranne quelli relativi alla valutazione del personale e all'applicazione dei procedimenti disciplinari, saranno di mia competenza.

A parte l'inusuale modalità di consegna della delega, le funzioni delegate non sono previste nel contratto sottoscritto dalle parti (che a questo punto dovrebbero rientrare nella sfera del diritto privato) e non ritengo, per quanto ho letto nel suo articolo, che non possano essere attribuite ad impiegati fuori organico dell'ente. Poi nutro seri dubbi sulla possibilità che, funzioni così vincolanti per l'ente, siano delegate con un semplice atto dirigenziale. La ringrazio anticipatamente per l'eventuale commento a risposta della presente […]».

L'inquadramento del problema

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La questione posta, su cui è stato richiesto un commento, concerne la possibilità che un dirigente responsabile di servizio possa attivare l'istituto della delega di funzioni dirigenziali in caso di sua assenza e/o impedimento, concernente tutti i procedimenti amministrativi ad esclusione di quelli relativi alla valutazione del personale e all'applicazione dei procedimenti disciplinari; delega attribuita ad un funzionario tecnico ambientale - Cat. D, di un Comune capoluogo di provincia, assunto con "contratto a tempo determinato e a tempo pieno, ai sensi dell'art. 110, comma 2, del d.lgs. n. 267/2000 (alta specializzazione) come funzionario tecnico - cat. D" presso il servizio ambiente di un Comune capoluogo di provincia.

L'alta specializzazione

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L'alta specializzazione è oggi prevista dal d.lgs. n. 267/2000, art. 110, comma 1, comma sostituito dall'art. 11, comma 1, lett. a), d.l. 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 114, il quale dispone che: «lo statuto può prevedere che la copertura dei posti di responsabili dei servizi o degli uffici, di qualifiche dirigenziali o di alta specializzazione, possa avvenire mediante contratto a tempo determinato […] fermi restando i requisiti richiesti per la qualifica da ricoprire, gli incarichi a contratto di cui al presente comma sono conferiti previa selezione pubblica volta ad accertare, in capo ai soggetti interessati, il possesso di comprovata esperienza pluriennale e specifica professionalità nelle materie oggetto dell'incarico».

Al comma successivo (comma 2), prima proposizione è disposto che: «il regolamento sull'ordinamento degli uffici e dei servizi, negli enti in cui è prevista la dirigenza, stabilisce i limiti, i criteri e le modalità con cui possono essere stipulati, al di fuori della dotazione organica, contratti a tempo determinato per i dirigenti e le alte specializzazioni, fermi restando i requisiti richiesti per la qualifica da ricoprire […] negli altri enti, il regolamento sull'ordinamento degli uffici e dei servizi stabilisce i limiti, i criteri e le modalità con cui possono essere stipulati, al di fuori della dotazione organica, solo in assenza di professionalità analoghe presenti all'interno dell'ente, contratti a tempo determinato di dirigenti, alte specializzazioni o funzionari dell'area direttiva, fermi restando i requisiti richiesti per la qualifica da ricoprire».

Le due disposizioni normative evidenziano due differenti tipologie di contratti di lavoro subordinato a tempo determinato, il cui discrimine sta nella collocazione del relativo posto all'interno della dotazione organica piuttosto che al di fuori di essa; inoltre, esse demandano a due differenti atti normativi dell'ente locale le modalità della regolamentazione delle fattispecie, ripartendola fra lo statuto ed il regolamento per la disciplina degli uffici e dei servizi, previsti il primo dall'art. 6 del TUEL, il secondo dall'art. 48, comma 3, dello stesso TUEL.

Il CCNL del personaledel comparto delle Regioni e delle autonomie locali per il quadriennio normativo 2002-2005 e il biennio economico 2002-2003, all'art. 10 prevede la valorizzazione delle alte professionalità del personale della categoria D mediante il conferimento di incarichi a termine, per «per valorizzare specialisti portatori di competenze elevate e innovative, acquisite, anche nell'ente, attraverso la maturazione di esperienze di lavoro in enti pubblici e in enti e aziende private, nel mondo della ricerca o universitario rilevabili dal curriculum professionale e con preparazione culturale correlata a titoli accademici (lauree specialistiche, master, dottorati di ricerca, ed altri titoli equivalenti) anche, per alcune delle suddette alte professionalità, da individuare da parte dei singoli enti, con abilitazioni o iscrizioni ad albi; […] per riconoscere e motivare l'assunzione di particolari responsabilità nel campo della ricerca, della analisi edella valutazione propositiva di problematiche complesse di rilevante interesse per il conseguimento del programma di governo dell'ente».

