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Abuso del processo per chi agisce contro la giurisprudenza dominante

Agire o resistere in giudizio sostenendo tesi che contrastano con numerosi precedenti della Cassazione determina una condanna ex art. 96, co. 3, c.p.c.


di Valeria Zeppilli – Se la giurisprudenza di legittimità, in numerosi precedenti, ha sostenuto un'interpretazione della legge di segno contrario rispetto a quella fatta valere dalla parte in giudizio, quest'ultima deve essere condannata per responsabilità processuale aggravata.

Tale condotta processuale, come emerge dall'ordinanza della Corte di cassazione numero 24649/2019 (sotto allegata), integra infatti un'ipotesi di colpa grave.

Infondatezza della domanda o dell'eccezione

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Del resto, agire o resistere in giudizio con mala fede o colpa grave non vuol dire altro che agire o resistere essendo consapevoli che la propria domanda o la propria eccezione è infondata o senza essersi adoperati con la normale diligenza per acquisire la coscienza che la propria posizione è non ha alcun fondamento.

La vicenda

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Nel caso di specie, la parte aveva persistito nella propria posizione nonostante la Corte di cassazione avesse già deciso numerosissimi giudizi, tutti identici e vertenti tra le stesse parti, in maniera differente.

Inoltre, si era difesa in Cassazione con una memoria di costituzione anziché con un controricorso e aveva introdotto un'opposizione manifestamente tardiva.

La colpa grave

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Per i giudici, delle condotte che si pongono in maniera così distante dai principi giuridici pacifici, risalenti e più volte affermati costituiscono "un'ipotesi (almeno) di colpa grave, consistente nel non intelligere quod omnes intelligunt".

La condanna

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Con questa severa critica, la Corte di cassazione ha quindi disposto la condanna d'ufficio della parte, ai sensi del comma 3 dell'articolo 96 c.p.c., a pagare in favore della controparte, a titolo di risarcimento danni, una somma equitativamente fissata, ai sensi dell'articolo 1226 c.c., in 2.500 euro.

Data: 08/10/2019 22:00:00
Autore: Valeria Zeppilli