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Mobbing: l'accertamento del danno alla salute non comporta necessariamente anche il riconoscimento del danno alla professionalità; quest'ultimo va provato separatamente.



Di Maurizio Tarantino.

CassazioneCivile n. 172 dell' 8 gennaio 2014

Trale più delicate problematiche che devono essere affrontate in tema di mobbing,vi è certamente la questione del danno risarcibile cagionato al lavoratoremobbizzato per effetto del comportamento del datore di lavoro.

Èopportuno precisare che non vi è un automatico risarcimento del danno,conseguente ad ogni pregiudizio, che si verifica nella sfera economica opsicofisica della vittima, il risarcimento spetta solamente nelle ipotesi incui vi sia un preciso inadempimento ad un obbligo contrattuale ovvero unaviolazione del generale principio del neminem laedere, che incontra il suoriferimento principale nell'art. 2043 c.c.

Aseconda delle modalità con cui viene posto in essere, il mobbing può produrreun danno patrimoniale e/o un danno non patrimoniale.

Quantoalle ipotesi di danno patrimoniale, lo stesso si concretizza in tutte quelleforme di pregiudizio economico che sono stretta conseguenza delle condottevessatorie del datore di lavoro (mutamento di mansioni, perdita di indennità,ecc.).

Leipotesi più frequenti di danno patrimoniale da mobbing sono:

a)il danno da demansionamento o dequalificazione professionale o per perdita di professionalitàpregressa;

b)il danno emergente (determinato, ad esempio, dalle spese mediche e curesostenute a causa della

malattiapsico-fisica ingenerata dagli attacchi mobbizzanti);

c)il danno da lucro cessante (prodotto dai possibili riflessi negativi dovutialla riduzione della capacità di lavoro, e quindi di produrre reddito, o allaperdita di chances);

d)il danno da licenziamento illegittimo o da dimissioni per giusta causa.

Quantoai criteri per la risarcibilità delle suddette voci di danno, laddove siaimpossibile una quantificazione precisa (demansionamento, dequalificazione, perditadi ulteriori chances), si procederà ad una liquidazione equitativa ex art. 1226c.c., utilizzando come parametro una quota della retribuzione per il periodo incui si è protratta la condotta lesiva (Trib. Milano, 30.09.2006); quanto alleipotesi di licenziamento e dimissioni, troveranno applicazione i criteri di cuialle specifiche norme di legge (leggi n. 300/70, n.108/90 e n. 604/66 e artt.2118 e 2119 c.c.).

Perquanto concerne, invece, il danno non patrimoniale è opportuno precisare che lamateria è stata rivisitata dalle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazionecon la già citata sentenza n. 26972 dell'11 novembre 2008, le quali, componendoun contrasto giurisprudenziale sorto tra le singole sezioni, hanno decretato ildefinitivo superamento della tesi che riconosceva l'autonoma risarcibilità deldanno esistenziale come voce di danno risarcibile nell'ambito della più vastacategoria didanno non patrimoniale.

Orbene,premesso quanto innanzi esposto, nel caso de quo la Suprema Corte diCassazione con la sentenza n. 172 dell' 8 gennaio 2014 haritenuto che in caso di mobbing, l'accertamento del danno alla professionalitànon può essere considerato "in re ipsa" nel semplicedemansionamento, essendo invece onere del dipendente provare tale dannodimostrando, ad esempio, un ostacolo alla progressione di carriera.

Nelcaso in esame, a seguito del ricorso presentato da una lavoratrice dipendentedel Comune di Roma che oltre al risarcimento del danno da mobbing chiedeva anche il riconoscimento del dannoprofessionale, la corte d'Appello, in parziale riforma della sentenza di primogrado, riconosceva provato il danno subito dalla dipendente a causa dellecondotte mobbizzanti del datore di lavoro, concretizzatesi in provvedimentidisciplinari e trasferimenti dichiarati illegittimi; tuttavia, la Corteescludeva il danno alla professionalità, non ritenendolo provato nemmenopresuntivamente.

Eciò perchè il periodo di inattività, dovuto al comportamento illegittimo delComune di Roma, non aveva prodotto conseguenze in termini di perdita diopportunità lavorative o obsolescenza.

Atal riguardo la Suprema Corte, ha ribadito ancora una volta che, secondogiurisprudenza ormai consolidata, “incaso di accertato demansionamento professionale, la liquidazione del danno alla professionalità del lavoratore, nonpuò prescindere dalla prova del danno”.

Concludendo,gli Ermellini, conformemente alla sentenza impugnata, hanno precisato che nonc'è contraddittorietà nel riconoscimento del danno biologico e nel rigettodella domanda relativa al danno professionale da mobbing. “E' di palmare evidenza che le duevoci di danno hanno presupposti completamente diversi, essendo uno relativoal fisico del lavoratore, mentre il secondo alla sua professionalità e cioèall'aspetto della sua prestazione e capacità lavorativa”.

Dott. MaurizioTarantino

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Data: 11/01/2014 10:10:00
Autore: Maurizio Tarantino