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Il licenziamento collettivo illegittimo non si converte in licenziamento individuale plurimo.



Dott. Emanuele Mascolo - Il licenziamento collettivo illegittimo non si converte in licenziamento individuale plurimo. a sostenerlo la Corte di Cassazione nella Sentenza n. 22395 del 08/05/2013, della quale se ne riportano per intero i motivi della decisione." Preliminarmente va disattesa l'eccezione, sollevata dai controricorrenti, di inammissibilità delricorso per tardività della sua proposizione, atteso che il giorno dell'11 dicembre 2011, in cuiscadeva il termine di sessanta giorni dalla notifica della sentenza, risalente all'11 ottobre 2011, perla proposizione del ricorso per il tramite della sua consegna all'ufficiale giudiziario ai fini dellanotifica, cadeva di sabato, per cui la consegna di tale atto all'ufficiale giudiziario, avvenuta il 12dicembre 2011, risulta essere rispettosa del dettato normativo di cui all'art. 155 c.p.c., comma 5.Infatti, tale norma, nella sua versione applicabile ai procedimenti instaurati successivamente al 1marzo 2006, per effetto delle modifiche introdotte dalle L. 28 dicembre 2005, n. 263, e del L. 23febbraio 2006, n. 51, stabilisce che la proroga prevista dal quarto comma (scadenza in giornofestivo prorogata di diritto al primo giorno seguente non festivo) si applica, altresì, ai termini per ilcompimento degli atti processuali svolti fuori dell'udienza che scadono nella giornata del sabato. In seguito la L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 58, comma 3, ha previsto che le disposizioni di cuiall'art. 155 c.p.c., comma 5 e 6, si applicano anche ai procedimenti pendenti alla datadell'1/3/2006.Con un solo articolato motivo, nel censurare l'impugnata sentenza, la società ricorrente denunziala violazione ed errata applicazione della L. n. 223 del 1991, artt. 4 e 5, della L. n. 604 del 1966,della L. n. 300 del 1970, art. 18, degli artt. 416 e 112 c.p.c., nonchè l'omessa, insufficiente econtraddittoria motivazione in ordine ad un punto controverso e decisivo del giudizio.In sintesi le doglianze possono riassumersi nei seguenti termini: - Vi sarebbe stata violazionedell'art. 416 c.p.c., nella parte in cui la Corte d'appello aveva ritenuto che l'eccezione diinapplicabilità al caso di specie della L. n. 223 del 1991, artt. 4 e 24, avrebbe dovuto essereproposta dalla parte datoriale convenuta con domanda riconvenzionale e non sotto forma dieccezione riconvenzionale; in mancanza di specifiche doglianze da parte dei lavoratori, i quali nonavevano mai dedotto l'inapplicabilità della procedura di cui alla L. n. 223 del 1991, era daconsiderare affetta da vizio di ultrapetizione la parte della decisione impugnata attraverso la qualesi erano ritenute inapplicabili le norme procedurali del licenziamento collettivo; la motivazione eracontraddittoria nella parte in cui la Corte, dopo aver affermato che il giudice non poteva dichiarared'ufficio la conversione di un licenziamento qualificato come collettivo in licenziamentoindividuale plurimo per giustificato motivo oggettivo, presupponendo una tale conversione unadomanda principale subordinata o un'apposita domanda riconvenzionale, nella fattispecie nonformulate, aveva poi dichiarato che non ricorrevano i presupposti del licenziamento collettivo eche il giudicante poteva rilevare ciò senza infrangere la norma di cui all'art. 112 c.p.c.; indefinitiva, la Corte, dopo aver dichiarato che i licenziamenti erano stati adottati in forma scritta,ma che in mancanza di riconvenzionale gli stessi non potevano essere qualificati comelicenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo, aveva, però, omesso di svolgerel'istruttoria in merito alle censure mosse nei ricorsi introduttivi avverso la legittimità dellicenziamento collettivo, per poi aggiungere, contraddicendosi, che poichè si verteva in ipotesi dideroga di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 24, i licenziamenti in esame non potevano qualificarsicome licenziamento collettivo, ma che i licenziamenti individuali