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Emissione di fatture per operazioni inesistenti e concorso esterno in bancarotta fraudolenta distrattiva

Ipotesi di applicazione del principio del ne bis in idem


1. Premessa.

Chiemette fatture o altri documenti peroperazioni inesistenti lo fa normalmente alfine di consentire a terzi l'evasione delle imposte sui redditi o sul valoreaggiunto. Ciò non esclude che, a volte, la condotta sia finalizzata ad altroscopo, non meno illecito, quale ad esempio quello di consentire a se stessi o aterzi di distrarre patrimonio di una società di cui si è titolari, pregiudicandoi diritti dei creditori. Ma il punto è che, dal punto di vista oggettivo,potremmo trovarci in presenza dell’idem factum e allora si pone ilproblema di stabilire se ci si trova di fronte al divieto del ne bis in idem.

2. Lenorme.

Art. 8 Emissione di fatture o altridocumenti per operazioni inesistenti - D.lgs. 74 del 10 marzo 2000.

1.E' punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al finedi consentire a terzi l'evasione delle imposte sui redditi o sul valoreaggiunto, emette o rilascia fatture o altri documenti per operazioniinesistenti.

2.Ai fini dell'applicazione della disposizione prevista dal comma 1, l'emissioneo il rilascio di più fatture o documenti per operazioni inesistenti nel corsodel medesimo periodo di imposta si considera come un solo reato.

Art. 216 Bancarotta fraudolenta - R.D. 16 marzo 1942, n. 267[1].

1. È punito con la reclusione da tre a dieci anni, se èdichiarato fallito, l'imprenditore, che:

1) hadistratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato in tutto o in parte isuoi beni ovvero, allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, ha esposto oriconosciuto passività inesistenti;

2) omissis.

2. 3.4. omissis

Art. 110 Pena per coloro che concorrono nelreato – c.p.

1. Quando più persone concorrono nel medesimo reato,ciascuna di esse soggiace alla pena per questo stabilita, salve le disposizionidegli articoli seguenti.

Art. 649 Divieto di un secondo giudizio –c.p.p.

1. L'imputato prosciolto o condannato con sentenza odecreto penale divenuti irrevocabili non può essere di nuovo sottopostoa procedimento penale per il medesimo fatto, neppure se questo vienediversamente considerato per il titolo, per il grado o per le circostanze,salvo quanto disposto dagli articoli 69 comma 2[2] e 345[3].

2. omissis.

Art. 50 Diritto di non essere giudicato opunito due volte per lo stesso reato - Carta dei diritti fondamentali dell'unioneeuropea.

1. Nessuno può essere perseguito o condannato per un reatoper il quale è già stato assolto o condannato nell'Unione a seguito di unasentenza penale definitiva conformemente alla legge.

Art. 4 Diritto di non essere giudicato o punito due volte -Protocollo n. 7 alla Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomoe delle Libertà fondamentali -Strasburgo, 22.XI.1984.

1. Nessuno può essere perseguito o condannato penalmentedalla giurisdizione dello stesso Stato per un reato per il quale è già statoassolto o condannato a seguito di una sentenza definitiva conformementealla legge e alla procedura penale di tale Stato.

2. 3. omissis.

3. Elementiessenziali del reato di cui all’art. 8 del D.lgs. 74/2000.

Il “bene giuridico” protetto è l’interesse patrimonialedell’Erario alla corretta percezione del tributo. Il soggetto attivo è chiunqueemette fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, anche se nonobbligato alla tenuta delle scritture contabili. L’elemento soggettivo è il dolospecifico, consistente nel fine di consentire a terzi l’evasione delle impostesui redditi o sul valore aggiunto, comprensiva della possibilità di consentirea terzi il conseguimento dell’indebito rimborso o il riconoscimento di uncredito d’imposta inesistente. L’elemento oggettivo consiste nell’emettere orilasciare fatture o altri documenti per operazioni (oggettivamente osoggettivamente) inesistenti e quindi, in buona sostanza, nella cessione aterzi di documenti fiscali ideologicamente falsi. La consumazione avviene all’attodell’emissione o del rilascio della fattura o del documento per operazioniinesistenti. Si tratta, a ben vedere, di un reato di pericolo astratto (istantaneo)dove la “pericolosità” (anziché ildanno) risiede nel fatto che non è necessario che i documenti falsi venganoutilizzati, mentre “l’astrattezza” si sustanzia nella tutela anticipatadel bene giuridico protetto.