La posizione della Corte di Cassazione

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In materia è intervenuto il giudice delle leggi con la sentenza della Corte di Cassazione, sezione lavoro del 26 gennaio 2015, n. 849, il cui dictum è particolarmente eloquente: «l'art. 110 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, in materia di "incarichi a contratto" a tempo determinato conferiti negli enti locali, disciplina, al comma 1, la possibilità che il contratto sia stipulato per la copertura di posti previsti nella pianta organica, mentre al comma 2, la previsione riguarda la stipulazione di contratti "al di fuori della dotazione organica", con la conseguenza che la copertura dei posti di responsabili dei servizi o degli uffici, di qualifiche dirigenziali o di alta specializzazione di cui al comma 1 deve essere prevista dallo statuto dell'ente, non essendo all'uopo sufficiente una previsione regolamentare".

La sentenza della Corte di Cassazione, Sez. Lavoro del 26 gennaio 2015, n. 849 è particolarmente eloquente: lo statuto ed il regolamento per la disciplina degli uffici e dei servizi non sono affatto fonti di regolazione fungibili; questo significa che la legittimazione alla stipulazione di contratti di lavoro subordinato a tempo determinato per il conferimento di incarichi dirigenziali o di funzioni dirigenziali è costituita solo e soltanto dallo statuto, mentre la disciplina di dettaglio è demandata al regolamento di organizzazione.

Il rapporto fra statuto e regolamento non lascia dubbi: nel senso che vi è una differente funzione delle due fonti di regolazione interne, in base a cui l'ente locale non è affatto libero di valorizzarne una a scapito dell'altra. Di conseguenza la mancata previsione statutaria della possibilità di stipulare contratti di lavoro subordinato a tempo determinato per il conferimento di incarichi dirigenziali e di funzioni dirigenziali non è altrimenti riacquistabile.

L'art. 110, commi 1 e 2 TUEL, come visto supra, fa riferimento a due differenti tipologie di contratti di lavoro subordinato a tempo determinato: il primo entro la dotazione organica prevista dalla macrostruttura dell'ente locale, il secondo al di fuori di essa. La duplicazione in argomento non è irrilevante. Il riferimento alla dotazione organica rende evidente che l'ipotesi di cui all'art. 110, comma 1, del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 è attingibile per il solo conferimento di incarichi dirigenziali o di funzioni dirigenziali che hanno ad oggetto funzioni stabili dell'ente, ossia funzioni fondamentali, proprie, delegate o attribuite, per l'esercizio delle quali si richiede la preventiva formazione e costituzione di un ben definito nesso di immedesimazione organica, necessario per formare la volontà dell'ente e riferirla al suo esterno; mentre la fattispecie indicata dal comma 2 della fonte di regolazione, consente di ricorrere solo per il reperimento di dirigenti, incaricati di funzioni dirigenziali o alte specializzazioni che operano in rapporto di staff con dirigenti-organo, piuttosto che con gli organi di governo dell'ente locale.

Da ultimo, alcune disposizioni dell'art. 19 del d.lgs. n. 165/2001 sono state espressamente estese alle amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2, del citato decreto legislativo e, quindi, anche ai Comuni, alle Province e Regioni (Corte Cost. Sent. n. 324/2010), estensione che è avvenuta ad opera del comma 6-ter dell'art. 19 sopra citato, introdotto dall'art. 40, comma 1, lett. f) del d.lgs. n. 150/2009 e riguarda il disposto dei commi 6 e 6-bis1.

