Rifiuto di un genitore, maltrattamenti e autodeterminazione dei figli

E' di estrema attualità il tema del rifiuto di un genitore da parte di un figlio, sovente con "incriminazione" dell'altro. L'approfondimento si basa su un recente dibattito presso il Senato nel quale sono stati promossi i contenuti della pdl 472


Il quadro attuale di riferimento

E' costantemente crescente l'attenzione verso il diritto dei figli a rifiutare i contatti con uno dei genitori. Ciò perché l'argomento si ricollega al tema della violenza, soprattutto intrafamiliare – tenuto ben vivo da associazioni femministe, attivissime a livello mediatico. Ne alimenta l'interesse sia l'antico contrasto al tema dell'alienazione genitoriale, sia la permanente ostilità al diritto dei figli alla bigenitorialità, concetto la cui introduzione e tutela è visto – giustamente – nella legge 54/2006, della quale non a caso si chiede da parte dei medesimi soggetti l'abrogazione o il radicale svuotamento. Argomenti sistematicamente riproposti e ospitati anche nelle prestigiose sedi parlamentari, come recentemente avvenuto. Argomenti, inoltre, riassunti in una proposta di legge (pdl 472, "Modifica all'articolo 337-ter c.c., concernente i provvedimenti del giudice in materia di affidamento e rapporti dei figli con i genitori") i cui contenuti rimbalzano di continuo in ogni occasione di una qualche risonanza. Esaminarli e discuterli ordinatamente appare pertanto opportuno al fine di portare chiarezza nel sempre acceso dibattito sulla relativa problematica.

Le motivazioni in premessa

Nell'introduzione si legge sinteticamente il senso dell'iniziativa di legge, del tutto condivisibile: "La presente proposta di legge è … volta a rafforzare la piena tutela del diritto dei figli minorenni di mantenere relazioni equilibrate con entrambi i genitori in tutti i casi previsti dall'articolo 337-bis del codice civile, evitando tuttavia l'instaurazione di pregiudizi ulteriori qualora sussista per il figlio una condizione di difficoltà, anche temporanea, nel mantenere rapporti con uno di essi." Così come lo sono anche altre generiche considerazioni come: "… si intende riconoscere al minore il «diritto ad allontanarsi», cioè il diritto di non proseguire il rapporto con il genitore non ritenuto degno di rivestire tale ruolo, che dovrebbe sempre essere rasserenante e fonte di affetto e dialogo. Si intende riconoscere altresì il diritto di essere accompagnato nella potenzialità di coltivare il ripristino della relazione con quel genitore, senza forzature e senza indebite coercizioni.
Certamente la norma è destinata ad applicarsi ai casi in cui il minore sia in grado di autodeterminarsi e quindi di esprimere valutazioni veritiere; si tratta di situazioni diverse da quelle in cui risulti accertato che le determinazioni del figlio siano inficiate da pressioni psicologiche e morali dei genitori, che potrebbero influenzare quest'ultimo facendo leva sulla giovane età o su altri aspetti caratteriali."

E anche per questa parte niente da obiettare; anzi, pieno apprezzamento. Nello sviluppo del ragionamento si inizia, tuttavia, ad intuire la necessità di comprendere bene come concretamente si ha intenzione di agire, pur restando concordi con gli enunciati teorici: "Persino la formazione del rifiuto in situazioni di accertato condizionamento da parte di uno dei genitori deve trovare rimedi che salvaguardino l'equilibrio affettivo e la serenità del bambino, senza che le eventuali mancanze o inadempienze di un genitore possano ridondare in occasioni di trattamenti penalizzanti per il bambino o in esiti di segregazione, temporanea o permanente, fuori dalla famiglia.