4. Elementiessenziali del reato di cui all’art. 216 del R.D. 6 marzo 1942, n. 267.

Il benegiuridico protetto è l’interesse dei creditori ad un pronto ed efficace ristorosul patrimonio del debitore. L’agente può essere il fallito e cioèl’imprenditore commerciale non piccolo, il socio illimitatamente responsabiledi una S.n.c. o di una S.a.s. ex art.222 L.F. (c.d. bancarotta propria) o persona diversa dal fallito ossial’amministratore, il direttore generale, il sindaco e il liquidatore di società- di persone o di capitali - dichiarate fallite ex art. 223 comma 1 L.F. e l’institore ex art. 227 L.F. (c.d. bancarotta impropria). Per i fatti di distruzione, occultamento,dissimulazione, distruzione e dissipazione è sufficiente il dolo genericoper la cui sussistenza non è necessaria la consapevolezza dello stato di insolvenzadell'impresa, né lo scopo di recare pregiudizio ai creditori, essendosufficiente la consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazionediversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte. Si ammette il doloeventuale quando il soggetto agisce semplicemente "a rischio" disubire una perdita altamente probabile. Dottrina e giurisprudenza sono,invece, concordi nel ritenere che il richiesto “scopo di recare pregiudizio aicreditori” in relazione ai fatti di esposizione e di riconoscimento dipassività inesistenti, sia da qualificare come dolo specifico.

Le modalità diesecuzione (distrazione, occultamento, dissimulazione, distruzione, dissipazione)sono alternative e fungibili. Non è necessaria l'esistenza di un nesso causaletra i fatti di diminuzione del patrimonio ed il successivo fallimento. Sitratta di un reato di “mero pericolo” anche nei casi di diminuzione effettivadel patrimonio (infatti, nel caso di distruzione o dissipazione di alcunibeni, all’esito della procedura concorsuale, vi potrebbe essere un integralesoddisfacimento dei creditori, ma il reato sussisterebbe comunque). Piùprecisamente si tratta di reato di pericoloastratto e quindi non richiede, per la sua sussistenza, la prova che lacondotta abbia causato un effettivo pregiudizio ai creditori. Per quantoriguarda la consumazione si suole distinguere tra bancarotta prefallimentare,per indicare le condotte poste in essere prima della sentenza di fallimentorispetto alle quali la data della dichiarazione costituisce il momento dellaconsumazione e bancarotta postfallimentare, per designare fatti illecitiverificatesi dopo la data di emissione della sentenza e per i quali la data diconsumazione coincide con la data del fatto lesivo della garanzia patrimoniale.

5. Elementiessenziali del “concorso esterno” in bancarotta fraudolenta patrimoniale.

Il concorso di persone nellabancarotta fraudolenta soggiace alle regole dettate negli artt. 110 ss. c.p..Il concorso del soggetto non qualificato ad es. l’impiegato o il collaboratore(c.d. extraneus) è possibile, ma ènecessaria la contemporanea presenza di alcuni elementi:

· l’attività tipica di almeno un soggetto intraneus,

· l’influenza causale - sul verificarsi del fatto- della condotta dell’extraneus,

· la consapevolezza da parte dell’extraneus della qualifica del soggetto intraneus,

· la coscienza dell’extraneus del contributo fornito all’altrui condotta.

Non è necessario un accordopreventivo, basta la volontà unilaterale di concorrere. Secondo lagiurisprudenza, concorre nel reato il professionista (es. il legale o il commercialista)che assuma l'iniziativa di ideare e programmare egli stesso gli atti didistrazione ovvero li proponga e li attui, assumendo la veste di gestore ocogestore dell'impresa del proprio cliente.

6. Analisidella possibile applicazione del principio del ne bis in idem al caso pratico.

Il “giusto processo” di cui all’art. 111[4] dellaCostituzione si estrinseca anche nel diritto dell’imputato a non essereperseguito più di una volta per l’identico fatto. Il divieto del ne bis in idem è un principio generaledell’ordinamento giuridico la cui operatività presuppone la pluralità diprocedimenti ed è subordinata alle sole condizioni di perfetta coincidenzadella regiudicanda (stesso imputato e stesso fatto).

Il concetto di “stessofatto”, che preclude la possibilità di un secondo giudizio, è daintendersi come identità di due fatti di reato in tutti i loro elementi costitutivi. E’ ormaipacifico che per “stesso fatto” sia da intendersi il fatto storico e non quello giuridico. A tale scopo si puòrichiamare la recente pronuncia della Corte Costituzionale n. 200 pubblicatail 27 luglio 2016 che ha deciso una questione sollevata dal Giudicedell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Torino sulla legittimitàcostituzionale dell’art. 649 del codice di procedura penale. Il rimettenteavanzava dubbi di legittimità costituzionale del predetto articolo nella partein cui, in base al diritto vivente nazionale, per valutare la medesimezza delfatto stabilisce criteri più restrittivi di quelli ricavati dall’art. 4 delProtocollo n. 7 alla CEDU. In particolare, mentre il giudice nazionale sarebbetenuto a valutare non la sola condotta dell’agente, ma la triade«condotta-evento-nesso di causa», indagando sulla natura dei reati e sui beniche essi tutelano, in campo europeo invece, a partire dalla sentenza dellaGrande Camera, 10febbraio 2009, Zolotoukhine contro Russia, si sarebbe stabilito che èravvisabile “identità del fatto” quando medesima è (solamente) l’azione ol’omissione per la quale la persona è già stata irrevocabilmente giudicata.

