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La Corte di Strasburgo striglia l'Italia e il CDM approva un disegno legge che consente di attribuire ai figli il cognome materno.



La Corte europea dei diritti umani, in una sentenza emessapochi giorni fa e che diverrà esecutiva tra tre mesi (a definizione del ricorsopresentato da una coppia di coniugi che, nel 1999, si era vista negare ildiritto di registrare all'anagrafe la loro primogenita con il cognome maternoanziché quello paterno), sancisce che i genitori hanno il diritto di dare aifigli il cognome che preferiscono. E così sanziona l'Italia, invitandolaper così dire all'adozione di riforme legislative idonee a rimediare allaviolazione riscontrata.

Già! Perché la violazione cui si riferiscono iGiudici di Strasburgo è quella relativa agli artt. 8 e 14 della “Convezioneeuropea dei diritti umani”. Il primodispone il diritto al rispetto della vita privata e familiare, vietandol'ingerenza dell'autorità pubblica nell'esercizio di tale diritto (a meno cheessa non sia prevista dalla legge e non costituisca una misura di sicurezzanazionale). L'art. 14, invece, proibisce ogni forma di discriminazioneche impedisca o limiti l'esercizio dei diritti e delle libertà previsti dallaconvenzione stessa. Dunque, l'assenza nel nostro Paese di normative cheattribuiscano ai genitori il diritto di assegnare alla prole il cognome che desiderano,sia esso quello paterno o materno, è stato etichettato dalla Corte diStrasburgo quale forma di discriminazione e violazione dei diritti umani.

In realtà, non esiste neppure alcuna disposizionenormativa che preveda espressamente l'obbligo di assegnare il cognome paterno,trattandosi piuttosto di un principio radicato nella cultura italiana. Quellacultura che, benché si parli tanto di parità tra uomo e donna, tra marito emoglie, appare oggi ancora fortemente ancorata all'ideale di famiglia dal saporepatriarcale, che fa fatica ad abbandonare.

Per quanto stupefacente e innovativa sia la sentenzadi Strasburgo, si deve pensare che segnali dello stesso tenore – evidentementenon recepiti subito - sono già pervenuti da alcuni anni or sono. Risalgono al2006 e 2008, infatti, due sentenze della Suprema Corte di Cassazione, con lequali, manifestando il favore all'attribuzione del cognome materno ai figli, iSupremi Giudici esprimono l'impellente necessità di riformare l'impiantogiuridico in materia. E sottolineano pure il dovere dell'Italia, in seguitoall'approvazione del Trattato di Lisbona, di uniformarsi ai principifondamentali della Carta dei diritti UE.

Fatto sta che, dopo la “bacchettata” ricevuta daStrasburgo, il Consiglio dei Ministri è subito corso ai ripari approvando, neigiorni scorsi, un disegno di legge che prevede l'integrale riforma dell'art.143 bis c.c.. Quest'ultimo attualmente recita: “La moglie aggiunge al propriocognome quello del marito e lo conserva durante lo stato vedovile, fino a chepassi a nuove nozze”. Il nuovo testo dovrebbe pressoché recitare:” il figlioassume il cognome del padre ovvero, in caso di accordo tra i genitoririsultante dalla dichiarazione di nascita, quello della madre o quello dientrambi i genitori” e ciò vale anche per i figli nati fuori dal matrimonio oadottati. E' evidente l'importanza acquisita dalla predetta riforma, chefinalmente attribuisce anche alla donna il diritto di tramandare “il nome dellastirpe“, ma è pure evidente come la stessa sia ancora lontana dall'essererivoluzionaria stante il dictat:”in caso di accordo tra i genitori…”, aconferma di quanto si faccia fatica, nel Bel Paese, ad abbandonare certe “tradizioni”.

Data: 17/01/2014 11:00:00
Autore: Maria Concetta Carpine