L'incarico di Alta Specializzazione è finalizzato allo svolgimento, solo come esempio, delle seguenti attività ed implica il possesso di alcuni requisiti soggettivi come:

- redazione dei piani particolareggiati di iniziativa pubblica;

- predisposizione di programmi operativi di riqualificazione urbana;

- varianti al piano regolatore generale ed ogni altra attività conferitagli dal Dirigente dell'Area che rientri nella specifica professionalità richiesta e presuppone il possesso di requisiti generali come:

- cittadinanza italiana;

- idoneità psico-fisica all'impiego nel profilo di cui si tratta;

- non essere esclusi dal godimento del diritto di elettorato attivo;

- non essere stati destinatari di validi ed efficaci atti risolutivi di precedenti rapporti di impiego pubblico comminati per insufficiente rendimento o per produzione di documenti falsi o per uso di mezzi fraudolenti;

- essere in regola con gli obblighi di leva, per i candidati di sesso maschile;

- non aver riportato condanne penali né avere in corso procedimenti penali che impediscano, ai sensi delle vigenti disposizioni in materia, la costituzione di un rapporto di lavoro con la Pubblica Amministrazione o la dichiarazione dei carichi pendenti e di requisiti speciali come:

- essere in possesso del diploma di laurea (Ordinamento previgente al d.m. n. 509/1999) o di laurea specialistica/magistrale (Ordinamento successivo al d.m. n. 509/1999) [...] o equipollenti (sulla base dei decreti interministeriali che riconoscono l'equipollenza ai fini della partecipazione ai pubblici concorsi);

- essere in possesso di specifiche competenze ed aver maturato adeguata esperienza professionale in organismi ed enti pubblici o privati o aziende pubbliche o private, nell'ambito della pianificazione urbanistica, con particolare riguardo all'elaborazione dei piani strategici ed alla costruzione dei partenariati locali pubblico/privati. L'esperienza professionale dovrà essere dettagliatamente descritta nel curriculum da allegare alla domanda di partecipazione.

I criteri di riparto dell'attività della pubblica amministrazione

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La competenza specifica il complesso di poteri e di funzioni che un organo può esercitare per legge oltre a precisare la misura delle sue attribuzioni.

La categoria della competenza

La competenza si fonda sull'art. 97 Cost. il quale prevede che «i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge [e che] nell'ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari».

La competenza amministrativa è inderogabile, vista la riserva di legge posta dall'art. 97 Cost. nel senso che non può essere determinato nessun trasferimento della medesima da un organo ad un altro con un provvedimento amministrativo.

Può, invece, legittimamente accadere che l'autorità amministrativa competente trasferisca l'esercizio di proprie competenze ad un altro organo, perché quest'ultimo possa esercitare i poteri, senza che egli diventi titolare della stessa competenza.

La delega

La delega è un istituto che senza incidere sulla titolarità delle competenze, determina lo spostamento dell'esercizio di esse.

La delega incide sull'esercizio delle competenze di un organo amministrativo e comporta la creazione in capo ad un soggetto delegato di un potere derivato da quello del delegante.

La delega è un atto amministrativo di natura organizzatoria con la quale un organo (nel caso di delega interorganica) o un ente (nel caso di delega intersoggettiva) attribuisce in maniera unilaterale ad un altro organo o ad un altro ente il potere di provvedere relativamente ad una individuata materia che rientra nella competenza del soggetto delegante, il quale esercita il potere oggetto della delega in nome proprio divenendo, così, soggetto che assume la relativa responsabilità.

La delega ha carattere discrezionale essendo il suo conferimento basato sulla volontà del delegante ed ha carattere temporaneo in quanto qualora avesse definitività temporale violerebbe l'ordine delle competenze fissato dalla legge.

La delega è legittima nei soli casi previsti dalla legge essendo comunque essa possibile anche nei casi di previsione di legge solo implicita2.

La delega va conferita in forma scritta com'è possibile desumere da una serie di riferimenti normativi previsti dalla Legge 23 agosto 1988, n. 400, Disciplina dell'attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri, art. 9: «All'atto della costituzione del Governo, il Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, può nominare […] Ministri senza portafoglio […] con provvedimento da pubblicarsi nella Gazzetta Ufficiale» e art. 10, comma 3: «I sottosegretari di Stato coadiuvano il Ministro ed esercitano i compiti ad essi delegati con decreto ministeriale pubblicato nella Gazzetta Ufficiale».

