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Responsabilità medica e nesso di causalità: il punto della Cassazione

La Suprema Corte ripercorre gli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali in materia di accertamento del nesso causale giungendo a riaffermare la regola del più probabile che non


Responsabilità medica e accertamento del nesso causale

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Nell'articolata ordinanza n. 13872/2020 (qui sotto allegata) la Corte di Cassazione ha ripercorso la disciplina in materia di nesso di causalità in particolare in relazione alla responsabilità medica, giungendo a riaffermare che in tale ambito va applicata la regola "del più probabile che non", meglio definita come regola della "preponderanza dell'evidenza".
La Corte si pronuncia sul ricorso degli eredi di una donna, ricoverata in attesa di essere sottoposta a sostituzione di valvola mitrale, deceduta per un "violento shock emorragico" in occasione di un intervento di toracotomia, resosi necessario a seguito dell'insorgenza di "emotorace massivo".
A differenza del giudice di prime cure, la Corte d'Appello ha ritenuto insussistente la prova del nesso eziologico tra la condotta dei sanitari e il decesso della paziente, nonché del carattere illecito della condotta dei medici, anche omissiva. In Cassazione, i congiunti della signora lamentano violazione dei principi in tema di ricostruzione del nesso causale tra condotta del sanitario ed evento dannoso.
Gli Ermellini, dunque, forniscono un pregevole e articolato lavoro di ricostruzione, dottrinaria e giurisprudenziale, in materia, ricostruendo la nozione di causalità rilevante per il diritto, con le analogie e le differenze tra ambito civile e penale, sino al punto da confermare l'applicazione della regola della "preponderanza dell'evidenza" (anche nota come del "più probabile che non")

Differenze con l'ambito penale

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Nel caso di specie, in particolare, viene in rilievo la costruzione del fatto idoneo a fondare la responsabilità, vale a dire, il momento della ricostruzione della "causalità materiale o di fatto", problematica che presenta rilevanti analogie con quella penale di cui agli artt. 40 e 41 c.p., e per questo la giurisprudenza di Cassazione è intervenuta per puntualizzare sino a che punto possa predicarsi siffatta "analogia".


Nel sistema della responsabilità civile, infatti, la causalità assolve "alla duplice finalità di fungere da criterio di imputazione del fatto illecito e di regola operativa per il successivo accertamento dell'entità delle conseguenze pregiudizievoli del fatto che si traducono in danno risarcibile".
Tuttavia, nella "ricostruzione del nesso causale, ciò che muta sostanzialmente tra il processo penale e quello civile è la regola probatoria, in quanto nel primo vige la regola della prova "oltre il ragionevole dubbio"(cfr. Cass. Pen. S.U. 30328/2002), mentre nel secondo vige la regola della preponderanza dell'evidenza o "del più probabile che non", stante la diversità dei valori in gioco nel processo penale tra accusa e difesa, e l'equivalenza di quelli in gioco nel processo civile tra le due parti contendenti" (cfr., Cass. Sez. Un., sent. n. 576/2008).

I limiti della conoscenza scientifica

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Gli Ermellini, inoltre, evidenziano come il tema della ricostruzione del nesso di causalità finisca, nuovamente, per "coinvolgere anche il problema epistemologico dei limiti della conoscenza scientifica".
Richiamando la teoria eisteiniana della relatività e gli sviluppi della "meccanica quantistica", la Suprema Corte ritiene che queste abbiano portato all'affermazione di un "nuovo paradigma" nel quale, al concetto di "verità" dell'ipotesi scientifica, è subentrato quello di "non falsificabilità" della stessa.

In questo contesto epistemologico, nel quale la scienza non è più sicura di sé e delle sue leggi, "la causalità da risultanza naturalistica o di esperienza", risulterebbe scadere "a mera valutazione assistita dal riferimento statistico". La giurisprudenza di legittimità da tempo ha osservato come lo stesso sintagma "accertamento del nesso causale" nasconda una prima, latente, insidia lessicale, poiché ogni "accertamento" postula e tende a una operazione logico-deduttiva o logico-induttiva che conduca ad una conclusione, appunto, "certa".
Invece, un'indagine, per quanto rigorosa, funzionale a predicarne l'esistenza sul piano del diritto, si arresta, sovente, quantomeno in sede civile, sulle soglie del giudizio probabilistico (sia pur connotato da un diverso livello di intensità, dalla "quasi certezza" alla "seria ed apprezzabile possibilità" (cfr. Cass. n. 21619/2007).

