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Cassazione: il giudice nell'interpretare il contratto deve dare prevalenza alla reale volontà delle parti



di Licia Albertazzi - Corte di CassazioneCivile, sezione terza, sentenza n. 5595 dell'11 Marzo 2014. Intema di interpretazione del contratto esiste una gerarchia tracriteri utilizzati dal giudice al fine di risalire alla reale volontàdelle parti. Nel caso di specie l'Ordine degli architetti eingegneri, proprietario di un immobile, ha intimato sfratto perfinita locazione ad un proprio iscritto, a causa dello spirare deltermine contrattuale. L'iscritto ha proposto opposizione – ma, dopola trasformazione del rito, è divenuto soccombente – dunqueappello, nella cui sede è stata ribaltata la statuizione di rilasciodi primo grado. Avverso tale sentenza propone ricorso la Cassa,lamentando la circostanza che il giudice d'appello avrebbeerroneamente interpretato una clausola contrattuale senza fondare lapropria decisione sulla effettiva volontà delle parti.Secondo il ricorrente non bisognerebbe infatti limitarsi al datoletterale ma il giudice del merito avrebbe dovuto prendere inconsiderazione dello “spirito della convenzione”.

A ben vedere si tratta del principio contenuto nell'articolo 1362 del codice civile secondo cui:

"Nell'interpretare il contratto si deve indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti e non limitarsi al senso letterale delle parole.

Per determinare la comune intenzione delle parti, si deve valutare il loro comportamento complessivo anche posteriore alla conclusione del contratto".

La Suprema Corteripercorre gli strumenti, a disposizione del giudice, che devonoessere utilizzati nella risoluzione delle controversie sorte circal'interpretazione dei contratti: “i canoni legali di ermeneuticacontrattuale sono governati da un principio di gerarchia - desumibiledal sistema delle stesse regole – in forza del quale i canonistrettamente interpretativi prevalgono su quelliinterpretativi integrativi e ne escludono laconcreta operatività, quando l'applicazione degli stessi canonistrettamente interpretativi risulti, da sola, sufficiente per renderepalese la comune intenzione delle parti stipulanti”.

Secondo la Corte, infatti, la natura pubblica dell'ente stipulanteha giustamente fatto comprendere come in realtà il contratto ègiusto che sia interpretato in favore del locatario, “in quantodiretta a porlo al riparo da disdette ad libitum”.

Le finalitàassistenziali dell'ente sono il criterio principale che ilgiudice del merito ha preso in considerazione nel riformare lasentenza di primo grado, né la sua motivazione pare, in sede dilegittimità, sindacabile al di là del viziodi motivazione, allo stato inesistente. Il ricorso èrigettato.

Data: 17/03/2014 10:00:00
Autore: Licia Albertazzi