Per ciò che attiene la revoca della delega, mentre nel caso di delega intersoggettiva (che interviene tra soggetti facenti parte di rami diversi della p.a., come nel caso di delega di funzioni amministrative tra Regioni ai Comuni) essa può intervenire anche in modo implicito per effetto dell'esercizio del potere oggetto di delega da parte del soggetto delegante; in quello di delega intersoggettiva (delega di funzioni dal dirigente al funzionario della medesima p.a.), la revoca necessita della forma scritta.

Il regime giuridico degli atti delegati

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Particolare attenzione va posta nei confronti del regime giuridico degli atti emanati dal soggetto delegato nell'esercizio della delega di poteri.

L'atto che il delegato assume nell'esercizio della delega è imputato a quest'ultimo che ne assume la responsabilità anche se non mancano punti di vista differenti in merito.

Ci si domanda circa il destino dell'atto emanato dal delegato in caso di vizio dell'atto di delega: la giurisprudenza, in tali casi, applica la cosiddetta "regola del fatto compiuto".

Tale illegittimità si dovrebbe ripercuotere sugli atti del delegato, in base a principio dell'invalidità derivata, per il quale essi dovrebbero ritenersi invalidi, rilevando che l'autorità del delegante risulta priva dell'investitura del potere; ma la giurisprudenza, in base alla regola del fatto compiuto, conclude per la validità degli atti che comportano effetti favorevoli nella sfera giuridica dei terzi, mentre per gli atti dai quali conseguono effetti sfavorevoli è possibile ottenere la loro caducazione tramite l'impugnazione congiunta alla delega che va proposta entro i termini decadenziali.

In merito all'insorgenza a beneficio del soggetto delegato della legittimazione esclusiva o concorrente all'esercizio del potere, si è dell'avviso che nel caso di delega interorganica il delegante mantenga il potere di agire in ordine all'oggetto della delega; mentre qualora vi sia delega intersoggettiva, il delegante non avrebbe più il potere di provvedere in ordine all'oggetto della delega, salvo revoca della delega.

La delega dei poteri dirigenziali

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Ad avviso della giurisprudenza civile «[…] la delega rilasciata dall'autorità amministrativa al funzionario incaricato […] si concreta in un atto amministrativo di investitura di funzioni»3; delega di funzioni amministrative che comporta la riferibilità immediata di quegli atti al soggetto delegato4 e che è ammessa soltanto nei casi espressamente previsti dalla legge5.

Con l'atto di delegazione amministrativa il soggetto delegante non attribuisce al soggetto delegato uno specifico potere amministrativo, ma soltanto l'esercizio di esso ovvero la gestione delle competenze attribuite con l'atto di delega.

Secondo altra configurazione, con l'atto di delega vi sarebbe uno spostamento della competenza, in base al quale il soggetto delegato, in virtù della delega, acquista il potere giuridico di esercitare una funzione amministrativa che rientra nella sfera di competenza del soggetto delegante; fatto che dilata la sfera di competenza del soggetto delegato, grazie al conferimento di un potere che istituzionalmente non gli appartiene.

Infine c'è chi è dell'avviso che la delega amministrativa di funzioni determina una contitolarità riguardo alla competenza tra organo delegante e delegato.

Negli anni passati ovvero dall'introduzione nell'ordinamento del d.lgs. n. 29/1993 ci si chiedeva se era possibile la delega di funzioni amministrative da parte dei dirigenti degli enti locali, a beneficio dei funzionari o altri dipendenti che non avessero qualifica dirigenziale.

Una prima posizione sosteneva l'inammissibilità della delega poiché mancava una norma legislativa che la consentisse, visto che l'art. 7 Cost. vincolava lo spostamento dell'esercizio dei poteri attribuiti agli organi amministrativi all'esistenza di «disposizioni di legge» e dunque al principio di legalità, in base al quale non ammessa una modificazione delle competenze che non derivino direttamente dalla legge6.

Un'altra posizione ammetteva la delega di funzioni amministrative; infatti il d.lgs. n. 29/1993, all'art. 16, comma 1, lett. d) prevedeva che i dirigenti generali: «d) determinano i criteri generali di organizzazione degli uffici», all'interno della quale categorialità si individuerebbe il potere di delega di funzioni.