La consulenza tecnica

Attenzione, il carattere (spesso) soltanto "relativo" delle "certezze" espresse dalle leggi scientifiche non significa "svalutazione" del sapere scientifico, e quindi dell'apporto che esso è in grado di fornire, proprio in relazione alla ricostruzione di quell'elemento della fattispecie della responsabilità civile che è costituito dal nesso causale.
Anzi, proprio nell'ambito del sottosistema della responsabilità da "malpractice sanitaria", la Cassazione ha sottolineato la centralità dei saperi scientifici, dei quali il giudice può fruire pure attraverso il contributo di quell'ausiliario qualificato che è il consulente tecnico d'ufficio.
Si è, infatti, affermato che, in materia di responsabilità sanitaria, la consulenza tecnica è di norma "consulenza percipiente" a causa delle conoscenze tecniche specialistiche necessarie, non solo per la comprensione dei fatti, ma per la rilevabilità stessa dei fatti, i quali, anche solo per essere individuati, necessitano di specifiche cognizioni e/o strumentazioni tecniche; atteso che, proprio gli accertamenti in sede di consulenza, offrono al giudice il quadro dei fattori causali entro il quale far operare la regola probatoria della certezza probabilistica per la ricostruzione del nesso causale (cfr. Cass. n. 22225/2014).

La regola probatoria della preponderanza dell'evidenza

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Quanto alle modalità di applicazione della regola probatoria della "preponderanza dell'evidenza", i giudici evidenziano come la stessa sia sostanzialmente una combinazione di due regole: la regola del "più probabile che non" e la regola della "prevalenza relativa" della probabilità.

La prima, "implica che rispetto a ogni enunciato si consideri l'eventualità che esso possa essere vero o falso, ossia che sul medesimo fatto vi siano un'ipotesi positiva ed una complementare ipotesi negativa" e tra queste "il giudice deve scegliere quella che, in base alle prove disponibili, ha un grado di conferma logica superiore all'altra" in quanto vi sono prove preponderanti a sostegni di essa.
La regola della "prevalenza relativa" della probabilità, invece, rileva allorché "sullo stesso fatto esistano diverse ipotesi, ossia diversi enunciati che narrano il fatto in modi diversi, e che queste ipotesi abbiano ricevuto qualche conferma positiva dalle prove acquisite al giudizio". In tal caso, il giudice dovrà scegliere come "vero" l'enunciato che ha ricevuto il grado relativamente maggiore di conferma sulla base delle prove disponibili.
Viene così a delinearsi un modello di "certezza probabilistica", nel quale "il procedimento logico-giuridico" da seguire "ai fini della ricostruzione del nesso causale" implica che l'ipotesi formulata vada verificata "riconducendone il grado di fondatezza all'ambito degli elementi di conferma (e nel contempo di esclusione di altri possibili alternativi) disponibili in relazione al caso concreto (c.d. probabilità logica o baconiana)", nel senso, cioè, che in tale "schema generale della probabilità come relazione logica va determinata l'attendibilità dell'ipotesi sulla base dei relativi elementi di conferma (c.d. evidence and inference nei sistemi anglosassoni)" (cfr. Cass. Sez. Un., sent. n. 576/2008).

L'applicazione nel caso di specie

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La sentenza impugnata, sul presupposto che la disposta CTU ebbe ad evidenziare che "l'emotorace, a seguito di toracentesi, è evenienza rara", sicché "la possibilità di ravvisare la causa dell'emotorace nella toracentesi può essere posta in dubbio", ha escluso di poter "stabilire con certezza un rapporto di casa effetto" tra due accadimenti.
In tal modo ha disatteso la "regula iuris" che impone di accertare il nesso di causalità materiale secondo il criterio (consono alla morfologia e alla funzione del sistema della responsabilità civile) del "più probabile che non" (o meglio, della "preponderanza dell'evidenza"), nel duplice significato suddetto.
La Corte territoriale avrebbe dovuto innanzitutto verificare, sulla scorta delle evidenze probatorie acquisite (anche a mezzo della disposta CTU), se l'ipotesi sulla verità dell'enunciato relativo all'idoneità della toracentesi a cagionare l'emotorace presentasse un grado di conferma logica maggiore rispetto a quella della sua falsità (criterio del "più probabile che non").

Di seguito, essa avrebbe dovuto stabilire, applicando il criterio della "prevalenza relativa della probabilità", se tale ipotesi avesse ricevuto, sempre su un piano logico, ovvero nuovamente sulla base delle prove disponibili, un grado relativamente maggiore di conferma rispetto ad altrettante, differenti, ipotesi sulla eziologia tanto dell'emotorace, quanto del decesso della paziente, ipotesi anch'esse, però, da riscontrare preliminarmente, nella loro verità, nello stesso modo, ovvero in applicazione del principio del "più probabile che non".
Data: 10/07/2020 10:00:00
Autore: Lucia Izzo