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Rapporti con la persona offesa dal reato: obblighi dell'avvocato

Il CNF chiarisce gli obblighi del difensore che intenda conferire con la persona offesa dal reato, sottolineando il dovere di lealtà processuale e le modalità di informativa previste dall'art. 55 cdf



Il Consiglio Nazionale Forense, con la sentenza n. 438/2024, pubblicata il 20 giugno 2025 sul portale del Codice Deontologico Forense, si è pronunciato su un caso di particolare rilievo in tema di rapporti tra l'avvocato dell'imputato e la persona offesa dal reato. Il CNF ha ribadito l'importanza del rispetto rigoroso dei principi di lealtà e correttezza nel contatto con i soggetti coinvolti nel procedimento penale.

Conferire con la persona offesa

Secondo la decisione, il difensore che intenda assumere informazioni dalla persona offesa, richiederle dichiarazioni o semplicemente conferire con la stessa, deve attenersi a precise regole procedurali:

Tali prescrizioni derivano direttamente dall'art. 55 del Codice Deontologico Forense, la cui ratio risiede nella tutela del diritto di difesa e nell'evitare interferenze indebite nella formazione delle prove.

La funzione di garanzia del diritto di difesa altrui

La sentenza ha sottolineato che il bene giuridico tutelato dalla norma non si limita alla corretta amministrazione della giustizia, ma si estende al corretto esercizio del diritto di difesa delle altre parti del processo, che potrebbe essere compromesso da sollecitazioni indebite o condizionamenti.

Il difensore deve quindi astenersi da ogni condotta idonea a incidere, anche solo indirettamente, sulla genuinità di testimonianze, dichiarazioni o ritrattazioni, soprattutto quando la persona contattata non disponga di adeguata assistenza tecnica.

Il caso concreto esaminato dal CNF

Nel caso oggetto della decisione, l'avvocato aveva predisposto una controdichiarazione dettagliata, destinata a far ritrattare le precedenti deposizioni rese dalla persona offesa e a indurla a rimettere le querele sporte. Tale comportamento si è tradotto in pressioni e suggestioni che hanno inciso sulla libertà decisionale del teste, con l'effetto di esporlo anche al rischio di autocalunnia, ossia il reato commesso da chi si attribuisce falsamente la responsabilità di un illecito.

La gravità della condotta è stata valutata dal CNF alla luce della centralità del dovere di lealtà processuale, considerato imprescindibile per l'avvocato nello svolgimento della difesa tecnica.

Le conseguenze disciplinari e penali

La violazione delle prescrizioni di cui all'art. 55 cdf costituisce illecito disciplinare ed espone il professionista anche a responsabilità penale ove siano integrati gli estremi di reati quali la subornazione o l'autocalunnia indotta. La sentenza richiama la necessità di osservare rigorosamente la procedura di informazione e assistenza al fine di garantire la genuinità delle dichiarazioni e di evitare forzature incompatibili con i principi di deontologia forense.

Data: 09/07/2025 06:00:00
Autore: Redazione