L'applicazione agli enti locali dell'istituto della delega di funzioni deriverebbe dall'obbligo di quest'ultimi, previsto dall'art. 27-bis, di adeguarsi al d.lgs. n. 29/1993.

Il d.lgs. n. 165/2001 prevede che le attribuzioni dei dirigenti possono essere derogate soltanto espressamente e ad opera di specifiche disposizioni legislative e che essi sono responsabili in via esclusiva dell'attività amministrativa, della gestione e dei relativi risultati.

L'emanazione della L. 15 luglio 2002, n. 145, Disposizioni per il riordino della dirigenza statale e per favorire lo scambio di esperienze e l'interazione tra pubblico e privato (in G.U. 24 luglio 2002, n. 172) ha consentito l'esplicita delega delle funzioni dirigenziali.

La L. n. 154/2002, con l'art. 2, rubricato Delega di funzioni dei dirigenti aggiunge il comma 1- bis all'art. 17, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, il quale ora prevede, accanto ai compiti e poteri dei dirigenti che essi «per specifiche e comprovate ragioni di servizio, possono delegare per un periodo di tempo determinato, con atto scritto e motivato, alcune delle competenze comprese nelle funzioni di cui alle lettere b), d) ed e) del comma 1 a dipendenti che ricoprano le posizioni funzionali più elevate nell'ambito degli uffici ad essi affidati. Non si applica in ogni caso l'articolo 2103 del codice civile».

La L. n. 145/2002, fuga, dunque, ogni dubbio sulla delegabilità delle funzioni dirigenziali al personale dipendente privo della qualifica dirigenziale a condizione che essa avvenga:

a) per specifiche e comprovate ragioni di servizio;

b) per un periodo di tempo determinato;

c) con atto scritto e motivato;

d) riguardi la cura e l'attuazione dei progetti e delle gestioni ad essi assegnati dai dirigenti degli uffici dirigenziali generali, adottando i relativi atti e provvedimenti amministrativi ed esercitando i poteri di spesa e di acquisizione delle entrate;

e) inerisca al coordinamento e controllo dell'attività degli uffici che da essi dipendono e dei responsabili dei procedimenti amministrativi;

f) riguardi la gestione del personale e delle risorse finanziarie e strumentali assegnate ai propri uffici.

La legge, come visto, disciplina nel dettaglio i contenuti della delega delle funzioni amministrative, con il fine di alleggerire e semplificare l'attività gestionale del dirigente prevista dall'art. 107 del TUEL, consentendo alla figura gestionale apicale di occuparsi, in particolar modo, di questioni strategiche dell'ente e dei compiti di programmazione, gestione e controllo del proprio settore.

Ritornando allo specifico campo degli enti locali ed in particolare all'art. 111 del TUEL, si evidenzia che il potere di delega negli enti locali trova la sua fonte proprio in tale articolo del TUEL che prevede l'adeguamento della disciplina contenuta nel Capo III del TUEL e nel Capo II del d.lgs. n. 165/2001 sulla dirigenza degli enti locali all'interno della propria autonomia statutaria e regolamentare.

Di conseguenza il potere di delega deve trovare esplicitazione tanto nello statuto dell'ente locale quanto nel regolamento degli uffici e dei servizi che deve individuare la disciplina di dettaglio della delega ed i soggetti nei confronti dei quali essa potrà valere.

L'art. 2 della L. n. 154/2002, prevede la delega dirigenziale «a dipendenti che ricoprano le posizioni funzionali più elevate nell'ambito degli uffici ad essi affidati», comprendendo, di conseguenza, tanto personale dipendente di ruolo, quanto quello assunto a contratto, perché ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit7, purché esso ricopra «le posizioni funzionali più elevate nell'ambito degli uffici» affidati ai dirigenti interessati.

Si discute ancora in merito alla delega di funzioni amministrative, della sua estendibilità agli enti locali di minore dimensione privi di qualifiche dirigenziali, pur se la possibilità della delega è recepita nello statuto e nel regolamento degli uffici e dei servizi dell'ente locale interessato.

