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E' truffa far credere di avere i "poteri" per far tornare a casa il marito separato

La Cassazione conferma la condanna per truffa nei confronti dei soggetti che, grazie a "poteri soprannaturali", fanno credere alla vittima di poter far tornare a casa il marito separato in cambio di denaro


Reato di truffa

Far credere alla persona offesa di avere "poteri soprannaturali" in grado di far tornare a casa il marito separato, inducendola a farsi consegnare somme di denaro e altri beni, integra il reato di truffa. Così la Cassazione (sentenza n. 8392/2023 sotto allegata) conferma la condanna nei confronti di due imputati condannati in appello per il reato di cui all'art. 640 c.p. I due, in particolare, tramite artifici e raggiri, convincevano la donna a consegnare denaro e altri beni facendole credere di avere i "poteri" per far rientrare il marito. E per questo veniva anche ritenuta sussistente l'aggravante di cui all'art. 61 c.p., n. 5.

Adita la Cassazione, la stessa riteneva infondate le doglianze evidenziando che le dichiarazioni della persona offesa avevano trovato riscontro anche nelle testimonianze dei parenti e in ogni caso, potevano "essere legittimamente poste da sole a fondamento dell'affermazione di responsabilità, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto, che in tal caso deve essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello a cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone". Quanto all'attendibilità della persona offesa dal reato questa rappresenta una questione di fatto che non può essere rivalutata in sede di legittimità, ricordano da piazza Cavour, salvo che il giudice non sia incorso in manifeste contraddizioni. E tali contraddizioni non si rinvengono nel caso in esame, nel quale la Corte di appello ha fornito congrua motivazione della attendibilità del racconto della persona offesa, come già aveva fatto il giudice di primo grado.

Accolta invece la doglianza sul punto della ritenuta sussistenza dell'aggravante ex art. 61 c.p. n. 5, in quanto la motivazione della Corte d'appello risulta mancante anche relativamente alle attenuanti generiche, posto che con l'eliminazione della suddetta aggravante, il minimo della pena per il contestato reato di truffa sarebbe stato di mesi sei di reclusione.

Data: 07/04/2023 06:00:00
Autore: Redazione