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Furto in abitazione: l'intervento della Consulta

Per la Corte Costituzionale sono infondate le questioni sulla mancata previsione di una riduzione di pena per le ipotesi di lieve entità



Con la sentenza numero 193/2025, la Corte costituzionale ha ritenuto infondate le questioni di legittimità dell'articolo 624-bis del codice penale, che prevede e punisce il reato di furto in abitazione. Le questioni erano state sollevate dal Tribunale di Firenze nel giudizio relativo a una condotta di furto posta in essere all'interno dell'androne di un edificio condominiale. Il Tribunale, dopo aver richiamato la giurisprudenza consolidata della Corte di cassazione – da considerarsi "diritto vivente" – secondo cui le parti del condominio costituiscono "luoghi di privata dimora", aveva sostenuto il contrasto di tale interpretazione con i principi di ragionevolezza e offensività (artt. 3 e 25 della Costituzione), osservando che, in realtà, tali spazi sono frequentati da un elevato numero di persone e che, pertanto, in essi non sarebbe ravvisabile alcuna specifica violazione del domicilio, inteso come proiezione spaziale della vita privata della persona, in quanto posto a tutela della sua riservatezza, sicurezza e incolumità. In via subordinata, aveva sostenuto l'illegittimità della mancata previsione di un'ipotesi attenuata del reato di furto in abitazione, con diminuzione di pena per il caso in cui il fatto fosse caratterizzato da "lieve entità", poiché in mancanza la risposta sanzionatoria consisteva in una pena sproporzionata per eccesso, con conseguenze frustranti anche per la sua finalità rieducativa, e comportava una disparità di trattamento rispetto alle fattispecie di rapina ed estorsione, nelle quali una tale riduzione di pena era stata introdotta. La Corte, quanto alla prima questione, ha osservato che la scelta del legislatore di punire con maggiore severità il furto in abitazione va ricondotta alla particolare pericolosità manifestata da chi, al fine di commettere un furto, non esita ad introdursi in un luogo di abitazione, con la concreta possibilità di trovarsi innanzi al soggetto passivo, e sussiste anche quando il reato sia commesso in una immediata pertinenza di tale luogo, come tale destinata allo svolgimento di attività strettamente complementari e strumentalmente connesse a quelle abitative. Ciò giustifica l'estensione del medesimo trattamento ai furti posti in essere nelle parti comuni del condominio, costituite a servizio e protezione delle private dimore ubicate nell'edificio; tali spazi, infatti, sono utilizzati a questo scopo dai condòmini, senza il consenso dei quali gli estranei non possono accedervi. Quanto, poi, alla questione subordinata, ha osservato che la mancata previsione di ipotesi attenuate non appare irragionevole, essendo riconducibile al rilievo in base al quale la violazione del domicilio non conosce graduazioni di intensità. A tale fine, ha richiamato la propria precedente decisione (sentenza n. 117 del 2021) secondo cui – diversamente da quanto accade per i reati di rapina ed estorsione, la cui fattispecie astratta, in relazione all'elemento della «violenza o minaccia», può essere integrata da un'ampia varietà di condotte – «il domicilio, quale spazio della persona, o è violato o non lo è, essendo pertanto inconcepibile già sul piano logico un ingresso "lieve" nell'abitazione altrui».

Data: 26/12/2025 09:00:00
Autore: Redazione