Il passaggio di livello non comporta l'assorbimento del superminimo
Con l'ordinanza n. 11771 del 5 maggio 2025 (sotto allegata), la Corte di Cassazione è tornata ad affrontare il tema dell'assorbibilità del superminimo in caso di passaggio di livello. Una questione particolarmente rilevante, che interviene su un tema relativo al trattamento retributivo con frequentissima applicazione pratica.
La decisione si inserisce in un filone giurisprudenziale già consolidato, ma chiarisce ulteriormente le condizioni in cui il superminimo può dirsi assorbibile, segnando un punto fermo di notevole rilievo pratico per aziende, lavoratori e consulenti del lavoro.
Il superminimo tra regola generale e pattuizioni individuali
Il cosiddetto superminimo rappresenta una quota retributiva riconosciuta individualmente al lavoratore (ad personam), eccedente rispetto ai minimi tabellari fissati dal contratto collettivo applicato. È, quindi, uno strumento di flessibilità contrattuale, tendenzialmente di favore per il lavoratore, che consente all'impresa di premiare competenze, responsabilità o esigenze di mercato non adeguatamente valorizzate dal CCNL.
Ad eccezione dei casi di superminimo "non assorbibile", tale emolumento è soggetto al principio generale dell'assorbimento: ove intervenga un miglioramento retributivo legato al riconoscimento di una qualifica superiore, il superminimo viene normalmente assorbito dalle nuove spettanze. In questo senso, la giurisprudenza ha sempre visto il superminimo come un'integrazione destinata a colmare un gap temporaneo con i minimi tabellari, e dunque destinata a "sparire" quando il trattamento economico dovuto per legge o per contratto collettivo diventa più favorevole.
Tuttavia, come ribadisce la Suprema Corte, il principio non è assoluto. L'ordinanza in esame – come meglio si dirà - infatti sottolinea che la reale portata dell'assorbibilità dipende dalle clausole pattuite al momento della concessione del superminimo. È quindi determinante verificare se la lettera di assunzione o gli accordi successivi abbiano circoscritto, limitato o escluso l'operatività del principio.
La Cassazione ricorda anche che l'interpretazione di tali pattuizioni è rimessa al giudice di merito, trattandosi di una valutazione di fatto: il ruolo della Suprema Corte è quindi limitato a un controllo di corretto esercizio dei criteri ermeneutici. Ciò evidenzia la necessità di una scrittura contrattuale chiara e inequivoca: ogni ambiguità, come emerge da questa vicenda, può tradursi in un contenzioso.
Il caso Amazon: il ricorso in Cassazione
La vicenda in esame trae origine dal giudizio promosso da un dipendente nei confronti di Amazon Italia Logistica S.r.l., volto al riconoscimento del diritto al superiore inquadramento del II livello del CCNL Terziario. La Corte d'Appello di Milano, riformando la decisione di primo grado, aveva accolto le domande del lavoratore, dichiarando «il diritto [...] al trattamento economico previsto per il II livello CCNL Terziario dal 1° febbraio 2015 e al corrispondente inquadramento dal 1° maggio 2015» e, soprattutto, che doveva ritenersi «non assorbibile nelle differenze connesse al riconosciuto II livello quanto erogato a titolo di superminimo».
Il lavoratore aveva infatti dimostrato di svolgere compiti «operativamente autonomi, con funzioni di coordinamento e di controllo così come previsto dalla declaratoria contrattuale contenuta nel CCNL di settore», superando l'eccezione della società secondo cui il livello rivendicato spettava solo agli Area Manager previa formazione specifica. L'elemento fattuale ha avuto un peso decisivo: la Cassazione ha chiarito che non può essere rivisto in sede di legittimità l'apprezzamento di merito fondato su testimonianze e documentazione.
La società datrice di lavoro aveva proposto ricorso per cassazione, lamentando, tra l'altro, la violazione del principio generale di assorbimento. La Suprema Corte, però, ha confermato l'impostazione della Corte territoriale, ritenendo corretta l'interpretazione delle clausole contenute nella lettera di assunzione e in quella di attribuzione del superminimo. Secondo i giudici, «le previsioni contenute nella lettera di conferimento del superminimo, col limitare l'assorbimento ai soli aumenti dei minimi tabellari riferiti ad eventuali futuri aumenti degli stessi minimi, escludevano l'assorbimento retributivo discendente invece dall'aumento derivante da un superiore inquadramento professionale».
Il ragionamento della Corte è particolarmente significativo perché distingue tra dinamiche retributive diverse. Da un lato vi sono i meri aumenti dei minimi tabellari, collegati a fonti esterne al rapporto individuale (contrattazione collettiva o legge). Dall'altro, vi è la progressione economica conseguente al riconoscimento di nuove mansioni o a un avanzamento di livello. Quest'ultima, precisa la Corte, «non configurava ipotesi di mero aumento dei minimi ma era dovuta ad una diversa dinamica salariale legata all'esercizio delle mansioni ed all'anzianità di servizio». È una distinzione che assume un rilievo sistematico, perché evita che il superminimo perda automaticamente la sua funzione premiale al mutare in melius dell'inquadramento. Pertanto, la Cassazione ha rigettato il ricorso del datore di lavoro e confermato la condanna emessa dai giudici di merito.
Implicazioni pratiche: un monito per imprese e lavoratori
L'ordinanza offre spunti operativi di rilievo per entrambe le parti del rapporto di lavoro. Per i datori di lavoro, essa rappresenta un chiaro monito a curare con attenzione la redazione delle clausole relative al superminimo. La Cassazione conferma che, in mancanza di un'esplicita previsione di assorbibilità in caso di passaggio di livello, l'importo resta intangibile. Ne consegue che affidarsi esclusivamente al principio generale può rivelarsi rischioso: solo una pattuizione precisa e circostanziata consente di evitare contestazioni.
Dal lato dei lavoratori, la pronuncia costituisce una garanzia importante: la progressione professionale non comporta automaticamente la perdita del superminimo, salvo diversa pattuizione espressa. In tal senso, si rafforza la certezza dei diritti retributivi acquisiti: per il dipendente, il superminimo diventa quindi un elemento retributivo più solido, capace di accompagnare la crescita professionale senza essere "eroso" dal solo avanzamento di carriera.
La decisione, di conseguenza, ha un impatto notevole sulla gestione delle relazioni industriali. Le imprese dovranno tener conto che l'utilizzo del superminimo come strumento di gestione della politica retributiva richiede un'attenzione maggiore in fase contrattuale, poiché eventuali clausole poco chiare rischiano di essere interpretate in senso favorevole al lavoratore. I professionisti del settore, dal canto loro, sono chiamati a consigliare soluzioni testuali capaci di prevenire il contenzioso e di rispecchiare realmente l'intenzione delle parti.
In definitiva, la sentenza n. 11771/2025 esprime un principio di equilibrio: da un lato il rispetto della regola generale dell'assorbimento, dall'altro la valorizzazione della volontà delle parti. Un equilibrio che, tradotto nella prassi, impone alle aziende eai professionisti di adottare la massima precisione contrattuale per evitare contenziosi futuri, e ai lavoratori di vigilare sulla tutela dei propri trattamenti economici.
Data: 11/09/2025 06:00:00Autore: Francesco Chinni e Sergio Di Dato