La Consulta, esaminando il diritto vivente formatosisulla norma impugnata, evidenzia due orientamenti: il primo è quello per cui siinterpreta il “medesimo fatto” di cui all'art. 649 cod. proc. pen. comecorrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato,considerato in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nessocausale) e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona; ilsecondo orientamento vieta di applicare il principio del ne bis in idem ove il reato già giudicato sia stato commesso in “concorsoformale” con quello oggetto della nuova iniziativa del pubblico ministero,nonostante la medesimezza del fatto. In base a questa seconda opzione, ilrinnovato esercizio dell'azione penale è consentito, anche quando ilfatto è il medesimo sul piano empirico, ma forma oggetto di una convergenzareale tra distinte norme incriminatrici,tale da generare una pluralità diilleciti penali.




Per la Consulta non è possibile applicare il divieto dibis in idem per la “esclusiva”ragione che i reati concorrono formalmente e sono perciò stati commessi conun'unica azione o omissione: ciò si spiega col fatto che può effettivamentecapitare che all'unicità della condottanon corrisponda la medesimezza del fatto (nel senso che con una stessacondotta possono essere commessi più fatti-reato).

La Corte conclude che l'esistenza o no di un “concorsoformale” tra i reati oggetto della resiudicata e della res iudicanda èun fattore ininfluente ai fini dell'applicazione dell'art. 649 c.p.p. (ciòsignifica che il secondo schema, esplicativo del secondo orientamento, potrebbeessere fallace perché ciò che conta è unicamente l’idem factum di cui si dirà meglio oltre).

L’unica cosa che l'autorità giudiziaria sarà tenuta aporre a raffronto è il fatto storicodel processo concluso con una pronuncia definitiva con quello posto dalpubblico ministero a base della nuova imputazione.

E sarà solo sulla base della triade «condotta-nessocausale-evento naturalistico» che il giudice potrà affermare che il fattooggetto del nuovo giudizio è il medesimo. “Diversità dei fatti” è per la Corte,ad esempio, il caso di un'unica condotta da cui scaturisca la morte o la lesionedell'integrità fisica di una persona non considerata nel precedente giudizio, edunque un nuovo evento in senso “storico”.

La Corte Costituzionale osserva che la CEDU recepisce il più favorevole criterio dell’idem factum, a dispetto della lettera dell’art.4 del Protocollo n. 7[1],anziché la più restrittiva nozione di idemlegale. Ciò però non autorizza, come ritenuto dal G.I.P., che la comparazionetra fatto già giudicato definitivamente e fatto oggetto di una nuova azionepenale dipenda esclusivamente dalla medesimezza della condotta dell’agente, trascurando cioè l’evento e il nesso dicausalità.

Dice la Consulta:seppure l’apprezzamento della sola “condotta” ai fini del giudizio sulla medesimezzadel fatto, rassicurerebbe al massimo grado l’imputato già giudicato in viadefinitiva, perchè per tale via si sottrarrebbe a un nuovo processo penale, nonvi è alcuna ragione per sostenere che il “fatto” storico-naturalistico,rilevante ai fini del divieto di bis in idem, si restringa all’azione oall’omissione e non comprenda, invece, anche l’oggetto fisico su cui cade il gesto, se non anche, l’evento naturalistico che ne èconseguito. Tale concezione di fatto storico (condotta, evento, nesso di causa)è imposto dalla giurisprudenza europea (CEDU e CGEU).

Ed ancora, va escluso che sussista un contrasto l’art.649 c.p.p. e la normativa interposta convenzionale, perché entrambe recepisconoil criterio dell’idem factum, inoltre,all’interno di esso, la Convenzione non obbliga a scartare l’evento in senso naturalistico daglielementi identitari del fatto e dunque a superare il diritto vivente nazionale.

LaConsulta, a sostegno della propria pronuncia, richiama la sentenza delleSezioni Unite della Cass. n. 34655 28 giugno 2005[2] inbase alla quale l’identità delfatto sussiste quando vi sia corrispondenza storico-naturalistica nellaconfigurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi:

1) condotta,evento, nesso causale,

2) circostanze ditempo, di luogo e di persona,

con esclusivo riferimento alla dimensione empirica delfatto storico, in una concezione rigorosamente naturalistica.

Insostanza, la Consulta ha ritenuto erratala tesi del giudice torinese secondo cui la disposizione europeasignificherebbe che la “medesimezza delfatto” debba evincersi considerando la sola condotta dell’agente.Sia l’art. 649 c.p.p. sia l’art. 4 del Protocollo n. 7 della CEDU recepisconoil criterio dell’idem factum.