Timori che sembrano fugati da quanto oltre si legge, ovvero: "Al contempo, è necessario prevedere un chiaro disincentivo ad attività di un genitore che inducano nel figlio discredito verso l'altro genitore ovvero un ingiusto timore di coltivare la relazione con esso". Cui segue, tuttavia, un contrappeso che nella parte finale appare abbastanza oscuro, e di conseguenza preoccupante: "… tali disincentivi devono però presupporre un serio accertamento e una concreta prova delle condotte condizionanti e devono sortire conseguenze afflittive esclusivamente nei confronti dell'autore di esse e non anche nei riguardi del figlio minore". Previsione decisamente oscura, per la difficoltà di immaginare come possano conciliarsi le due condizioni – intervenire efficacemente sul genitore senza che nulla cambi per il figlio. Oscura e preoccupante, che trova risposta - sconcertante – nel suggerimento operativo: si dovrebbe ammonire il genitore invitandolo a mettere fine alle manipolazioni e poi, se continua, ricorrere solo a sanzioni economiche (astreinte, art. 614 bis c.p., relativo agli obblighi di fare e di non fare). E qui ci si ferma. Il che vuol dire che nel frattempo il figlio rimane senza tutela. In altre parole, il figlio per tutto il tempo, in nome della preannunciata "continuità", resta soggetto a quelli che possono correttamente essere definiti maltrattamenti – anche gravi - di tipo psicologico. Ovvero, fino a che il genitore abusante non si stanca di gettare denaro (potrebbe anche averne moltissimo e agire per ripicca) il figlio gli resta accanto esattamente come se nessuno si fosse accorto di nulla.

Ruolo e diritti dei figli

Ritornando, dunque, agli scopi della pdl, si legge: "si constata che l'attuale quadro normativo tende a garantire in ogni caso la presunta necessità del figlio minore di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori, senza contemplare apparentemente le situazioni in cui il diritto del genitore al mantenimento della relazione parentale con il figlio minore deve essere bilanciato con il diritto del bambino di esprimere le proprie remore, i propri timori e le proprie specifiche esigenze rispetto alla relazione con uno dei genitori."

Dove sono ospitate una serie di espressioni e affermazioni che vengono date per scontate, quando invece rappresentano giudizi personali più che discutibili, in quanto estranei sia alla ratio legis dell'affidamento condiviso che al testo in vigore. Esistono certamente gravi distorsioni applicative delle norme – anche se sotto altri profili – ma nell'ambito in oggetto la legge non ha responsabilità. In nessun passaggio sta scritto che il rapporto debba essere "in ogni caso" equilibrato e continuativo. Che non sia così emerge incontestabilmente dall'art. 337 quater c.c., che tratta l'inadeguatezza di uno dei genitori e la relativa esclusione dall'affidamento. Inoltre, la legge 54/2006 raffina quanto previsto all'art. 30 Cost. trasformando il diritto-dovere dei genitori in diritto in capo ai figli. Diritto che, in quanto facoltà, a rigore può essere esercitato o meno. Inappropriato è, inoltre, esprimersi in termini di "bilanciamento" tra due diritti. Visto che sono in capo alle stesso soggetto – il bambino – è chiaro che potrà anche fruirne contemporaneamente. Curiosamente, l'ortodossia del testo di legge sul punto è ammessa nella stessa introduzione:" È il minore, secondo le norme, il titolare del diritto ad avere e a mantenere una relazione con i propri genitori. Il diritto alla conservazione del rapporto con entrambi i genitori risponde al principio del superiore interesse del minore." Anzi, sarà proprio questo il caso ordinario. Giova rammentare a tale proposito l'ineccepibile testimonianza del presidente di un tribunale toscano che confessò di avere smesso di sentire i figli, tanto gli dicevano sempre la stessa cosa, ossia che desideravano stare con tutti e due i genitori, senza differenze.

La discriminazione tra i genitori

Affrontando, comunque, il problema posto, che attiene alla frazione di situazioni in cui il bambino rifiuta il contatto con uno dei genitori, si va a scoprire la criticità più seria. Quale genitore" Uno qualsiasi dei due" Purtroppo no, secondo la pdl.