di fatto, così posti in essere,erano privi di motivazione. Osserva la Corte che il ricorso è infondato.Anzitutto non può sottacersi che la ricorrente non indica, in occasione della denunzia di violazioneed errata applicazione delle norme di cui alla L. n. 223 del 1991, artt. 4 e 5, quali sarebbero stati iprincipi disattesi dalla Corte di merito nella valutazione della fattispecie alla luce di tali norme.Inoltre, non è rilevante, ai fini della validità della "ratio decidendi" sottesa all'impugnata sentenza,la questione sollevata con riferimento alla inapplicabilità della procedura di cui alla L. n. 223 del1991, artt. 4 e 24, che era stata proposta per il tramite dell'eccezione riconvenzionale anzichè per ilmezzo della domanda riconvenzionale: in realtà, la Corte d'appello ha solo voluto chiarire percompletezza del procedimento logico decisionale che il radicale mutamento della tipologia dilicenziamento, quale effetto della richiesta di conversione da licenziamento collettivo inlicenziamento individuale, era stato prospettato nella fattispecie per il tramite di eccezionericonvenzionale che non poteva avere la stessa portata di una domanda riconvenzionale, la solache avrebbe consentito di offrire una prospettazione dei fatti del tutto diversa da quella giàintrodotta in giudizio. In ogni caso tale censura non scalfisce la validità del ragionamento deigiudici d'appello che è, invece, incentrato sull'argomento logico, questo davvero decisivo, dellaimpossibilità di convertire il licenziamento collettivo, dotato di rigide regole procedimentali sueproprie, in quello individuale plurimo.Egualmente infondata è la doglianza di ultrapetizione per il fatto che in mancanza di specifichecensure da parte dei lavoratori la Corte non avrebbe potuto affermare che nella fattispecie nontrovavano applicazione le norme sul licenziamento collettivo. Invero, dalla lettura della sentenza e del presente ricorso emerge che il tema della decisione era proprio quello di verificare lasussistenza di una tale ipotesi di licenziamento, posto che nei loro ricorsi introduttivi, comecorrettamente rilevato dai giudici d'appello, i lavoratori avevano affermato di essere stati licenziaticon riferimento alle motivazioni espresse nella procedura di riduzione del personale di cui alla L.n. 223 del 1991, artt. 4 e 23, conclusa con mancato accordo, rispetto alla quale avevanodenunziato gravi irregolarità; inoltre, è stato posto in rilievo che la stessa datrice di lavoro avevaeccepito che, pur avendo adottato la suddetta procedura, essa non vi era tenuta quale aziendaoperante nel settore dell'edilizia ed essendo i licenziamenti riferibili alla fine dell'appalto nelcantiere di "(omissis)", tanto da insistere per la conversione della risoluzione dei rapporti,impugnata dai predetti dipendenti, in licenziamenti individuali plurimi per giustificato motivooggettivo dovuto alla chiusura del cantiere.In definitiva, la "ratio decidendi" che rimane insuperata e sulla quale poggia l'impugnata sentenzaè costituita dalla constatazione che la datrice di lavoro, nel ricorrere al licenziamento degli odierniintimati, si era avvalsa della procedura del licenziamento collettivo, di cui alla L. n. 223 del 1991,non seguendone, tuttavia, i rigidi requisiti di sostanza e di forma, oltre che dalla conseguentelogica deduzione che il licenziamento così adottato possedeva il solo requisito della scrittura, manon quello altrettanto essenziale della motivazione, per cui non poteva che esserne confermatal'illegittimità.Orbene, a fronte di tale ragionamento, basato su dati di fatto adeguatamente illustrati e suconsiderazioni logico-giuridiche esenti da rilievi di legittimità, la ricorrente non si è premurata dicensurare la parte della decisione che fa leva sull'omessa motivazione del provvedimento dirisoluzione, limitandosi ad invocare un vizio di contraddittorietà e di ultrapetizione che finisce,pertanto, per rivelarsi inconferente rispetto alle vere ragioni che sorreggono la decisione in esame.Il ricorso va, quindi, rigettato.


Data: 21/10/2013 12:50:00
Autore: Emanuele Mascolo