Orbene,è incontestato che si debbano attribuire all’imputato “tutti gli illeciti” chesono stati consumati attraverso un’unicacondotta commissiva o omissiva, ancorché il fatto sia il medesimo sulpiano storico-naturalistico, trovando tutt’al più applicazione il criterio di favoreindicato dall’art. 81 cod. pen.[3].

Quid iuris nel caso in cui un soggetto attraversoun fatto costituito da una “mera condotta” (nella specie l’emissione di fattureper operazioni inesistenti) persegua il duplice obiettivo di consentire allo stesso soggetto giuridico:

1) l'evasione delle imposte sui redditi o sul valoreaggiunto e

2) di distrarre in tutto o in parte i suoi beni o benidella società di cui è amministratore, direttore generale, sindaco o liquidatore?

Supponiamoche la società Alfa S.r.l. abbia emesso una fattura per operazioni inesistentidell’importo di 10.000,00 euro alla società Beta S.r.l., che la utilizza perportarsela in contabilità e successivamente per presentare la dichiarazionefiscale evadendo così le imposte sui redditi. Il rappresentante legale dellasocietà Alfa S.r.l. – che chiameremo Pasquale - viene condannato, con sentenzadivenuta definitiva, per il reato di cui all’art. 8 del D.lgs. 74/2000 “Emissionedi fatture o altri documenti per operazioni inesistenti”.

Successivamente,qualche anno dopo, la società Beta S.r.l. fallisce e il suo rappresentante – uncerto Antonio - (che per semplicità supponiamo essere lo stesso che hautilizzato la fattura falsa di Pasquale) viene accusato di bancarottafraudolenta distrattiva ex art. 223comma 1 L.F. per un importo corrispondente a 10.000,00 euro, in relazioneproprio a quella fattura ideologicamente falsa, grazie alla quale ha distrattola somma di denaro dal patrimonio della società fallita.

Aquesto punto, il rappresentante della società Alfa S.r.l. “Pasquale” viene asua volta accusato di concorso inbancarotta fraudolenta distrattiva con il rappresentante di Beta S.r.l.“Antonio”, sussistendone i requisiti ovvero l’attività tipica del soggetto intraneus, l’influenza causale sul verificarsidel fatto della condotta dell’extraneus,la sua consapevolezza della qualifica del soggetto intraneus e la coscienza e volontà del proprio contributo alverificarsi della bancarotta distrattiva altrui.

Comesappiamo, la giurisprudenza ritiene che il concorso sussista anche senza unprevio accordo con l’autore principale; nel nostro caso ciò significa che bastala volontà unilaterale di Pasquale di concorrere nella bancarotta.

Il“fatto storico” commesso da Pasquale, nella sua dimensione naturalistica(condotta, nesso ed evento) è il medesimo. Medesime sono le circostanze ditempo, di luogo e di persona; medesimo è l’oggetto materiale della condotta,trattandosi della stessa fattura. Con la medesima condotta egli ha consentitoad Antonio di evadere le imposte e contemporaneamente di distrarre risorsedalla società, poi fallita.

Va, a questopunto, precisato che la giurisprudenza ha ripetutamente affermato che lapreclusione del ne bis in idem nonopera ove tra i fatti già irrevocabilmente giudicati e quelli ancora dagiudicare sia configurabile un'ipotesi di "concorso formale di reati"(una cosa escluderebbe l’altra).

Nel caso dispecie, da una parte abbiamo un reato tributario il cui “bene giuridico” tutelatoè costituito dall’interesse patrimoniale dell’Erario alla correttapercezione del tributo, mentre dall’altra abbiamo un reato fallimentare chetutela l’interesse dei creditori ad unpronto ed efficace ristoro sul patrimonio del debitore, sicché il primo puòconcorrere formalmente con il secondo in considerazione della nonidentità dei beni giuridici tutelati.

Vero è che entrambi i reati in questione sono reatidi pericolo astratto: difatti la“pericolosità” della condotta descritta dall’art. 8 del D.lgs. 74/2000 risiede nelfatto che non è necessario che le fatture o i documenti falsi venganoutilizzati, mentre “l’astrattezza” si sustanzia nella tutela anticipatadel bene giuridico protetto; in egual modo la bancarotta distrattiva èconsiderata reato di pericolo astratto nelsenso che non richiede, per la sua sussistenza, la prova che la condotta abbiacausato un effettivo pregiudizio ai creditori.

Ma il vero punto è che i reati sonoontologicamente diversi ed è inconfutabile che essi tutelano beni giuridicidiversi: ne consegue che essi possono concorrere formalmente.

Ciò significa che il nostro“Pasquale” risponderà di entrambi i reati a meno che non riesca a dimostrare lanon sussistenza dell’elemento soggettivo dei reati commessi, cosa, peraltro,ben possibile rispetto all’ipotesi di “concorso esterno” in bancarottadistrattiva in considerazione della consapevolezza (pur minima) che egli deveavere circa le reali intenzioni di Antonio in merito al patrimonio dellasocietà inteso come garanzia per i creditori in previsione del fallimento. Ciò chedeve dimostrarsi è che Pasquale abbia intuito e compreso, già al momentodell’emissione della fattura falsa, che Antonio l’avrebbe utilizzata (o checomunque avendolo pensato ne ha accettato il rischio) per distrarre risorse dalpatrimonio della Beta S.r.l. mettendo in pericolo la garanzia dei creditori peril soddisfacimento delle loro legittime pretese.

