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Dare dello “sbirro” non sempre è oltraggio a pubblico ufficiale

Il delitto di oltraggio a pubblico ufficiale è integrato quando le espressioni offensive hanno valenza denigratoria e non quando costituiscono mera villania


di Marina Crisafi - Non sempre dare dello “sbirro” a un pubblicoufficiale integra il reato di oltraggio.Occorre, infatti, che la frase offensiva assuma una valenza obiettivamente denigratoria di colui che esercita lapubblica funzione e che non costituiscamera espressione di critica o villania.

Lo ha stabilito la sestasezione penale della Cassazione, nellasentenza n. 25903 depositata il 18giugno scorso, accogliendo il ricorso di un uomo avverso la sentenza della Corted'Appello di Palermo che lo aveva condannato ad un mese di reclusione per ilreato di cui all'art. 341-bis c.p. peraver pronunciato, davanti a un bar e in presenza di diversi soggetti l'espressione“Ecco, sono arrivati gli sbirri” all'indirizzodelle forze dell'ordine denotando “un evidente disprezzo” confermato dalsuccessivo rifiuto di fornire le proprie generalità.

La difesa dell'uomoricorreva in Cassazione chiedendo l'annullamento della sentenza per violazionedi legge e vizio di motivazione in quanto il reato non poteva ritenersiintegrato posto che la frase non era “offensiva dell'onore e della reputazionedei pubblici ufficiali coinvolti”.

Per la S.C. il ricorso è fondato.

Sbaglia infatti laCorte d'appello a ritenere sussistente il delitto di pubblico ufficiale, ilquale, per come reintrodotto dal legislatorenel 2009, diversamente dalla incriminazione precedente abrogata, richiede “che l'offesa sia connotata dal requisito dellapubblicità,e cioè avvenga in un luogo pubblico ovvero aperto al pubblico ed in presenza dipiù persone” e che le espressioniutilizzate abbiano “un'obiettiva idoneità offensiva”, siano tali cioè “da recare nocumento a quella particolareforma di decoro e di rispetto che deve circondare quanti esercitano unapubblica funzione”. Pertanto, non basta limitarsi a valutare il merosignificato obiettivo delle parole, “masi deve tenere conto anche dei criteri etico sociali comunemente condivisie, soprattutto, della evoluzione del linguaggio nella società”.

Ciò non significa, ovviamente, haspiegato la Corte, “che l'obiettiva capacità offensiva delle parole possa ritenersi elisa dalla facilità con cuinella società contemporanea vengono abitualmente usate espressioni volgari odal fatto che una data locuzione ricorra frequentemente nel linguaggio comune”ma per integrare il reato occorre che questa esprima “senza possibilità di equivoci, disprezzo e disistima per le funzionidel pubblico ufficiale”.

Inoltre, sebbene l'art. 341-bis non lorichieda expressis verbis (a differenza dell'ipotesi previgente), “l'offesa deve avvenire anche in presenzadel pubblico ufficiale” ossia "mentre" lo stesso "compie unatto d'ufficio ed a causa o nell'esercizio delle sue funzioni" e che siastrettamente connessa a queste (prova del nesso funzionale).

Ne consegue, ha sintetizzato la Corte, che ildelitto di oltraggio a p.u. non può ritenersi integrato quando le parole o lefrasi offensive “costituiscanoespressione di mera critica, anche accesa, o di villania – e non sianocorrelate - alla funzione pubblica del soggetto passivo, così da incidere sulconsenso che la P.A. deve avere nella società”.

Nel caso di specie, anche se il termine “sbirro”, di ormai abituale utilizzo nellinguaggio corrente, risulta connotatoda “valenza denigratoria”, non veniva rivolto dall'imputato direttamenteagli esponenti dell'Arma dei carabinieri (come sarebbe avvenuto nel caso in cuilo stesso avesse detto, ad esempio, “siete proprio degli sbirri” o “vi statecomportando da sbirri”), per cui rimanesolo un “epiteto negativo”, irriverente e provocatorio, formulato inoccasione dell'arrivo sul posto dei p.u. senza essere associato in modo direttoalla loro qualità o alla funzione svolta. Non c'è, dunque, quel “nesso funzionale” tra l'offesa e l'esercizio contemporaneodella funzione pubblica richiesto dall'incriminazione, né è integrata quell'”idoneità offensiva”, tale da recare ilpregiudizio all'onore e al prestigio sanzioni dall'art. 341-bis c.p.

Né può avere rilievo ai fini della valenzaoltraggiosa, come invece assume la Corte territoriale, il rifiuto dell'imputato di consegnare i propri documenti, “trattandosidi comportamento cronologicamente successivo ed ontologicamente distintodall'articolazione della frase offensiva”. Indefinitiva, quindi, ricorso accolto e sentenzaannullata perché il fatto non è previsto dalla legge come reato.

Data: 20/06/2015 12:00:00
Autore: Marina Crisafi