Anche nei Comuni privi di qualifiche dirigenziali si pone il problema della delegabilità delle funzioni amministrative; queste ultime sono attribuite ai responsabili degli uffici e dei servizi (organi gestionali che rispondono dei risultati delle strutture organizzative loro affidate), individuati dal Sindaco, ai sensi dell'art. 50, comma 10, del TUEL come posizioni organizzative, con proprio provvedimento amministrativo, come del resto avviene nei Comuni ove siano presenti i dirigenti, la cui legittimazione avviene sempre con provvedimento del Sindaco attributivo dell'incarico dirigenziale.

I responsabili degli uffici e dei servizi esercitano le medesime funzioni dirigenziali a titolo originario e in via diretta, per espressa previsione di legge, previo apposito decreto sindacale di nomina, ex art. 109 TUEL; articolo che permette nei Piccoli Comuni di realizzare il principio generale dell'ordinamento amministrativo di separazione delle funzioni di indirizzo, facenti capo agli organi politici, da quelle gestionali, proprie dell'apparato burocratico.

Nei Piccoli Comuni l'art. 11 del CCNL del personale degli enti locali dà la possibilità di attribuire le posizioni organizzative a dipendenti di Cat. D o di Cat. C laddove non siano presenti figure direttive di Cat. D; tale articolo 11 del CCNL prevede che: «i Comuni privi di dirigenza, in relazione alle specifiche esigenze organizzative derivanti dall'ordinamento vigente, individuano, se necessario ed anche in via temporanea, le posizioni organizzative che possono essere conferite anche al personale con rapporto a tempo parziale di durata non inferiore al 50% del rapporto a tempo pieno».

Se ne deduce che poiché la legge n. 145/2002 fa riferimento alle posizioni funzionali più elevate presenti nell'ente, il personale destinatario del potere di delega non deve essere necessariamente quello inquadrato nell'area delle posizioni organizzative; ergo nei Comuni privi di dirigenti, ma con personale di Cat. D individuato con atto sindacale quale posizione organizzativa per l'esercizio delle funzioni dirigenziali è legittimo ritenere che le posizioni organizzative possano esercitare la delega nei confronti dei dipendenti di Cat. C, per i quali le declaratorie di cui all'Allegato A) del Sistema di classificazione del CCNL 31 marzo 1999 prevedono che possano svolgere attività caratterizzata da:

* Approfondite conoscenze mono specialistiche (la base teorica di conoscenze è acquisibile con la scuola superiore) e un grado di esperienza pluriennale, con necessità di aggiornamento;

* Contenuto di concetto con responsabilità di risultati relativi a specifici processi produttivi/amministrativi;

* Media complessità dei problemi da affrontare basata su modelli esterni predefiniti e significativa ampiezza delle soluzioni possibili;

* Relazioni organizzative interne anche di natura negoziale ed anche con posizioni organizzative al di fuori delle unità organizzative di appartenenza, relazioni esterne (con altre istituzioni) anche di tipo diretto. Relazioni con gli utenti di natura diretta, anche complesse, e negoziale.

Nell'esemplificazione dei profili del suddetto allegato A è previsto il profilo del «lavoratore che, anche coordinando altri addetti, provvede alla gestione dei rapporti con tutte le tipologie di utenza relativamente alla unità di appartenenza»; profilo che condurrebbe alla possibilità di delega di funzioni dirigenziali dell'art. 107 UEL, comma 1, lettere b), d), e), da parte dei dipendenti di Cat. D verso quelli di Cat. C, oppure di dipendenti di Cat. D 3 verso quelli di Cat. D 1, situazioni che legittimerebbero la delegabilità delle funzioni amministrative nei Piccoli Comuni privi di dirigenti, in piena adesione ai dettami della L. n. 154/2002.

La Circolare del Ministero dell'interno, Dipartimento per gli affari interni e territoriali, Direzione centrale per le autonomie del 22 ottobre 2002, n. 4, Limiti di estensibilità delle disposizioni della legge 15 luglio 2002, n. 145, al personale degli enti locali La legge 15 luglio 2002, n. 145, fa presente che se la legge n. 154/2002 «ha dettato norme per il riordino della dirigenza statale e dunque le sue disposizioni riguardano prioritariamente l'ambito delle Amministrazioni dello Stato, nonostante ciò, poiché alcune parti del provvedimento introducono principi ai quali non può non riconoscersi una potenziale valenza generale nell'ambito del pubblico impiego, si pone il problema dei limiti nei quali è possibile configurare una loro diretta o mediata incidenza sull'ordinamento degli enti locali.

