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Lavoro: danni al dipendente depresso dopo il demansionamento

Per la Cassazione, le mansioni vanno valutate unilateralmente evitando atomizzazioni o parcellizzazioni


di Valeria Zeppilli – Se il demansionamento porta il dipendente alla depressione, nulla lo priva del risarcimento del danno da parte del datore di lavoro.

La Corte di cassazione, con la sentenza numero 6793/2018 del 19 marzo (qui sotto allegata), ha infatti confermato la condanna di un'azienda per le conseguenze psicologiche cagionate a una dipendente dalla scelta di inquadrarla a un livello inferiore rispetto a quello che le sarebbe spettato in base alle mansioni complessivamente svolte.

Le mansioni vanno valutate unitariamente

Con la sentenza in commento la Corte ha anche specificato che, nel giudizio condotto ai fini dell'articolo 2103 del codice civile, i compiti svolti dal lavoratore vanno valutati unitariamente, evitando "atomizzazioni o parcellizzazioni di singole funzioni che, isolatamente considerate, non farebbero mai emergere l'esatto tenore qualitativo d'una data posizione di lavoro".

Lavoratore assente con conservazione del posto

Infine, la pronuncia del 19 marzo merita di essere segnalata per un ulteriore chiarimento: i giudici hanno infatti ribadito cosa deve intendersi per lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto, la cui sostituzione da parte di altro lavoratore avente una qualifica inferiore non attribuisce a quest'ultimo il diritto alla promozione.

Per la Corte, in particolare, si deve fare riferimento soltanto al lavoratore che non è presente in azienda a causa di un'ipotesi di sospensione legale o convenzionale del rapporto di lavoro e non anche al lavoratore che è destinato a lavorare fuori dall'azienda o in un'altra unità o in un altro reparto in ragione di una scelta organizzativa del datore di lavoro.

Data: 22/03/2018 17:40:00
Autore: Valeria Zeppilli