La confisca allargata nel piccolo spaccio
Il giorno in cui la Consulta ha detto "basta" all'automatismo
Il 7 novembre 2025 rappresenta una data spartiacque nel panorama del diritto penale degli stupefacenti. La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 166 del 2025, ha posto un argine all'applicazione meccanica della confisca allargata ai reati di piccolo spaccio, introdotta dal discusso decreto Caivano. La pronuncia nasce dalle perplessità del Tribunale di Firenze, che aveva sollevato questioni di legittimità costituzionale sull'estensione della confisca per sproporzione ex art. 240-bis cod. pen. anche alle ipotesi di lieve entità previste dall'art. 73, comma 5, del Testo Unico Stupefacenti.La questione è di quelle che tengono svegli i penalisti: ha senso applicare uno strumento così invasivo – nato per aggredire i patrimoni della criminalità organizzata – a chi viene sorpreso con pochi grammi di hashish e qualche centinaio di euro in tasca" La Consulta ha risposto con un "sì, ma". La norma è costituzionalmente legittima, ma solo se il giudice verifica caso per caso che le circostanze concrete non escludano la natura criminale dell'accumulo patrimoniale. In altre parole: la presunzione di illecita provenienza dei beni non può trasformarsi in una condanna automatica del patrimonio. È un "ma" che pesa come un macigno e che ridisegna completamente l'applicazione pratica dell'istituto.
La confisca allargata: un'arma a doppio taglio
Per comprendere la portata della pronuncia, occorre fare un passo indietro e analizzare la natura della confisca allargata. Disciplinata dall'art. 240-bis cod. pen. e richiamata per i reati di stupefacenti dall'art. 85-bis d.P.R. 309/1990, questa misura di sicurezza patrimoniale consente di aggredire tutti i beni del condannato che risultino sproporzionati rispetto al suo reddito dichiarato, a meno che questi non riesca a giustificarne la legittima provenienza.
Si tratta di uno strumento formidabile che inverte – di fatto – l'onere della prova: non è più lo Stato a dover dimostrare che quei beni derivano da attività illecite, ma è il condannato a dover provare il contrario. La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che grava sull'imputato l'onere di giustificare la provenienza dei beni mediante specifica allegazione di elementi concreti e oggettivi in grado di superare la presunzione di illecita provenienza. Non sono sufficienti deduzioni meramente assertive o generiche: occorrono circostanze positive e concrete, contrarie a quelle provate dalla pubblica accusa.
Fino al decreto Caivano, questa misura era riservata ai reati più gravi: associazione mafiosa, corruzione, riciclaggio, traffico internazionale di droga. L'estensione al piccolo spaccio ha rappresentato un salto di qualità che ha sollevato più di una perplessità tra gli operatori del diritto. Come può un piccolo spacciatore, spesso persona ai margini della società, senza cultura giuridica, magari straniero senza permesso di soggiorno, dimostrare la provenienza lecita dei suoi pochi averi" Come si fa a provare che quei cinquecento euro in tasca derivano da prestazioni lavorative occasionali in nero, da un prestito di un amico, da risparmi accumulati nel tempo" Chi vive ai margini della legalità – non necessariamente per scelta – spesso non ha documenti, ricevute, contratti. Vive in un'economia sommersa che, per quanto diffusa, è per definizione non documentabile.
Il piccolo spacciatore tra habitus criminale e occasionalità.
La Corte Costituzionale ha salvato la norma, ma ne ha ridisegnato i confini applicativi con un'argomentazione che merita di essere soppesata con attenzione. I giudici delle leggi hanno riconosciuto che la modestia dei profitti derivanti dalle singole attività di cessione o di coltivazione di piccoli quantitativi di sostanze stupefacenti non è di per sé incompatibile con il dato di esperienza secondo cui i loro autori spesso traggono abitualmente i propri redditi proprio da quelle attività, specie quando siano privi di occupazione stabile o comunque regolare.
In altre parole: è vero che chi spaccia piccole quantità guadagna poco da ogni singola cessione, ma è altrettanto vero che spesso si tratta di persone che vivono esclusivamente di quell'attività. E dunque, in astratto, la confisca allargata può avere senso anche per loro. Ma – ed ecco il punto cruciale – questo non significa che la confisca debba essere applicata automaticamente. La Consulta ha infatti precisato che il giudice non potrà comunque applicare la confisca allargata quando, alla luce di tutte le circostanze del caso concreto filtrate attraverso il contraddittorio tra accusa e difesa, il fatto di reato appaia non già espressivo di un habitus criminale dal quale l'autore abbia verosimilmente tratto profitti illeciti, ma piuttosto risulti isolato o comunque occasionale.
Tradotto dal legalese: se il giudice si convince che quello spacciatore non è un delinquente di professione, ma una persona che ha commesso un errore isolato, la confisca non può essere disposta, anche se formalmente i requisiti normativi sarebbero integrati. Qui si annida il cuore pulsante della sentenza, e forse la sua portata più innovativa. La Corte Costituzionale sta dicendo che la presunzione di illecita accumulazione patrimoniale – su cui si fonda l'intera architettura della confisca allargata – non può essere cieca. Non può ignorare la realtà concreta del caso.