A questopunto, è necessario fare un passo indietro per tornare alla pronuncia dellaCorte Costituzionale n. 200/2016. L'art. 649 c.p.p. è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo, perviolazione dell'art. 117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 4 delProtocollo n. 7 alla CEDU, nella parte in cui esclude che il fatto siail medesimo per la sola circostanza che sussiste un “concorso formale” tra ilreato già giudicato con sentenza divenuta irrevocabile e il reato per cui èiniziato il nuovo procedimento penale.

In altritermini, l’applicazione del divieto di bisin idem non può dipendere esclusivamente dal fatto che i reati concorronoformalmente e sono perciò stati commessi con un’unica azione o omissione, maoccorre sempre verificare la sussistenza dell’idem factum.

7. Uno sguardoalla giurisprudenza europea circa l’estensione della sfera applicativa del nebis in idem.

Occorre premettere che la Convenzioneeuropea dei diritti dell’uomo non costituisce, fino a quando l’Unionenon vi abbia aderito, un atto giuridico formalmente integrato nell’ordinamentogiuridico dell’Unione. Di conseguenza, il diritto dell’Unione non disciplina irapporti tra la CEDU e gli ordinamenti giuridici degli Stati membri e nemmenodetermina le conseguenze che un giudice nazionale deve trarre nell’ipotesi diconflitto tra i diritti garantiti da tale Convenzione ed una norma di dirittonazionale. D’altro canto, la nostra Consulta (cfr. sentenza n. 80 dell’11 marzo2011) esclude la riferibilità alla CEDU del parametro di cui all’art. 11della Costituzione e, dunque, del potere-dovere per il giudice di non applicarele norme interne contrastanti con la Convenzione. Tuttavia, bisogna dire che lenorme della Convenzione EDU assumono rilevanza ai fini del giudizio dilegittimità costituzionale, perché dotate del rango di fonti interposteintegratrici del precetto di cui all’art. 117, comma primo[4],Cost., sempre che siano conformi alla Costituzione stessa e siano compatibilicon la tutela degli interessi costituzionalmente protetti.

Vi è una differenza sostanziale traConvenzione EDU e Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, inparticolare quest’ultima, rispetto alla prima, è fonte formalmente ricompresanel diritto della UE, per cui il giudice nazionale ha l’obbligo di garantire lapiena efficacia della CDFUE: ciò comporta che in caso di contrasto tra norma internae norma della Carta, egli deve disapplicare la norma interna contrastante lalegislazione nazionale, anche posteriore, senza doverne chiedere o attendere laprevia rimozione in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimentocostituzionale.

Venendo adesso al merito dellaquestione, pare opportuno richiamare il “commento” della Cassazione alla sentenza dellaCorte Edu del 4 marzo 2014 (cfr. in bibliografia):la Suprema corte osserva che a fronte del tradizionale orientamentodella Corte di Giustizia, volto a qualificare “l’identità del fatto” dal punto di vista storico-materiale, la Corte europea deidiritti umani aveva in passato sostenuto un’accezione formale e piùrestrittiva, coincidente con la qualificazione giuridica dellacondotta, sino a mutare il proprio indirizzo nel 2009, quando ha optato peruna più ampia lettura del requisito, incentrata sull’identità del fattomateriale: in sostanza il principio del nebis in idem va inteso come divieto di giudicare una persona per una seconda“infrazione”, qualora questa scaturisca dagli stessi fatti.

La concezione odierna di “identitàdel fatto” si basa su parametri di riferimento ben precisi: si tratta dell’insieme delle circostanze fattuali concreterelative allo stesso autore e indissolubilmente legate fra loro nel tempoe nello spazio.

La Grande Camera – risolvendo i precedenti dubbiinterpretativi – affermò con nettezza (causa Sergueï Zolotoukhine c. Russia[GC], n. 14939/03, 10 febbraio 2009) che l’espressione “reato” utilizzata neltesto dell’art. 4 comma 1del Protocollo 7 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo deveintendersi come equivalente, a tutti gli effetti, a “fatto storico”, sì daattribuire la massima estensione possibile alla garanzia convenzionale. Ciò checonta ai fini della garanzia del ne bisin idem è, insomma, che il secondo procedimento abbia ad oggetto fatti chesono nella sostanza i medesimi che hanno costituito l’oggetto del primoprocedimento, già conclusosi con un provvedimento definitivo. Più inparticolare, l’articolo 4 del Protocollo n. 7 enuncia una garanzia contro nuoveazioni penali o contro il rischio di tali azioni, e non il divieto di unaseconda condanna o di una seconda assoluzione.

