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Sinistri stradali: il danno biologico non basta a coprire la perdita di chance di chi non può più lavorare

Non consiste in una duplicazione liquidare sia l'incapacità lavorativa specifica che quella generica, quale danno patrimoniale da perdita di chance


diMarina Crisafi –L'invalidità di una certa gravitàriportata dal danneggiato a seguito di un sinistro stradale non può essere liquidata a titolo di dannobiologico, integrando, invece, una riduzione della capacità lavorativa generica, autonoma fattispecie di danno patrimoniale, quale perdita di chance,da distinguere dalla capacità lavorativa specifica, in quanto l'infortunato è impedito non solo nello svolgere la suavecchia occupazione ma anche nell'attendere ad altri lavori, comunque, alui confacenti.

Ad affermarlo è la terza sezione civiledella Cassazione, nella recente sentenza n. 12211/2015 (qui sotto allegata), accogliendoil ricorso del terzo trasportato chea seguito dell'incidente stradale riportava un'invalidità pari al 25%.

Disattendendo le conclusioni della Corte d'Appelloche aveva ridotto l'entità del risarcimento, accorpando la perdita di capacitàlavorativa generica nella voce danno biologico, gli Ermellini hanno ragionato innanzitutto sul ristoro del danno nonpatrimoniale affermando che la valutazione equitativa, condotta conprudente e ragionevole apprezzamento da parte del giudice di tutte lecircostanze del caso concreto “deverappresentare la compensazione economica socialmente adeguata del pregiudizio”in modo da giungere ad un congruo ristoro, tendente cioè “alla maggiore approssimazione possibile all'integrale risarcimento”.In altre parole, hanno spiegato dalla terza sezione della S.C., aldilà delleaffermazioni di principio secondo cui il carattere unitario della liquidazione deldanno non patrimoniale precluderebbe la possibilità di un separato e autonomorisarcimento di specifiche fattispecie (il riferimento è alle note “sentenze diSan Martino”), il giudice deve far luogo alla c.d. “personalizzazione dellaliquidazione”, avendo sempre come parametro da seguire quello dell'integralitàdel ristoro.

Pertanto, se è vero che le duplicazionerisarcitorie sono da evitare, queste si configurano soltanto “allorquando lostesso aspetto o voce viene computato due o più volte, sulla base di diverse,meramente formali, denominazioni – non sussistendo invece - in presenza dellaliquidazione dei molteplici e diversi aspetti negativi causalmente derivantidal fatto illecito o dall'inadempimento e incidenti sulla persona deldanneggiato/creditore”.

Ciò posto, hanno proseguito i giudici, lamenomazione alla persona “di gravità tale da non consentire, per la sua entitàla possibilità di attendere a lavorialtri e diversi da quello specificamente prestato al momento del sinistroconfacenti alle attitudini e alle condizioni personali ed ambientali deldanneggiato integra non già lesione diun'attitudine o di un modo di essere del medesimo, rientrante nell'aspetto (ovoce) del danno non patrimoniale costituito dal danno biologico, bensì undanno patrimoniale attuale in proiezione futura da perdita di chance (ilcui accertamento spetta al giudice del merito e va dal medesimo stimato convalutazione necessariamente equitativa ex art. 1226 c.c.) , derivante dallariduzione della capacità lavorativa generica”.

Né hannoosservato ancora i giudici, si può escluderne la liquidazione come duplicazione solo perché èriconosciuta anche l'incapacitàlavorativa specifica: l'invalidità generica, invece, è “danno patrimoniale che, se e in quantoriconosciuto dal giudice sussistente, va considerato ulteriore rispetto aldanno patrimoniale da incapacitàlavorativa specifica, concernente il diverso aspetto dell'impossibilità peril danneggiato di continuare ad attendereall'attività lavorativa prestata al momento del sinistro (nella specie divenditore ambulante dipendente) dovendo anche da questo essere pertanto tenuto distintocon autonoma valutazione ai fini della relativa quantificazione”.

Quantoal sistema per “tradurre il concetto dell'equità valutativa” in termini monetari,i giudici di piazza Cavour hanno ribadito la“vocazione nazionale” delle tabelle di Milano, quale valido strumento adisposizione del giudice (in quanto recanti i parametri maggiormente idonei adevitare o quanto meno ridurre ingiustificate disparità di trattamento), ilquale dovrà motivare l'eventuale discostamento e la cui mancata adozione integra violazione di norma di dirittoricorribile per cassazione.

Data: 15/06/2015 20:30:00
Autore: Marina Crisafi