Quando la presunzione deve cedere alla realtà: esempi pratici.
Prendiamo un esempio concreto. Tizio viene fermato con cinquanta grammi di marijuana e duemila euro in contanti. È disoccupato, vive in una casa popolare, non ha beni intestati. Formalmente, i duemila euro sono sproporzionati rispetto al suo reddito (zero). Ma se dalle indagini emerge che Tizio ha venduto la sua vecchia auto due settimane prima per duemilacinquecento euro, e lo dimostra con un regolare passaggio di proprietà, quei duemila euro possono ancora essere confiscati"
Prima della sentenza n. 166/2025, molti giudici avrebbero risposto di sì, applicando meccanicamente la presunzione. Dopo questa pronuncia, la risposta dovrebbe essere no: le circostanze concrete del caso escludono che quei soldi derivino da attività illecite. La Consulta, in sostanza, sta chiedendo ai giudici di fare i giudici. Di valutare. Di motivare. Di non nascondersi dietro presunzioni che, per quanto legittime in astratto, possono rivelarsi ingiuste in concreto.
La giurisprudenza di legittimità, del resto, aveva già iniziato ad affinare i criteri applicativi. Una recente pronuncia ha affermato che quanto più modeste siano le somme oggetto di sequestro, tanto più rigorosa deve essere la motivazione a sostegno del requisito della sproporzione, essendo tale nozione espressione di uno squilibrio la cui consistenza tende a ridursi in presenza di somme e valori di modesta entità. In altre parole: confiscare centomila euro a un piccolo spacciatore richiede una motivazione molto più solida che confiscarne centomila a un trafficante internazionale, perché nel primo caso la sproporzione è meno evidente e il rischio di errore più alto.
Il rischio della confisca come sanzione occulta.
C'è poi un aspetto che la sentenza della Consulta non affronta esplicitamente, ma che emerge tra le righe: il rischio che la confisca allargata si trasformi, di fatto, in una sanzione penale aggiuntiva mascherata da misura di sicurezza. Facciamo un altro esempio. Caio viene condannato per piccolo spaccio a un anno di reclusione con pena sospesa. Ma gli vengono confiscati cinquemila euro, un'auto del valore di tremila euro e un motorino. Totale: ottomila euro di ablazione patrimoniale. Per Caio, che vive di espedienti, questa è una condanna molto più pesante della pena detentiva che non sconterà mai. È una sanzione economica che lo ridurrà in miseria.
Ora, se quei beni derivano effettivamente da attività illecite, la confisca è giusta. Ma se derivano – anche solo in parte – da fonti lecite" Se quell'auto l'ha comprata con i soldi di un lavoro stagionale" Se quei cinquemila euro sono il frutto di anni di piccoli risparmi" La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 166/2025, sta dicendo che in questi casi il giudice deve fermarsi. Deve verificare. Deve motivare. Non può limitarsi ad applicare una presunzione che, per quanto legittima in astratto, rischia di trasformarsi in un'ingiustizia concreta.
La giurisprudenza ha censurato confische fondate su elementi di tangibile genericità quali la mera discontinuità dell'attività lavorativa, specie se non accompagnati da precise indicazioni in ordine alla tipologia dell'attività svolta, alla sua durata e alla redditività. Sono segnali importanti. La Cassazione sta dicendo ai giudici di merito: non basta dire "è disoccupato, quindi quei soldi sono illeciti". Bisogna verificare. Bisogna motivare. Bisogna confrontarsi seriamente con le allegazioni difensive.
L'applicazione retroattiva: un nodo ancora da sciogliere.
Un aspetto particolarmente delicato della questione riguarda l'applicazione retroattiva della confisca allargata ai reati di piccolo spaccio. La giurisprudenza ha chiarito che la nuova disciplina si applica retroattivamente entro i limiti dettati dall'art. 200, comma 1, cod. pen., sicché per l'individuazione del regime legale di riferimento deve aversi riguardo alla legge in vigore al tempo della sua applicazione, che coincide con il momento in cui viene emessa la decisione di primo grado.
Questo significa che chi ha commesso un reato di piccolo spaccio prima del decreto Caivano può vedersi applicare la confisca allargata se la sentenza di primo grado viene emessa dopo l'entrata in vigore della nuova normativa. E la Corte Costituzionale ha ritenuto che questo non violi il principio di irretroattività della legge penale. La motivazione è tecnica: la confisca allargata è una misura di sicurezza, non una pena, e quindi non è soggetta al divieto di retroattività. Ma è una motivazione che convince fino a un certo punto. Perché se è vero che formalmente la confisca non è una pena, sostanzialmente lo è eccome, soprattutto per chi si vede portare via tutto quello che ha.
Verso una confisca "ragionevole": le indicazioni operative.
La sentenza n. 166/2025 della Corte Costituzionale rappresenta un punto di svolta non perché dichiari incostituzionale la norma – anzi, la salva – ma perché ne ridisegna i confini applicativi in modo significativo. La Consulta sta dicendo che la confisca allargata non può essere uno strumento automatico. Non può essere una presunzione cieca. Deve essere, invece, il frutto di una valutazione concreta, caso per caso, delle circostanze del fatto e della personalità dell'autore.