La Corte europea dei diritti dell’uomo(CEDU), rafforzando in misura significativa la tutela sottesa al divieto didoppio giudizio, ha ribadito, inoltre, il principio secondo cui anchel’inflizione di una sanzione “amministrativa”definitiva può precludere l’avvio diun procedimento penale nei confronti della medesima persona, in relazione aglistessi fatti che le vengono addebitati. Siffatta estensione della sferaapplicativa del ne bis in idem, non opera però in via generale, ma solonelle ipotesi in cui la procedura amministrativa sfoci in un provvedimento particolarmenteafflittivo. Ciò che conta è la “realenatura” delle misure sanzionatorie secondo il principio della prevalenzadella sostanza sulla forma, talché è ininfluente la mera qualificazionegiuridica ad esse riconosciuta. Si sostiene, nello specifico, che se lesanzioni amministrative sono sostanzialmente penali il divieto del ne bis in idem potrebbe essere violato nel caso in cui un soggetto,già giudicato in via definitiva in sede “formalmente amministrativa”, venga oresti successivamente sottoposto a processo penale per fatti (storici) che sonosostanzialmente i medesimi.

Ricordiamo che a partire dalla sentenza Engel[5]vengono enunciati tre criteri (peraltro, definiti come alternativi e noncumulativi) per stabilire se le “sanzioni” comminatesiano sostanzialmente penali:

· qualificazione giuridico-formale della sanzionenell’ordinamento nazionale,

· natura dell’illecito,

· natura e grado di severità della sanzione.

Se sono state applicate sanzioni penali allora il procedimentoè di natura “sostanzialmente” penale (a prescindere dalla qualificazioneformale che ne dà l’ordinamento nazionale): la pendenza di un secondo processoavente ad oggetto gli stessi fatti è lesivodel diritto fondamentale al ne bis inidem di cui all’art. 4 Prot. 7 CEDU, ratificato dal nostro Paese in forzadella legge 9 aprile 1990, n. 98.

Naturalmente ciò vale a maggior ragione anche rispettoall’art. 50 della CDFUE. La sentenza della Corte Edu del 4 marzo 2014 da cuiabbiamo preso le mosse, riguardava una materia (abusi di mercato) che ricadenell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione ai sensi dell’art. 51 CDFUE,per cui il diritto al ne bis in idempoteva essere fatto rispettare direttamente dai giudici italiani.

Con la sentenza del 04 marzo2014 i giudici di Strasburgo giungono ad affermare che, nonostantela dichiarata qualificazione “amministrativa” del procedimento innanzi allaConsob, le sanzioni amministrative inflitte exart. 187-ter del D.lgs. n.58 del 24 febbraio 1998 sono da considerarsi, a tutti gli effetti, come sanzioni penali[6], principalmente inragione della rilevante severità delle stesse, derivante sia dalla loroquantificazione per l’importo in concreto inflitto e in astratto comminabile,sia dalle sanzioni accessorie collegate, sia, infine, in ragione delle lororipercussioni complessive sugli interessi del condannato (la natura penale ditali sanzioni sarebbe inoltre confermata dallo scopo chiaramente repressivo epreventivo rintracciabile nella ratiodella disciplina in materia di abusi di mercato).

Nello stesso senso anche la Cassazione, evidentemente ritenendofocale la severità della sanzioni, afferma che “Il tono di afflittivitàdella sanzione determina la sua natura penale (cfr. in bibliografia Rel. n. 35/2014 Roma, 8 maggio 2014).

In linea con la giurisprudenza europea anche la Supremacorte ha affermato che la procedura Consob, pur avendo ad oggetto un illecito formalmentedi tipo amministrativo, si sostanziasse in un'accusa di natura penale, e di conseguenzaavrebbero dovuto essere osservate le garanzie che l'art. 6 della Convenzioneriserva ai processi penali.

8. Il principiodel ne bis in idem – alcuni casi concretigià affrontati dalla Suprema corte.

a. Primo caso

Un soggetto, con una sola azione, aveva cagionato reatifiscali e reati di bancarotta. Nel secondo giudizio relativo alla bancarottapatrimoniale deduceva la violazione del divieto del ne bis in idem in quanto era stato, nel primo giudizio, assolto pernon aver commesso il reato fiscale relativo all'uso di fatture per operazioniinesistenti, consumato nella sua qualità di direttore generale o, comunque diuomo di fiducia degli amministratori della società.

Per la Corte l'intervenuta assoluzione per il reatofiscale non impediva certo l'esercizio dell'azione penale in relazione al reatodi bancarotta. Il principio del "ne bis in idem"di cui all'art. 649 c.p.p., impedisce al giudice di procedere contro la stessapersona per lo stesso fatto su cui si è formato il giudicato, ma non diprendere in esame lo stesso fattostorico e di valutarlo in riferimento a diverso reato (Sez. 5, Sentenza n. 1842 del25/11/1998).

b. Secondo caso

Un soggetto, quale agente di cambio, era stato già condannato per ilreato di bancarotta fraudolenta - consistita, fra l'altro, nella sottrazione dititoli e denaro della clientela - e poi sottoposto a nuovo procedimento penaleper il reato di appropriazione indebita in danno di un cliente.

