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Estorsione chiedere soldi a una suora per non diffondere foto osè

Per la Cassazione, è estorsione (e non truffa) minacciare di diffondere foto osè che ritraggono una suora e sua nipote se non si paga quanto richiesto, la prostrazione prova la coercizione


Estorsione e non truffa la minaccia di diffondere foto osè

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Reato di estorsione chiedere a una suora denaro in cambio della non diffusione di foto che ritraggono la stessa e una nipote in pose piccanti. La differenza rispetto al reato di truffa è che mentre in questa il male minacciato può essere anche immaginario, nell'estorsione la minaccia deve coartare la volontà della vittima perché ritenuto dalla stessa concretamente realizzabile. Ipotesi che nel caso di specie è riscontrabile dallo stato di prostrazione fisica e psicologica della suora, vittima del ricatto. Dal pagamento delle somme agli imputati si desume infatti che la suora ritenesse di non avere altre alternative per evitare la diffusione delle foto. Questo quanto emerge dalla sentenza della Cassazione n. 39256/2021 (sotto allegata).

La vicenda processuale

In sede di appello la Corte riforma la sentenza di primo grado, che aveva dichiarato di non doversi procedere nei confronti dei tre imputati, in relazione ai reati indicati nei capi a, b e d, rideterminando la pena nei loro confronti in relazione al reato di cui al capo c, ossia concorso nel reato di estorsione, in 5 anni di reclusione e 1000 euro di multa ciascuno.
In relazione al reato di estorsione è stato contestato ai tre imputati di essersi procurati un ingiusto profitto in una misura non inferiore a 9.600 euro, in tempi e con azioni diverse, in danno di una suora, attraverso la minaccia, qualora non avesse corrisposto loro il denaro richiesto, di diffondere foto in cui la nipote ed ella stessa tenevano pose pornografiche.

Reato di truffa se il male minacciato non coarta la volontà della vittima

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I tre imputati ricorrono in Cassazione per contestare il reato loro ascritto lamentando:

Reato di estorsione: la prostrazione prova la coartazione della volontà

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La Cassazione dichiara i ricorsi inammissibili così motivando la sua decisione.
Il primo motivo non è specifico perché i vizi di motivazione contestati sono incompatibili e diversi tra loro e in ogni caso trattasi di censure già proposte e sulle quali la Corte di Appello si è già espressa. In ogni caso le stesse sono del tutto infondate. Nel caso di specie poi la Cassazione evidenzia che c'è stata sulla decisione del reato ascritto una doppia conforme ed entrambe le sentenze contengono gli stessi criteri di valutazione. La difesa degli imputati poi rileva come la sentenza di secondo grado si fondi sulla testimonianza indiretta di una teste.
In realtà la decisione si basa anche sulle dichiarazioni logiche e coerenti della persona offesa, che sono state confermate anche da altre elementi, come gli sms con cui venivano avanzate continue richieste di denaro alla persona offesa e i documenti che provano i versamenti di denaro della suora in favore degli imputati. Fatti questi che, come emerso da diverse testimonianze, hanno determinato nella persona offesa uno strato di profonda prostrazione.
La Cassazione ricorda sul punto che le dichiarazioni della persona offesa, così come quelle dei testimoni "è sorretta da una presunzione di veridicità (…) Il fatto poi che la testimonianza della persona offesa, quando portatrice di un personale interesse all'accertamento del fatto, debba essere certamente soggetta a un più penetrante e rigoroso controllo circa la sua credibilità soggettiva e l'attendibilità intrinseca del racconto (Sez. U, n. 41461/2012) non legittima un aprioristico giudizio di inaffidabilità della testimonianza stessa (espressamente vietata come regola di giudizio): nella fattispecie, tale rigoroso controllo, alla luce dei rilievi sopra esposti, risulta essere stato effettivamente compiuto dai giudici di merito."In ogni caso, ricorda la Cassazione, il giudizio sulla attendibilità del teste è un giudizio di fatto che richiede una dialettica dibattimentale, per cui è precluso in sede di legittimità.
Infondato e aspecifico anche il secondo motivo d'impugnazione. La differenza tra reato di estorsione e truffa, quando il fatto è caratterizzato dalla minaccia di un male, si rinviene dalla concreta efficacia coercitiva e non solo manipolativa, della condotta minacciosa rispetto alla volontà della persona offesa. Nel caso di specie la Corte nella sentenza ha chiarito ed evidenziato che la volontà della suora è stata fortemente coartata dal male minacciato dagli imputati, in quanto la stessa, come emerso dalle testimonianze, ha vissuto all'epoca dei fatti uno stato di profonda prostrazione fisica e psicologica. La stessa si è rappresentata come certo il pericolo derivante dalla diffusione delle foto pornografiche, tanto che ha pensato di non avere altra scelta se non quella di pagare, per scongiurare tale pericolo. Conclusioni di cui la difesa sollecita in sostanza una nuova valutazione in base a di una diversa logica, inattuabile in sede di legittimità.
Infondato in modo manifesto infine anche il terzo motivo di ricorso perché anche in questo caso si richiede un nuovo giudizio di fatto. Per la Cassazione però le conclusioni a cui è giunta la Corte di Appello sulla responsabilità degli imputati sono giustificate e motivate in modo adeguato, le prove sono state valutate in modo puntuale e la ricostruzione che ne è emersa è priva di contraddizioni e incongruenze.
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Data: 28/11/2021 06:00:00
Autore: Annamaria Villafrate