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Interpretazione del contratto: bastano le “parole”, se la volontà delle parti è chiara



In tema di interpretazione del contratto, “ai fini dellaricerca della comune intenzione deicontraenti, il primo e principalestrumento è rappresentato dal sensoletterale delle parole e delle espressioni utilizzate, con la conseguentepreclusione del ricorso ad altri criteri interpretativi, quando la comune volontà delle parti emerga inmodo certo ed immediato dalle espressioni adoperate e sia talmente chiara da escludere la ricerca di una volontà diversa”.

Così ha statuito la III sezione civile della Corte di Cassazione, con sentenza n. 14206 del 23 giugno 2014, rigettandoil ricorso dei soci di una società per azioni contro un terzo socio, convenuto,lamentando che quest'ultimo non avesse ottemperato alla convenzione concernentela cessione delle azioni di sua proprietà, in cambio della liberazione dallefideiussioni a suo tempo prestate in favore delle banche.

In particolare, condividendo le statuizioni delle corti dimerito, la S.C. ha precisato, che il rilievoda assegnare alla formulazione letterale va comunque verificato “alla luce dell'intero contesto contrattuale,considerando le singole clausole in correlazione tra loro, a norma dell'art.1363 c.c.”.

Quanto al coordinamento tra i vari criteri interpretativi dicui agli artt. 1362 e ss. c.c. la Cassazione ha ribadito che “i canoni legali sono governati da unprincipio di gerarchia, tale che i canoni strettamente interpretativi prevalgono su quelli c.d. integrativi ene escludono la concreta operatività quando l'applicazione dei primi risulti dasola sufficiente a rendere palese la comune intenzione delle parti stipulanti;e, nell'ambito dei canoni strettamenteinterpretativi, assume un ruolo fondamentale quello fondato sul significatoletterale delle parole”.

Data: 14/07/2014 16:50:00
Autore: Marina Crisafi