Già la citazione dalla letteratura si presenta non pertinente: "Diversi studi di psicologia dell'infanzia ravvisano il desiderio del figlio minore di non intrattenere, per varie ragioni fattuali, alcun rapporto continuativo con il genitore non affidatario." Sorvoliamo pure sulla "antichità" del termine, anche se sicuramente non ci si voleva riferire ai casi da art. 337 quater c.c, perché per quelli è già prevista la sanzione a tutela dei figli. Resta però il fatto che in questo modo si taglia fuori una casistica tutt'altro che marginale. Il genitore rifiutato può essere anche quello prevalente. Non solo. Visto che notoriamente l'iniziativa di legge nasce per sollecitazione di associazioni di madri, cosa rispondere all'attuale 20% di genitrici rifiutate (i dati disponibili attestano che il tasso è crescente)" A mero titolo di esempio, giusto affinché non si pensi a situazioni eccezionali fuori statistica, si pensi al vissuto – ben documentato in cronaca - di madri siciliane, collocatarie, che avevano detto basta all'infelice rapporto con il marito, accusate da questi di essere delle poco di buono e di riflesso rifiutate dai figli.

Tornando, dunque, alla polemica di base, ufficialmente ci si scaglia contro la legge 54/2006 ("deve essere abrogata!"; nella fattispecie "modificata"), ma a ben guardare si contesta la giurisprudenza, come correttamente attesta il passaggio: "si presume, al di là e al di fuori di ogni accertamento fattuale, che tale difficoltà sia indotta dal genitore stabilmente convivente con il figlio.". Dove evidentemente il difetto è applicativo, non normativo.

Un passaggio importante, perché apre ad un'altra disfunzione della pdl. Come responsabile, di quale genitore si sta parlando" Sopra si cita una differenza meramente quantitativa, il che pragmaticamente è plausibile, anche se una situazione del genere non dovrebbe essere sistematica. Purtroppo l'articolato della proposta – ossia ciò che conta - si esprime diversamente: «Il figlio minore che manifesti in modo espresso la volontà contraria a incontrare il genitore non convivente o a permanere presso questo non può esservi obbligato". "La manifestazione di volontà di cui al terzo comma non si presume indotta dal genitore con cui il figlio minorenne convive". E via dicendo. E siamo in affidamento condiviso. Ovvero, quando il figlio è a casa di uno dei due genitori (quell'altro…) non ci sta "convivendo": è di passaggio, "in visita".

E' evidente che un simile uso del linguaggio (adottato in tutto l'articolato e tutt'altro che casuale) stravolge il senso della riforma del 2006. Esiste certamente nella pdl qualche rilievo condivisibile (come vedremo), che potrebbe condurre a positivi raffinamenti della legge in vigore: ma non a costo di comprometterne l'impianto. L'effetto complessivo sarebbe in perdita netta.

L'autodeterminazione del figlio minorenne

Infine, la proposta affronta l'antico e arduo problema dell'autodeterminazione di soggetti minorenni. In effetti è innegabile che il problema esiste ed è particolarmente avvertito da chi, come chi scrive, si sforza di allargarne al massimo i diritti. D'altra parte, alla drastica scelta della pdl a favore di un illimitato potere decisionale dei figli può essere rimproverato di non avere preso in considerazione alcuna delle obiezioni che possono ragionevolmente esserle mosse. Anzitutto, ancora una volta l'ordinanza citata ("… la Corte di cassazione ha proprio rimarcato «il carattere non obbligato ed incoercibile del dovere di frequentazione del genitore» e «il diritto del figlio minore di frequentare il genitore quale esito di una sua scelta, libera ed autodeterminata» (sezione I civile, ordinanza n. 6741 del 6 marzo 2020)." limita incomprensibilmente la facoltà di rifiuto solo nei confronti del genitore meno presente (come emerge dal contesto completo).

Dopo di che, sanata la limitazione chiaramente anticostituzionale, si presenta un altro problema, ovvero che in questo modo la decisione del giudice perde totalmente di valore proprio nelle situazioni predilette dalla pdl 472, che considera solo situazioni a genitore prevalente (quello detto "convivente"). Questo, perché ammettere un diritto di rifiuto totale anche in assenza di colpevolezza del genitore rifiutato comporta a fortiori il diritto di modulare ad libitum intensità e modalità del rapporto affettivo. Ovvero, ne deriva che il figlio ha tutto il diritto di modificare o addirittura ribaltare in qualsiasi momento anche i dosaggi della frequentazione. Dalla quale a sua volta dipendono i contributi economici … Come dire che i figli decideranno su tutto.