Questo richiede ai giudici un lavoro più complesso. Non possono più limitarsi a verificare la sussistenza formale dei requisiti: condanna per reato-spia, sproporzione patrimoniale, mancata giustificazione. Devono andare oltre. Devono chiedersi: in questo caso concreto, è ragionevole presumere che quei beni derivino da attività illecite" O le circostanze del caso suggeriscono una diversa conclusione" È un approccio più garantista" Sì, indubbiamente. Ma è anche un approccio più giusto, perché la giustizia non può essere amministrata con il pilota automatico. Richiede valutazione. Richiede motivazione. Richiede, in ultima analisi, umanità.
La giurisprudenza di legittimità ha già iniziato a muoversi in questa direzione. Diverse pronunce hanno annullato confische disposte senza un'adeguata verifica della sproporzione patrimoniale o senza un confronto serio con le allegazioni difensive. Il giudice ha l'onere di allegare fatti di segno contrario e di verificare i presupposti con congrua motivazione, specificando in punto di sproporzione tra il reddito posseduto e il danaro rinvenuto nella disponibilità del condannato. Non è censurabile in sede di legittimità la valutazione relativa alla sproporzione tra il valore di acquisto dei beni e i redditi del nucleo familiare, ove la stessa sia congruamente motivata dal giudice di merito con il ricorso a parametri suscettibili di verifica e sia preceduta da un adeguato e razionale confronto con le avverse deduzioni difensive.
Le domande che restano aperte e le sfide per i difensori.
La sentenza della Consulta, per quanto importante, lascia aperti molti interrogativi. Primo: come si individua concretamente un "habitus criminale"" Quante condanne servono" Quanti precedenti" O basta la gravità del fatto" La Corte non lo dice, e questo rischia di generare applicazioni difformi da parte dei giudici di merito. Secondo: cosa succede quando le circostanze del caso sono ambigue" Quando non è chiaro se si tratti di un episodio isolato o dell'emersione di un'attività continuativa" In questi casi, prevale la presunzione di illecita accumulazione o il principio del favor rei"
Terzo: come si concilia questa pronuncia con la giurisprudenza di legittimità che pone a carico dell'imputato un onere di allegazione piuttosto stringente" Se il piccolo spacciatore non riesce a documentare la provenienza lecita dei suoi averi perché vive nell'economia sommersa, il giudice può comunque escludere la confisca sulla base delle "circostanze del caso concreto"" O deve applicare meccanicamente la presunzione" Sono domande a cui solo la prassi giurisprudenziale potrà dare risposta. Ma sono domande che i difensori dovranno porre con forza in ogni procedimento in cui sia in gioco una confisca allargata per reati di piccolo spaccio.
Una riflessione finale: il piccolo spacciatore non è un mafioso.
Permettetemi, in chiusura, una riflessione più ampia che esce dagli schemi tradizionali. La confisca allargata è uno strumento nato per combattere la criminalità organizzata. Per aggredire i patrimoni delle mafie. Per colpire i grandi trafficanti internazionali. Ha senso applicarla al piccolo spacciatore di quartiere" La risposta della Consulta è: sì, ma con cautela. La mia risposta, da avvocato che ha visto troppe volte persone ridotte in miseria da confische sproporzionate, è più radicale: forse no.
Perché il piccolo spacciatore non è un mafioso. Non ha ville, conti offshore, società di comodo. Ha, nella migliore delle ipotesi, qualche migliaio di euro in contanti, un'auto usata, forse un motorino. Applicargli la confisca allargata significa, nella maggior parte dei casi, ridurlo alla fame. E questo non serve a nessuno: non serve alla giustizia, non serve alla società, non serve nemmeno alla prevenzione del crimine, perché chi non ha nulla da perdere è più, non meno, pericoloso.
La Corte Costituzionale ha fatto quello che poteva: ha salvato la norma, ma ne ha limitato l'applicazione ai casi in cui sia effettivamente ragionevole presumere un'attività criminale continuativa.
Ora tocca ai giudici di merito fare la loro parte: applicare questa indicazione con rigore, verificare caso per caso, motivare con attenzione. E tocca a noi difensori vigilare. Perché la presunzione di innocenza – e la presunzione di lecita provenienza dei beni – non sono optional. Sono diritti fondamentali che valgono anche per chi spaccia hashish all'angolo della strada.
La sentenza n. 166/2025 segna un punto di non ritorno: la confisca allargata nel piccolo spaccio non può più essere applicata in modo automatico. Deve essere il frutto di una valutazione concreta, ragionata, motivata. È una vittoria del garantismo" Forse. Ma è soprattutto una vittoria del buon senso giuridico, che impone di guardare alla realtà delle cose prima di applicare presunzioni che rischiano di trasformarsi in ingiustizie.
Avv. Erik Stefano Carlo Bodda
Foro di Torino
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Data: 11/11/2025 07:00:00Autore: Erik Stefano Carlo Bodda