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Perde la potestà il padre che per orgoglio rifiuta di vedere il figlio

Per la Cassazione svaluta il ruolo di genitore il padre che per orgoglio rifiuta di incontrare il minore solo davanti a terzi come deciso dal giudice


di Lucia Izzo - Perde la potestà genitoriale il padre che interrompe i rapporti con la figlia minore, rifiutandosi di sottostare al diritto di visita regolamentato dal giudice secondo cui gli incontri sarebbero dovuti avvenire in presenza di terzi.


Tale comportamento, infatti, pregiudica il minore e, anche se il padre ne faccia davvero una questione d'orgoglio, il suo atteggiamento denota una scarsa considerazione del ruolo di genitore. Irrilevante che il minore dodicenne non sia stato sentito in sede di reclamo poiché la Corte d'appello non è obbligata dalla legge a procedere all'audizione.

Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, prima sezione civile, nell'ordinanza n. 32525/2018 (qui sotto allegata) pronunciandosi sul ricorso di un padre contro il provvedimento che lo aveva dichiarato decaduto dalla potestà genitoriale sulla figlia, affidandola esclusivamente alla madre.

I giudici di merito avevano accertato, all'esito dell'attività istruttoria, il totale disinteresse nell'uomo nei confronti della minore, tradottosi nell'interruzione di ogni rapporto con la stessa. Il padre, in particolare, aveva espressamente rifiutato di sottostare alla regolamentazione limitativa degli incontri disposti dall'autorità giudiziaria.

Addio responsabilità genitoriale se il padre rifiuta l'incontro con il figlio davanti a terzi

In Cassazione, l'uomo censura il provvedimento impugnato avendo questo mancato di verificare le ragioni addotte dal padre e la sua attuale capacità genitoriale al fine della ripresa del rapporto con la figlia nell'interesse della stessa.

In realtà, sottolineano gli Ermellini, la Corte d'Appello ha ampiamente motivato sul punto, concludendo che le ragioni addotte dall'uomo a giustificazione dell'interruzione degli incontri, che all'epoca erano consentiti solo alla presenza di terzi, erano incentrate sulla "volontà di voler salvaguardare la propria dingità di uomo e di padre".

Motivazioni considerate dai giudici a quo come meramente pretestuose. Anzi, semmai fossero state sincere, avrebbero manifestato una palese sottovalutazione del ruolo genitoriale, con grave pregiudizio per la minore, in quanto così facendo l'uomo avrebbe orgogliosamente anteposto la propria dignità di uomo e di padre alla necessità di coltivare i rapporti con la figlia.
Quanto al vizio di omessa audizione della minore (all'epoca quasi dodicene) che sarebbe stato commesso dai giudici di merito, la Cassazione rammenta che non sussiste un obbligo, previsto dalla legge, per la Corte d'appello (in tema di reclamo, come nel caso in esame) di procedere all'audizione del minore, a prescindere dal fatto che tale audizione sia stata effettuata o meno dal Tribunale in via diretta ovvero tramitre CTU.
Data: 22/12/2018 18:30:00
Autore: Lucia Izzo