Profili di incostituzionalità

Ciò premesso, al dilemma si deve comunque dare risposta. Riproponiamolo, nei termini della pdl: "… quid iuris se la volontà del minore è diversa" I rapporti affettivi, per loro natura incoercibili, non possono essere imposti, ha affermato la Corte di cassazione (sezione I civile, ordinanza n. 11170 del 23 aprile 2019). Pertanto, il cosiddetto diritto alla bigenitorialità non può spingersi oltre il rifiuto della frequentazione di uno dei due genitori da parte del minore."

Chi scrive individua la replica secondo due aspetti. Anzitutto preventivo. Impostare l'affidamento condiviso strutturandolo in modo discriminatorio, con un genitore prevalente e un altro in visita, induce direttamente e immediatamente nei figli l'idea della gerarchia, della diversa valenza, ovvero in ultima analisi del possibile rigetto. E non è teoria, è il modello che viene fatto vivere nel quotidianità. Quindi, secondo legge: frequentazione bilanciata e compiti di cura assegnati a entrambi i genitori. Cosa che assolutamente non si fa. Dopo di che ci si accorge che, comunque, l'affermazione della Suprema Corte è giusta, ma la domanda è mal posta. Verissimo che al cuore non si comanda, ma non di ciò si sta trattando. Anche a parti invertite, non si prescrive ai genitori di amare i figli. Si rilegga, oltre all'art. 30 Cost., il 337 ter comma I c.c.: non si va oltre l'assistenza morale. E allora si passi all'art. 315 bis comma IV c.c.. Esistono anche doveri dei figli, come in ogni collettività, e il primo è il rispetto verso i genitori. Per cui, se uno di essi intende assolvere correttamente le proprie funzioni di educare e istruire i figli non è ammissibile che gli venga concretamente impedito mediante il rifiuto ad interagire con esso, rendendolo pure inadempiente. E viceversa. Naturalmente vale anche per i genitori verso i figli: "non mi interessa con che spirito e voglia te ne prendi cura: lo fai e basta". Ovviamente il tutto è molto triste, ma, in assenza di sentimenti, sempre meglio il rispetto dei ruoli che l'anarchia.

Il che evidenzia anche un profilo di incostituzionalità. Essendo riconosciuta e codificata l'unicità dello stato di figlio, il diritto al rifiuto riconosciuto ai figli di separati dovrebbe essere in capo ai figli anche all'interno di famiglie unite, con il bizzarro risultato di una potenziale permanente contestazione di qualsiasi scelta da parte dei genitori. Con buona pace del concetto di famiglia come cellula sociale elementare…

Ma forse delle difficoltà della tesi dei pieni poteri ai figli si deve essere accorto anche l'estensore della pdl vista la previsione che: "Quando non esistano mezzi idonei a tutelare la sicurezza degli interessati, il giudice può vietare lo svolgimento degli incontri ancorché la frequentazione non sia rifiutata dal minore".

Conclusioni

In definitiva, il tema affrontato dalla proposta è sicuramente di grande attualità e sul piano degli argomenti coglie nel segno. Ciò non toglie che i contenuti appaiono fortemente condizionati da premesse ideologiche che tolgono lucidità agli estensori e capacità di convincere alle soluzioni. Anche se, in una lettura assolutamente laica della pdl, esistono anche suggerimenti che meritano riflessione e probabilmente accoglienza. Ad es., sembra una buona idea dare la parola ai figli prima di applicare i gravi provvedimenti di cui all'art. 337-quater c.c., ad es., aggiungendo un quarto comma che reciti "In ogni caso, per qualsiasi provvedimento che lo riguardi viene sentito il figlio minorenne dotato di sufficiente discernimento".

Se ne conclude l'opportunità di un ampio dialogo e di un confronto, al quale chi scrive si dichiara immediatamente disponibile.

Data: 24/12/2025 09:00:00
Autore: Marino Maglietta