La problematica ha formato oggetto di esame congiunto con i rappresentanti dell'ANCI e dell'UPI nel corso di una apposita riunione che ha fatto registrare convergenze di valutazioni.

Si è innanzitutto considerato l'articolo 88 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, a norma del quale "all'ordinamento degli uffici e del personale degli enti locali, ivi compresi i dirigenti, [...] si applicano le disposizioni del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni e integrazioni [...]", oggi trasfuse nel decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, sul quale ha direttamente inciso, per talune parti, la richiamata legge n. 145 del 2002. È stato, altresì, considerato il tenore dell'articolo 111 dello stesso TUEL, a norma del quale "gli enti locali, tenendo conto delle proprie peculiarità, nell'esercizio della propria potestà statutaria e regolamentare, adeguano lo statuto ed il regolamento ai principi del [...] Capo II (recante le norme sulla dirigenza) del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29".

In coerenza con il richiamato quadro normativo, pertanto, si può ritenere che a ciascun ente locale, sia riconosciuta la potestà di recepire nel proprio ordinamento, attraverso l'esercizio della potestà regolamentare, i principi desumibili dalle disposizioni della legge n. 145 del 2002, attraverso una disciplina di dettaglio calibrata alla specifica condizione dell'ente, alle sue esigenze organizzative ed alle sue condizioni strutturali e funzionali.

Si creano così, per gli enti locali, opportunità aggiuntive, conseguenti al superamento di vincoli che, in assenza delle esplicite previsioni della legge n. 145 del 2002, avrebbero potuto ritenersi persistentemente preclusivi dell'esercizio della loro potestà di autorganizzazione.

Ciò vale innanzitutto con riguardo alla disposizione recata dell'articolo 2 della legge in esame (che ha introdotto il comma 1-bis nell'articolo 17 del decreto legislativo n. 165 del 2001) in materia di delega parziale delle funzioni dirigenziali ai dipendenti delle posizioni funzionali più elevate. Conseguentemente, ciascun ente locale potrà prevedere, nell'ambito del regolamento di organizzazione degli uffici e dei servizi di cui all'articolo 89 del TUEL che i dirigenti per specifiche e comprovate ragioni di servizio, possano delegare ai propri dipendenti per un periodo determinato alcune delle competenze inerenti alle funzioni dirigenziali, prevedendo una analoga possibilità a favore dei responsabili degli uffici e dei servizi, nei comuni di cui all'articolo 109, comma 2, del decreto legislativo n. 267 del 2000.

Analogamente è affidato alla fonte regolamentare il recepimento, nel peculiare contesto organizzativo del singolo ente, della disposizione recata dall'articolo 7 della legge n. 145 del 2002 (che ha introdotto l'articolo 23-bis nel decreto legislativo n. 165 del 2001) in materia di mobilità tra pubblico e privato.

Si tratta di una disposizione che mira ad un più agevole interscambio del personale dirigenziale tra il settore pubblico e quello privato, ad una più elastica flessibilità di mercato ed alla offerta di opportunità formative maggiormente diversificate, pur in un quadro di garantita compatibilità con le esigenze delle amministrazioni interessate […]».

Ciò detto esiste nell'ordinamento degli enti locali la possibilità di darsi una propria organizzazione che consenta la delegabilità delle funzioni dirigenziali anche nei Comuni privi di dirigenza.

Per espressa previsione della L. n. 145/2002, art. 2, ai soggetti destinatari della delega di funzioni amministrative «non si applica in ogni caso l'articolo 2103 del codice civile».

L'articolo 2103 del codice civile, rubricato mansioni del lavoratore prevede che: «il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione. Nel caso di assegnazione a mansioni superiori il prestatore ha diritto al trattamento corrispondente all'attività svolta e l'assegnazione stessa diviene definitiva, ove la medesima non abbia avuto luogo per sostituzione di lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto, dopo un periodo fissato dai contratti collettivi, e comunque non superiore a tre mesi. Egli non può essere trasferito da una unità produttiva ad una altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive.

Ogni patto contrario è nullo».

