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La falsa promessa di matrimonio per farsi mantenere non è reato

Promettere di sposare la propria compagna e trarre vantaggio dalla sua generosità per 15 anni non configura reato di truffa


di Annamaria Villafrate - La sentenza n. 9654/2019 della Cassazione (sotto allegata) rigetta il ricorso di una donna ingannata dalla falsa promessa di matrimonio del suo compagno che per 15 anni ha mentito sulla fine delle sue precedenti nozze e si è fatto mantenere. Per gli Ermellini, condividendo quanto affermato dalla Corte d'Appello, non è stata raggiunta la prova del nesso di causa esistente tra la condotta dell'imputato e il vantaggio ottenuto da questa relazione. Mentire sui propri sentimenti non integra il reato di truffa che tra l'altro non richiede, per configurarsi, un vantaggio di tipo economico.

La vicenda processuale

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La Corte di Appello di Salerno, in riforma della sentenza di primo grado assolve l'imputato dai reati di truffa e di falso materiale in atto pubblico perché il fatto non sussiste. L'imputato è stato accusato di avere usato artifizi e raggiri nei confronti di una donna. Egli ha simulato sentimenti d' amore nei suoi confronti, le ha mostrato due false sentenze, di separazione e di divorzio riferite ad un precedente matrimonio, le ha promesso di sposarla facendole organizzare a sue spese in tre diverse occasioni la festa di nozze. Egli ha inoltre finto di occuparsi della cerimonia, adducendo ogni volta, prima delle date stabilite, cause di rinvio inderogabili, come la morte del fratello e della cognata, inducendo in errore la donna con cui conviveva e procurandosi un ingiusto profitto rappresentato da piccoli prestiti, regali e spese di mantenimento.

I motivi del ricorso di parte civile

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Ricorre per Cassazione il difensore della parte civile contestando la decisione del giudice di secondo grado per diversi motivi. Si contesta in particolare come la Corte abbia:

Mentire sui propri sentimenti e trarne vantaggio non configura reato di truffa

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La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 9654/2019 rigetta il ricorso di parte civile. I giudici di merito, secondo gli Ermellini, hanno considerato l'evoluzione temporale del rapporto, così come hanno tenuto conto del fatto che la donna abbia sostenuto negli anni spese in favore dell'imputato, che se ne è avvantaggiato. La Suprema corte ritiene irrilevante "il quantum delle prestazioni ottenute dall'imputato (alcune delle quali non menzionate nella sintetica sentenza della Corte di appello) atteso che nel reato di truffa il requisito del profitto ingiusto può comprendere in sé qualsiasi utilità, incremento o vantaggio patrimoniale, anche a carattere non strettamente economico (...) in presenza di un danno patrimoniale ed economico patito dalla persona offesa. Pacifico è, poi, il fatto che il semplice mentire sui propri sentimenti non integra in sé la condotta tipica del reato di truffa."

Gli Ermellini condividono quanto affermato dalla Corte d'appello, che ha ritenuto non provato in nesso di causa tra il comportamento dell'imputato e i vantaggi che ne sono derivati. Non è dato sapere con certezza infatti se tali vantaggi sono stati frutto della condotta ingannevole dell'imputato o dall'affetto della donna per il suo compagno.

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Data: 09/03/2019 06:00:00
Autore: Annamaria Villafrate