Poiché all'unicità di un determinato fatto storico può far riscontro una pluralità di eventi giuridici (come siverifica nell'ipotesi di “concorso formale” di reati), il giudicato formatosicon riguardo ad uno di tali eventi non impedisce l'esercizio dell'azione penalein relazione ad un altro (inteso sempre in senso giuridico) pur scaturito daun'unica condotta (Sez. 2, Sentenza n. 10472 del 04/03/1997).

Considerazioni conclusive

Siamo giunti al giorno del giudizio: Pasquale, già condannato in viadefinitiva per l’emissione di una fattura oggettivamente inesistente di10.000,00 euro, viene nuovamente accusato penalmente di concorso esterno inbancarotta fraudolenta patrimoniale, unitamente ad Antonio.

Il fatto storico è il medesimo dal punto di vistanaturalistico (si tratta dell’emissione di quella fattura falsa a favore dellamedesima persona, ossia di Antonio nella sua qualità di rappresentante dellasocietà Beta S.r.l., poi fallita).

A nulla rileva lo scopo perseguito da Pasquale;difatti, ai fini della medesimezza del fatto, occorre guardare esclusivamente aglielementi oggettivi dell’accadimento (condotta, evento, nesso causale,circostanze di tempo, di luogo e di persona).

E’ altresì ininfluente, come insegna la Consulta, checon la medesima azione Pasquale abbia violato due diverse disposizioni di legge(l’art. 8 del D.lgs. 74/2000 e il combinato disposto dell’art. 110 c.p. e art.223 Legge fallimentare), atteso che il “concorso formale” di reati, da solo,non è sufficiente ad escludere l’operatività del ne bis in idem.

Già queste semplici premesse inducono a ritenere chePasquale non possa essere processato per il secondo reato, grazie proprio aldivieto del ne bis in idem (purtuttavia,mi si consenta di non metterci la mano sul fuoco).

Per altro verso vi è da considerare la notevoledifficoltà di dimostrare (dal punto di vista dell’elemento soggettivo) ilconcorso esterno in bancarotta fraudolenta patrimoniale. Forzando un po’ ladisciplina del concorso eventuale di persone nel reato si potrebbe sostenereche Pasquale è colpevole del reato in quanto ha fornito un contributocausale alla distrazione fallimentare commessa da Antonio. Facile sarebbe,in questo senso, fare riferimento alla “teoriadella causalità agevolatrice o rinforzo”, alla stregua della quale èritenuto penalmente rilevante anche il contributo che si limiti ad agevolare ofacilitare il reato, o alla “teoria dell'aumento del rischio”, secondo la qualebasterebbe che l’azione del partecipe appaia ex ante idonea a facilitare la commissione del reato accrescendone leprobabilità di verificazione. Comunque sia, queste sono solo considerazioni praticheche nulla hanno a che fare con la sussistenza dell’idem factum, che, è bene ribadirlo, attiene esclusivamente allasfera oggettiva.

Ciò che conta è che i due reati in questione originanodal medesimo fatto (condotta, evento e nesso causale). La circostanza che, sial’emissione di fatture o documenti per operazioni in tutto o in parteinesistenti, sia la bancarotta fraudolenta patrimoniale, siano reati senzaevento non cambia le cose: ai fini del nebis in idem si valuterà, in questo specifico caso, unicamente la condotta.

Ma se da un parte sembra esserci “certezza” circal’operatività del principio del ne bis inidem, sia in quanto collegato al concetto di idem factum (piuttostoche all’idem legale) sia in relazionea cosa si debba intendere per “stesso fatto” (condotta, evento e nesso dicausa) e tale certezza accomuna la giurisprudenza nazionale a quella europea,dall’altra emerge il pericolo diincertezza del diritto per l’autorità giurisdizionale statale derivante dalfluttuante criterio interpretativo prescelto dalle Corti europee (Corte EDU eCGUE) per definire la “natura penale” di un illecito.

Come è stato ben chiarito nella citata Rel. n. 35/2014,la fluidità del concetto di “natura penale” di una disposizione interna poneproblemi di compatibilità con il nostro sistema costituzionale, che, all’art.25 Cost., vincola la nozione di illecito penale ad un criterio di strettalegalità formale (si pensi inoltre all’art. 1 del c.p. in base al quale nessunopuò essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto come reatodalla legge). Da questo punto di vista, il giudice nazionale non ha ilpotere-dovere di ritenere “sostanzialmente” penale una disposizione qualificatacome amministrativa dall’ordinamento interno.