In precedenza il codice civile ammetteva lo ius variandi ovvero il diritto di modificare unilateralmente le mansioni del lavoratore; mentre l'odierno divieto di modificazioni in peius delle mansioni del lavoratore, trova la sua giustificazione nella tutela della dignità del lavoratore.

L'inapplicabilità del conferimento delle mansioni superiori in caso di delega delle funzioni amministrative va letta in combinato disposto con l'art. 52 del TUIP (d.lgs. n. 165/2001), rubricato Disciplina delle mansioni, il quale al comma 2 prevede che: «[...] per obiettive esigenze di servizio il prestatore di lavoro può essere adibito a mansioni proprie della qualifica immediatamente superiore [...] nei casi di cui al comma 2, per il periodo di effettiva prestazione, il lavoratore ha diritto al trattamento previsto per la qualifica superiore. Qualora l'utilizzazione del dipendente sia disposta per sopperire a vacanze dei posti in organico, immediatamente e comunque nel termine massimo di novanta giorni dalla data in cui il dipendente è assegnato alle predette mansioni, devono essere avviate le procedure per la copertura dei posti vacanti [...]».

Ciò detto, si evidenzia che nel caso di delega ai funzionari titolari di posizione organizzativa è prevista l'incentivazione finanziaria in misura variabile da un minimo ad un massimo; ed è possibile compensare, altresì, specifiche responsabilità affidate al personale della Categoria D che non risulti incaricato di funzioni dell'area delle posizioni organizzative secondo la disciplina degli articoli da 8 a 11 del CCNL del 31 marzo 1999.

Lo strumento di conferimento della delega di funzioni amministrative è la "determinazione"; figura bivalente, intesa tanto come atto amministrativo, quanto come strumento di gestione del personale degli enti locali.

La determinazione dirigenziale, già definita dal d.lgs. n. 77/1995, è un provvedimento amministrativo con il quale il dirigente dà attuazione alla separazione delle funzioni d'indirizzo e controllo, da quelle tipicamente gestionali.

La delega di funzioni amministrative, essendo tipico atto di gestione e rientrando nelle prerogative del dirigente, è attribuibile, pertanto, con apposito provvedimento amministrativo di natura gestionale ovvero con la determinazione, specifico atto monocratico motivato, idoneo a consentire all'ente la realizzazione degli obiettivi attribuiti direttamente o per delega al personale dell'ente locale.

Riguardo alla mancanza dell'istituto delle delega nel contratto di lavoro sottoscritto, si ritiene comunque del tutto legittima la delega conferita da parte del dirigente al personale dipendente anche in mancanza di previsione contrattuale della medesima, potendo quest'ultimo sempre chiedere ex post l'integrazione del contratto individuale di lavoro.

Conclusioni

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Il dipendente inquadrato come alta specializzazione anche se fuori dall'organico dell'ente, può essere destinatario di delega di funzioni amministrative, la quale appare essere legittima anche in mancanza di previsioni contrattuali, potendo, comunque, il destinatario della medesima chiedere l'integrazione del contratto individuale di lavoro che preveda al suo interno lo strumento della delega di funzioni; questa è legittimamente conferibile con determinazione dirigenziale, rientrando tale potere nei compiti gestionali del dirigente delegante ed essendo la determinazione il provvedimento tipico del personale dipendente dell'ente locale.

Prof. Luigino Sergio

già Direttore Generale della Provincia di Lecce


1. Alcune questioni riconducibili ai rapporti tra l'art. 110 TUEL e l'art. 19, commi 6 e 6-bis, d.lgs.n. 165/2001 (TUIP), sono state affrontate dalle Sezioni Riunite della Corte dei Conti con le delibere n. 12-13-14/CONTR/11, tutte dell'8 febbraio 2011, alle quali si rinvia.

2. Corte dei Conti, Sez. enti locali, 2 aprile 1993, n. 2.

3. Tribunale Nocera Inferiore, 2 maggio 2013, n. 376.

4. Cassazione Civile, Sez. Un., 8 febbraio 2013, n. 3043.

5. TAR Lecce, 30 marzo 1992, n. 132.

6. C.d.S., Sezione IV, dicembre 1998, n. 1401.

7. Ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit; ovvero: dove la legge ha voluto ha detto, dove non ha voluto ha taciuto.


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