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Troppi giudici impreparati? Serve un intervento legislativo per riformare l'accesso alla magistratura

Sono diventati forse troppi gli errori giudiziari per non porsi il problema di una riforma dei criteri di accesso all'esame da magistrato


Annamaria Villafrate - Concorso in magistratura: desiderio di molti alla portata di pochi? Probabilmente no. Dato che vi può partecipare anche chi si è laureato a fatica e dopo una serie infinita di 18.

E le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti. Da diversi anni fanno notizia anche sui media errori grossolani delle prove scritte degli aspiranti giudici, una professione complessa che richiederebbe molto studio e impegno.

In Italia avvocati, giuristi e cittadini denunciano la gravissima situazione di incertezza del diritto. Soggetti condannati per il reato di omicidio in primo grado, magicamente assolti in appello. Sentenze con motivazioni e dispositivi spesso frutto di un veloce copia e incolla. La giustizia italiana è affidata tal volta a magistrati degni di grande rispetto, altre volte però a decidere delle sorti di un giudizio vi sono magistrati che farebbero bene a rimettere mano allo studio di manuali e codici di procedura.

Che vi sia una grossa fetta di magistrati dalla scarsa preparazione oramai è sotto gli occhi di tutti ed è anche attestata dal quotidiano ribaltamento di sentenze di merito da parte della Corte di Cassazione che fin troppo spesso è costretta a intervenire per correggere errori talvolta "imbarazzanti". Proviamo soltanto ad accedere al CED della Cassazione nella pagina in cui è possibile visualizzare le sentenze per esteso (http://www.italgiure.giustizia.it/sncass/) e a digitare le parole virgolettate "cassa la sentenza impugnata": rimarremo sorpresi di quante sentenze vengono quotidianamente bocciate dalla Suprema Corte a conferma del fatto che i giudizi di merito sono spesso, anzi troppo spesso, decisi in modo inaffidabile.

Cosa dire poi dei continui e destabilizzanti contrasti giurisprudenziali? Identiche questioni giuridiche risolte con sentenze diametralmente opposte in diversi ambiti territoriali e che costringono la Corte di legittimità a un surplus di lavoro per fare chiarezza. Senza parlare del problema che si crea alla "certezza del diritto" che sta sempre più somigliando a un miraggio.

Il ruolo del magistrato è senza dubbio molto delicato. Le sue decisioni possono incidere profondamente sulla vita delle persone. Una sentenza penale errata o basata su un'analisi superficiale dei fatti può privare un individuo della propria libertà. Mentre una sentenza civile può incidere sugli equilibri privati di una coppia o portare alla rovina economica un intero nucleo familiare, un'azienda o un'impresa. Come possiamo dunque accettare che si commettano così tanti errori e che ci sia così tanta incertezza?

Un problema di questa portata si potrebbe anche risolvere con due interventi da mettere in campo:

1) Redigere testi di legge più chiari e non soggetti ad interpretazione. Il linguaggio giuridico è ancora troppo complesso e solleva troppi dubbi interpretativi. E a peggiorare la comprensibilità delle norme è poi la copiosa presenza di continui rinvii ad altri testi di legge e l'assenza d'interpretazioni autentiche da parte del legislatore. Non è infrequente che dopo l'emanazione di una nuova legge, decreto o regolamento, gli addetti ai lavori manifestino dubbi in merito alla concreta applicabilità delle nuove disposizioni alle fattispecie concrete.

2) Garantire un maggiore livello di preparazione dei magistrati. Un simile risultato è conseguibile anche introducendo, per legge, un filtro efficace per fare accedere al concorso solo i più meritevoli. Possiamo davvero permetterci di consentire l'accesso all'esame anche studenti che non abbiano un curriculum scolastico di tutto rispetto? Non è troppo delicato il compito affidato a chi diventerà poi magistrato? Una maggiore competenza della magistratura si può ottenere solo attraverso una preventiva severa selezione.

Tutto questo nella speranza che si possa tornare a ciò che accadeva in passato, quando, come scriveva Calamandrei, un avvocato non doveva preoccuparsi di "insegnare ai giudici quel diritto, di cui la buona creanza impone di considerarli maestri".

Data: 06/09/2016 21:40:00
Autore: Annamaria Villafrate