Certamente non mancheranno in futuro occasioni esentenze per chiarire e uniformare il diritto, la giurisprudenza e la dottrina nazionaleed europea, così come non smetteranno gli sforzi protesi alla ricerca di quella“certezza del diritto” tanto agognata, ma tuttora inafferrabile.

AMartina

BIBLIOGRAFIA

AttiDell’incontro Di Studio - Il principio del ne bis in idem tragiurisprudenza europea e diritto interno AulaMagna, 23 giugno 2014 (Sentenza Corte Edu del 4 marzo 2014, Grande Stevens c.Italia):

- Ne bis in idem e “doppio binario” sanzionatorio: primeriflessioni sugli effetti della sentenza “grande stevens” nell’ordinamentoitaliano. (Gaetano DE AMICIS)

- Doppio binario sanzionatorio e ne bis idem: verso una direttaapplicazione dell’art. 50 della carta? A margine di Corte EDU, Sez. II, sent. 4marzo 2014, Grande Stevens e a. c. Italia, ric. n. 18640/10 e a. (Francesco VIGANÒ)

Considerazionisul principio del ne bis in idem nella recente giurisprudenza Europea:la sentenza 4 marzo 2014, Grande Stevens e altri contro Italia - Rel. n.35/2014 Roma, 8 maggio 2014

Valentina ANGELI - Engeled altri c. Paesi Bassi


[1]Art. 4 Diritto di non esseregiudicato o punito due volte – Protocollo 7 Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo

1. Nessuno può essere perseguito ocondannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un reatoper il quale è già stato assolto o condannato a seguito di una sentenzadefinitiva conformemente alla legge e alla procedura penale di tale Stato.

2. Le disposizioni del paragrafoprecedente non impediscono la riapertura del processo, conformemente alla leggee alla procedura penale dello Stato interessato, se fatti sopravvenuti o nuoverivelazioni o un vizio fondamentale nella procedura antecedente sono in gradodi inficiare la sentenza intervenuta.

3.Non è autorizzata alcuna deroga al presente articolo ai sensi dell’articolo 15della Convenzione

[2] Conla medesima sentenza si dà una interpretazione estensiva dell’art. 649 c.p.p.nel senso che il divieto del ne bis inidem si applicherebbe anche nel caso in cui la sentenza del primo procedimentonon sia ancora divenuta definitiva;più in particolare il principio del nebis in idem postula una preclusione derivante dal “giudicato” formatosi perlo stesso fatto e per la stessa persona o anche dalla coesistenza diprocedimenti “iniziati” (quindi ancora pendenti) per lo stesso fatto e neiconfronti della stessa persona (anche se pendenti in fase o grado diversi) nella stessa sede giudiziaria e suiniziativa del medesimo ufficio del P.M. LaCorte ha enucleato il principio di diritto suddetto, non attraversol'applicazione diretta dell’art. 649 c.p.p., la cui configurazione normativarisulta tracciata in confini ben precisi e delimitati, ma facendo leva, invece,sui principi generali dell'ordinamento giuridico dello Stato, collocati a monte.

[3] Art. 81 Concorso formale. Reato continuato – c.p.

1. È punito con la penache dovrebbe infliggersi per la violazione più grave aumentata sino al triplochi con una sola azione od omissione viola diverse disposizioni di leggeovvero commette più violazioni della medesima disposizione di legge.

2. Alla stessa pena soggiace chi con più azioni odomissioni, esecutive di un medesimo disegno criminoso, commette anche in tempidiversi più violazioni della stessa o di diverse disposizioni di legge.

3. Nei casi preveduti da quest'articolo, la pena non puòessere superiore a quella che sarebbe applicabile a norma degli articoliprecedenti.

4. Fermi restando i limiti indicati al terzo comma, se ireati in concorso formale o in continuazione con quello più grave sono commessida soggetti ai quali sia stata applicata la recidiva prevista dall'articolo 99,quarto comma, l'aumento della quantità di pena non può essere comunqueinferiore ad un terzo della pena stabilita per il reato più grave.

[4]Art. 117 Costituzione

1. La potestàlegislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto dellaCostituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitarioe dagli obblighi internazionali.

[5] Case of Engel and others v. The Netherlands (article 50) (application no.5100/71; 5101/71; 5102/71; 5354/72; 5370/72) Judgment Strasbourg 23 november1976. Tali principi si ritrovano anche nella sentenza CGUEdel 26 febbraio 2013 resa nell’ambito della causaC-617/10 (Åklagaren c. Hans Åkerberg Fransson).

[6] Per la nozione di “materia penale” nella giurisprudenza europea sicita, tra tutte, la sentenza della Corte di Giustizia Europea, Grande Sezione, 5 giugno2012, C-489/10, Bonda, nonché la già citata sentenza della Corte EDU, Engelc. Paesi Bassi del 8 giugno 1976.


Data: 14/12/2016 18:00:00
Autore: Giovanni Tringali